Vito Ciancimino collega la strage di Capaci all’omicidio Lima all’interno di un’unica strategia tesa ad impedire l’elezione di Andreotti alla Presidenza della Repubblica. Anzi, in modo allusivo, secondo lo stile “obliquo” di Ciancimino, che non ha mai reso una piena collaborazione, egli ha fatto riferimento ad un “architetto”, entità esterna a Cosa Nostra...
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per circa un mese pubblichiamo ampi stralci del decreto di archiviazione dell’inchiesta “Sistemi criminali”, della Procura della Repubblica di Palermo, del 21 marzo 2001.
Secondo le convergenti dichiarazioni di vari collaboratori, la strage di Capaci non fu soltanto – in un’ottica tutta interna a Cosa Nostra – una “risposta” alla sentenza della Cassazione del gennaio ’92 che confermò le condanne del maxi-processo.
Fu anche un preciso attacco alla stabilità del sistema politico-istituzionale, finalizzato anche a colpire l’allora Ministro di Grazia e Giustizia Claudio Martelli che aveva chiamato Giovanni Falcone alla Direzione Generale degli Affari Penali e ne aveva appoggiato gli indirizzi di politica criminale antimafia. D’altra parte, numerose risultanze fanno ritenere che, accanto a tali moventi, vi siano state altre causali che hanno inciso nella deliberazione della soppressione di Giovanni Falcone e soprattutto nella scelta dei “tempi” della strage all’interno della strategia destabilizzante già descritta e nella scelta delle eclatanti modalità adottate, certamente sproporzionate qualora l’obiettivo fosse stato solo quello di sopprimere Giovanni Falcone.
In tale prospettiva appaiono di particolare rilievo due “eventi istituzionali” che si sarebbero quasi certamente verificati se la strage di Capaci non fosse stata eseguita in quella data: la nomina di Falcone a Procuratore Nazionale Antimafia e l’elezione di Giulio Andreotti alla Presidenza della Repubblica.
E’ ormai accertato, infatti, che proprio nel mese di maggio si stava coagulando al C.S.M. una maggioranza a favore della candidatura Falcone e, nel contempo, negli ambienti parlamentari la candidatura di Andreotti alla Presidenza della Repubblica veniva ritenuta la candidatura più forte. Ed è significativo che dell’immediata correlazione fra tali fatti abbiano parlato anche collaboratori provenienti da Cosa Nostra, generalmente portati – al contrario – a privilegiare (e a conoscere meglio) i moventi dei delitti in un’ottica tutta interna di Cosa Nostra.
Fra le altre, appaiono particolarmente significative le rivelazioni, provenienti dal “cuore” dello schieramento corleonese, di Giovanni Brusca, uno degli organizzatori ed esecutori materiali della strage di Capaci, il quale ha ribadito che l’uccisione del dr. Falcone “era particolarmente auspicata dal Riina, che voleva così assestare anche un colpo decisivo alle speranze che allora il Sen. Andreotti coltivava di essere eletto Presidente della Repubblica”.
Ha spiegato, infatti, Brusca che Cosa Nostra riteneva che il Sen. Andreotti li avesse traditi, consentendo che il maxiprocesso venisse sottratto al dottor Carnevale e che una delle punizioni sarebbe stata quella di ostacolarne la corsa alle elezioni presidenziali commettendo un omicidio che, per la sua rilevanza, avrebbe nuociuto alle aspirazioni di quel candidato, essendo egli discusso per la sua vicinanza ad ambienti mafiosi.
Nella stessa ottica di punizione per l’impegno tradito e per il cattivo esito del maxiprocesso si poneva, secondo le dichiarazioni di Brusca, l’omicidio dell’on. Lima, consumato proprio nel periodo in cui erano prossime le elezioni nazionali al fine di cancellarne la corrente politica, vicina in Sicilia al Sen. Andreotti, nonché l’omicidio di Ignazio Salvo, ritenuto al pari di Lima colpevole di non essersi adeguatamente impegnato per un esito favorevole del maxi processo.
L’ex Sindaco di Palermo, poi condannato per associazione mafiosa, Vito Ciancimino, fin dall’interrogatorio reso a questo Ufficio il 17 marzo 1993, aveva espresso la sua “convinzione” che l’omicidio Lima, la strage di Capaci e quella di via d’Amelio fossero legate e che dietro la matrice mafiosa potesse esservi anche “un di segno politico”.
E nell’interrogatorio del 5 agosto 1997 precisava:
Queste mie conclusioni nascono da un ragionamento che ho fatto a posteriori sulla base di alcuni frammenti di “mormorii” che si ascoltavano nell’ambiente politico romano. Si tratta però di frammenti di conversazioni fra altre persone, da me percepiti casualmente in luoghi intorno a Montecitorio e nei pressi di Piazza S. Lorenzo in Lucina (ove si trova lo studio del Sen. Andreotti, nonché il salone di barbiere dove usavo recarmi e la Caserma dei Carabinieri ove in un certo periodo ero obbligato ad apporre la mia firma), luoghi dove mi accadeva di incontrare vari parlamentari di diversi partiti e correnti, da me non conosciuti. Proprio per ciò non sono in grado di indicare nominativamente i nomi di tali uomini politici.
