A lungo termine, la progressiva scomparsa dei ghiacciai mette a rischio la disponibilità di acqua potabile per miliardi di persone
I ghiacciai, custodi della memoria climatica della Terra e fonte essenziale per oltre due miliardi di persone, lanciano un grido d’allarme. Le oltre 275mila distese di ghiaccio che ricoprono circa 700mila km² e che immagazzinano il 70 per cento dell’acqua dolce del pianeta si stanno fondendo a una velocità allarmante a causa del riscaldamento globale, con conseguenze devastanti sull’ambiente e sull’economia mondiale. «Il 2024 è stato l’anno più caldo mai registrato, e, nel 2023, i ghiacciai hanno subito la maggiore perdita di massa degli ultimi cinquant’anni di monitoraggio», ha dichiarato Celeste Saulo, segretario generale dell’Organizzazione meteorologica mondiale (Omm), definendo la situazione un «segnale d’allarme per il mondo intero».
Le conseguenze sono immediate e concrete: aumento di valanghe, frane, inondazioni e periodi di siccità sempre più intensi. A lungo termine, la progressiva scomparsa dei ghiacciai mette a rischio la disponibilità di acqua potabile per miliardi di persone, soprattutto in regioni cruciali come l’Himalaya-Hindu Kush e l’Altopiano tibetano, noto come il “Terzo Polo”. Secondo le proiezioni del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (Ipcc), la tendenza al ritiro dei ghiacciai continuerà in quasi tutte le regioni del mondo nel corso del XXI secolo, alterando la disponibilità e la qualità delle acque a valle, con impatti significativi sugli ecosistemi acquatici e su settori vitali come l’agricoltura e la produzione di energia idroelettrica.
Un anno per la conservazione
Per sensibilizzare l’opinione pubblica e promuovere azioni concrete, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha proclamato il 2025 “Anno internazionale della conservazione dei ghiacciai”, istituendo il 21 marzo come Giornata mondiale dei ghiacciai, un’occasione annuale per riflettere sull’importanza di neve, ghiaccio e acqua per l’equilibrio climatico. Tra gli obiettivi principali dell’iniziativa figurano l’ampliamento dei sistemi di monitoraggio globale dei ghiacciai per una migliore raccolta e analisi dei dati, lo sviluppo di sistemi di allerta precoce per prevenire disastri legati alla loro fusione e la promozione di una gestione sostenibile delle risorse idriche nelle aree che dipendono da queste formazioni. Un’attenzione particolare è rivolta anche alla preservazione del patrimonio culturale e delle conoscenze tradizionali legate agli ecosistemi glaciali, oltre al coinvolgimento delle nuove generazioni nella lotta ai cambiamenti climatici e nella conservazione.
“Grattacieli d’acqua” a rischio
I ghiacciai, definiti anche “le torri d’acqua del mondo”, alimentano bacini fluviali essenziali per metà della popolazione mondiale. La loro fusione non solo minaccia l’approvvigionamento idrico, ma aggrava fenomeni estremi come incendi, siccità e innalzamento del livello del mare. «I ghiacciai non si interessano alla nostra opinione sulla scienza, semplicemente si fondono al calore», ha avvertito John Pomeroy, copresidente del consiglio consultivo. «La nostra “acqua congelata” ha agito per millenni come milioni di piccole dighe, trattenendo l’acqua fino al momento in cui neve e ghiacciai si fondevano, esattamente quando ne avevamo bisogno. Oltre due miliardi di persone dipendono da queste riserve per acqua potabile, agricoltura ed energia. Tutto questo è ora in pericolo».
L’agonia in Kirghizistan
«I canali di irrigazione si stanno prosciugando e, nei pascoli di montagna dove abbeveravo il mio bestiame, alcune fonti sono scomparse», racconta Ourmat Omourbekov, un agricoltore come tanti del villaggio di Kochkor, nel Kirghizistan centrale. La sua testimonianza dipinge un quadro drammatico della crisi idrica che sta colpendo l’Asia centrale, una regione sempre più assetata a causa del rapido ritiro dei suoi ghiacciai. Nella sua fattoria Omourbekov continua a coltivare cinque ettari di cereali nonostante le difficoltà crescenti.
«Prima i fiumi dovevi attraversarli a cavallo per la forza della corrente dovuta alla fusione dei ghiacciai. Ora si attraversano a piedi», spiega il 59enne, evidenziando l’allarmante diminuzione delle risorse idriche. Il ritiro dei ghiacciai dell’Asia Centrale ha conseguenze dirette sulla vita delle comunità locali, che da anni si confrontano con la scarsità d’acqua. Questa regione arida e senza sbocco sul mare, a migliaia di chilometri dall’oceano, è particolarmente vulnerabile ai cambiamenti climatici. Kirghizistan e Tagikistan, con vette che superano i 7.500 metri, sono tra i paesi più montuosi del mondo, ospitando tra i 10mila e i 15mila ghiacciai ciascuno.
