Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà parte del libro Sulle ginocchia, edito da Melampo, riguardo la storia di Pio La Torre scritta dal figlio Franco


Il Pci siciliano era guidato da Girolamo Li Causi, mitico dirigente comunista, capace di affascinare e di suscitare rispetto e grande ammirazione.

Ho conosciuto Li Causi, un pomeriggio all’inizio degli anni Sessanta, nel giardino di casa dei nonni a Palermo, dove chiacchierava con mio padre. La sua faccia mi ispirava simpatia e il suo aspetto mi dava fiducia. Giocavo intorno a loro, che mi prendevano in braccio a turno, dicendomi cose che mi facevano ridere.

La sua biografia esprime la personalità e le doti di questo grande uomo politico siciliano, meglio di quanto possa fare io.

Li Causi, prima dirigente socialista e poi comunista, scontò 15 anni di carcere sotto il regime di Mussolini. Era stato condannato a 21 anni ma fu liberato nel 1943, quando si tuffò nella lotta partigiana e divenne membro del Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia. Terminata la Resistenza, tornò in Sicilia, dove fu il primo segretario regionale del Pci.

Il 16 settembre del 1944, nel corso di un comizio a Villalba, mentre denunciava la mafia locale, fu ferito gravemente da un gruppo di mafiosi, guidati dal noto boss Calogero Vizzini, nativo proprio di Villalba. Deputato all’Assemblea Costituente, poi alla Camera, dove fu il protagonista della denuncia della Strage di Portella della Ginestra, quindi senatore, fino alla vicepresidenza della prima Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno mafioso.

In verità, i giovani dirigenti palermitani erano di diverso avviso. Convinti che vi fossero le condizioni, dopo averle preparate meticolosamente, avevano deciso di anticipare i tempi delle manifestazioni per le occupazioni delle terre nella provincia di Palermo. Era questa la loro colpa, anche se la mobilitazione in provincia di Palermo ebbe successo. Pancrazio De Pasquale – accusato di frazionismo, e con lui i giovani dirigenti palermitani – venne destituito da segretario della federazione e inviato alla scuola di partito; e a mio padre, tramite mia madre, venne suggerito di approfittare del periodo in carcere per prepararsi alla laurea, visto che la sua prospettiva nel partito era incerta.

Accadde che, a Roma, Pietro Secchia, responsabile nazionale dell’organizzazione del Pci, si fosse persuaso che i metodi e le decisioni assunte a Palermo avessero nociuto al partito e, conseguentemente, andasse a Palermo a presiedere la riunione del Comitato regionale che, con l’accordo di Li Causi, approvò una mozione che ridimensionava analisi e decisioni e, in una certa misura, riabilitava i giovani.

Questa svolta fu accompagnata dall’arrivo a Palermo di Paolo Bufalini – dirigente autorevole inviato dal centro del partito, come si diceva allora, venuto ad assumere la responsabilità di vice segretario regionale, a fianco di Li Causi – che risvegliò l’interesse del partito verso mio padre in carcere. Bufalini promosse la costituzione di un comitato di solidarietà e un collegio di difesa che ottenne, in pochi mesi, l’assoluzione e la successiva scarcerazione del compagno La Torre.

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