A.D.R. Non sono in grado di precisare il contenuto dei frammenti di conversazione da me percepiti al riguardo. Quel che ricordo è che, prima dell’elezione del Presidente della Re pubblica, i “forlaniani” erano ostili alla candidatura di Andreotti e gli “andreottiani” a quella di Forlani. Quando tramontò la candidatura di Forlani, notai molta soddisfazione fra gli andreottiani, sicuri che ciò avrebbe spianato la elezione di Andreotti. Sono anche certo che vi era qualcuno particolarmente ostile alla candidatura di Andreotti: si tratta di colui il quale io penso potrebbe essere stato “un architetto” del disegno politico che, tramite l’omicidio Lima e soprattutto le modalità eclatanti dell’uccisione di Falcone, aveva come obbiettivo quello di “sconvolgere il Parlamento”, così determinando le condizioni per fare eleggere un Presidente della Repubblica, naturalmente diverso da Andreotti. Io ho in testa il nome del possibile “architetto”, ma non ne ho le prove per poterlo affermare e comunque non lo direi mai, anche perché, se costui è stato capace di tanto, né io, né i miei familiari potremmo mai essere al sicuro, dovunque.
E nell’interrogatorio del 3 aprile 1998, reso congiuntamente ai P.M. di Palermo, Firenze e Caltanissetta, aggiungeva:
Vengo richiesto di meglio illustrare quanto da me già dichiarato con riferimento al c.d. “architetto”, che avrebbe avuto un ruolo nelle dinamiche decisionali delle stragi consumate in Sicilia, in pregiudizio, tra gli altri, del dott. Giovanni Falcone e del dott. Paolo Borsellino.
Al riguardo, dico di aver avuto modo di raccogliere informazioni nel corso del le mie passeggiate lungo le vie di Roma (salotto) e di avere “orecchiato parole” che mi hanno indotto a giungere alla seguente conclusione. L’attentato in pregiudizio del dott. Giovanni Falcone è stato pilotato per impedire l’elezione dell’onorevole Andreotti a Presidente della Repubblica. Il mio ragionamento si sviluppa attraverso questi passaggi logici.
Falcone poteva essere agevolmente ucciso mentre si trovava a Roma, in quanto in questa città mi è capitato di incontrarlo senza scorta. Ricordo, in particolare, di averlo veduto in una via, quasi buia, da solo che camminava in una zona compresa tra Piazza Navona e Piazza Campo dei Fiori. Pertanto, ritengo che Falcone potesse essere eliminato senza il “teatro” (messo in scena a Capaci).
Quella strage veniva fatta per far “tremare l’Italia”.
In effetti, a seguito di quel fatto, l’Italia “tremò” e non si fece quello che avrebbe voluto fare parte della D.C., come meglio preciso in sede di verbalizzazione. I deputati di quel partito avevano deciso che, se fosse stata bloccata la candidatura di Forlani, sarebbe stata portata avanti quella di Andreotti.
E’ possibile, quindi, che qualche autorevole esponente politico nazionale abbia potuto architettare quell’uccisione spettacolare.
La mia convinzione viene avvalorata da un altro dato sempre di carattere deduttivo.
Lima, che ho frequentato per quarant’anni, conosceva l’ambiente mafioso e avrebbe capito, grazie alle sue relazioni, se la sua vita fosse stata in pericolo.
Evidentemente non si è reso conto del pericolo esistente, tant’è vero che non ha adottato nessuna precauzione nei suoi spostamenti.
Ne deriva, perciò, che l’eliminazione di Lima deve essere ricondotta ad un tentativo di colpire Andreotti. Il progetto, in concreto, non riuscì ed ecco perché vi fu la necessità di eliminare il dott. Falcone, con quel modo appariscente di cui si è detto.
Quindi anche Vito Ciancimino collega la strage di Capaci all’omicidio Lima all’interno di un’unica strategia tesa ad impedire l’elezione di Andreotti alla Presidenza della Repubblica.
Anzi, in modo allusivo, secondo lo stile “obliquo” di Ciancimino, che non ha mai reso una piena collaborazione, egli ha fatto riferimento ad un “architetto”, entità esterna a Cosa Nostra, che avrebbe indirizzato la strategia di Cosa Nostra in senso avverso alla candidatura di Andreotti anche tramite l’omicidio Lima e la strage di Capaci.
Dichiarazioni enigmatiche e reticenti, queste di Ciancimino, ma anche significative, tanto più perché proveniente da un personaggio certamente addentro alle dinamiche dei rapporti del mondo della politica con la mafia come l’ex Sindaco di Palermo.
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