Queste “torri d’acqua” costituiscono riserve idriche vitali per la sicurezza alimentare di circa 80 milioni di persone in Kazakistan, Kirghizistan, Uzbekistan, Tagikistan e Turkmenistan. La fusione estiva dei ghiacciai fornisce acqua durante i mesi secchi, prima della rigenerazione invernale con nuove nevicate e formazione di ghiaccio. Ma questo ciclo vitale si è interrotto. Negli ultimi 70 anni, il Kirghizistan ha perso il 16 per cento della sua massa glaciale, e il Tagikistan ha visto scomparire più di mille ghiacciai negli ultimi tre decenni. Dalla stazione scientifica più alta dell’Asia Centrale, a quasi 3.600 metri sul Tian-Shan (Montagne Celesti), la ricercatrice Goulbara Omorova, dell’Istituto per i problemi idrici dell’Accademia delle scienze kirghise, osserva in prima linea questo preoccupante fenomeno. «Vediamo un forte deterioramento a causa del cambiamento climatico e dell’aumento delle temperature», spiega. «I ghiacciai non raggiungono più la massa necessaria, non si rigenerano e si fondono sempre più velocemente».
Soluzioni innovative
Le previsioni sono inquietanti: uno studio pubblicato nel 2023 sulla rivista Science prevede che l’accelerazione della fusione raggiungerà il picco tra il 2035 e il 2055. Le autorità kirghise e tagike concordano sul fatto che entro il 2050 un terzo dei ghiacciai dell’Asia centrale rischia di scomparire, con la possibilità di una scomparsa totale entro la fine del secolo, un evento che potrebbe esacerbare le tensioni tra i paesi per il controllo delle risorse idriche. Di fronte a questa emergenza, le comunità locali cercano di adattarsi. Omourbekov ne è un esempio: «Dobbiamo tenere conto del cambiamento climatico e cambiare le nostre pratiche. Il Kirghizistan è un paese rurale e agricolo, non sopravviveremo senza allevamento e agricoltura». Tra le soluzioni innovative, si sperimentano i “ghiacciai artificiali”. «Abbiamo costruito una fontana alimentata da tubi sotterranei con acqua proveniente da una sorgente in cima alla montagna. In inverno l’acqua sgorga sotto pressione e ghiaccia a contatto con l’aria. In primavera il ghiacciaio si fonde e il bestiame può bere, e anche noi», spiega l’agricoltore.
«Questo ghiacciaio artificiale di due ettari ci fornisce il 20 per cento in più di acqua e nutre circa mille persone. Non è sufficiente, ma copre parte dei nostri bisogni». Questo sistema è stato implementato in una trentina di siti in tutto il paese dal 2020. Anche l’irrigazione a goccia si sta diffondendo, soprattutto dove la scarsità d’acqua è aggravata da infrastrutture obsolete.
«Si risparmia tempo, fatica e acqua», spiega Taalaï Malabaïev, allevatore che ha abbandonato l’allevamento tradizionale per la coltivazione di bacche, meno esigenti in termini idrici. «Con l’irrigazione convenzionale sprechiamo molta acqua, mentre l’irrigazione a goccia ci permette di annaffiare solo le radici delle piante, il che è molto più efficiente», aggiunge, sottolineando anche il risparmio di tempo. Il costo elevato di questi sistemi, tuttavia, rappresenta un ostacolo per molti agricoltori. E queste iniziative non possono risolvere un’altra grave conseguenza della fusione dei ghiacciai: il rischio di esondazioni improvvise dei laghi glaciali, la cui fragile struttura può cedere e sommergere intere aree.
Il rapido declino italiano
I ghiacciai italiani stanno vivendo anch’essi un periodo di rapido declino, con conseguenze significative per l’ambiente e le comunità locali. Diverse ricerche e monitoraggi recenti forniscono un quadro allarmante della situazione. I ghiacciai italiani si stanno ritirando più velocemente rispetto a quelli di altre regioni alpine come Svizzera, Francia o Austria. La diminuzione è di circa il 30 per cento in 60 anni, con un’accelerazione significativa negli ultimi decenni. Se tra il 1933 e il 1959 la perdita di superficie era dello 0,5 per cento annuo, oggi siamo intorno all’8 per cento annuo.
Anche lo spessore dei ghiacciai si sta riducendo drasticamente. Si osservano anche crescenti collassi circolari dovuti alla contrazione della massa glaciale. Si stima poi che la superficie glacializzata dell’arco alpino si sia ridotta del 60 per cento negli ultimi 150 anni. Sono più d’una le caratteristiche dei ghiacciai italiani che li rendono particolarmente vulnerabili al cambiamento climatico. Rispetto ad altri ghiacciai alpini, quelli italiani sono generalmente più piccoli e quindi più sensibili alle variazioni di temperatura. La loro altitudine media inferiore, poi, li espone a temperature più elevate.
Ovviamente anche in Italia la regressione dei ghiacciai comporta diverse conseguenze negative. La diminuzione dei ghiacciai influisce, innanzi tutto, sulla disponibilità di acqua durante i periodi di siccità, con ripercussioni su agricoltura, produzione idroelettrica ed ecosistemi acquatici. Aumenta il rischio di fenomeni di instabilità naturale come frane, smottamenti e dissesto idrogeologico. E le proiezioni future sono a dir poco preoccupanti. Con uno scenario di forte riscaldamento, i ghiacciai italiani sono destinati a scomparire in gran parte entro il 2100, con una perdita di volume del 94,4 per cento rispetto al 2017. Anche con scenari meno pessimistici si prevede una perdita significativa di volume di ghiaccio, circa il 63,2 per cento entro il 2100.
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