Può una torta di mele assumere il sapore del pesce? O una gustosa cioccolata calda prendere un pungente sapore salato? No, non si tratta di alimenti andati a male né di abbagli gustativi e olfattivi ma possono essere le conseguenze della chirurgia bariatrica, l’intervento sullo stomaco e sull’intestino che, nei grandi obesi, riduce la quantità di cibo introdotta o il suo assorbimento. Da studi recenti e dai feedback dei pazienti operati, pare che questi interventi cambino non solo il corpo ma anche il cervello cosa, quest’ultima, che darebbe anche ragione della perdita di peso duratura.

Chirurgia bariatrica: perché?

Ogni individuo ha un livello di adiposità influenzato dal patrimonio genetico e difeso da meccanismi di controllo definiti adipostatici, frutto di un processo evolutivo volto a difenderci dalla malnutrizione. Le risposte adattative alla perdita di peso sono quindi più forti rispetto a quelle attivate dall’aumento di peso, che purtroppo si manifesta in modo epidemico nelle società avanzate dove le carestie sono scomparse e i cibi ipercalorici si svendono.  Il trattamento dell’obesità include cambiamenti dello stile di vita, con modifiche dell’alimentazione, aumento dell’attività fisica e in alcuni casi con terapia farmacologica. Tuttavia non sempre tali strategie riescono a raggiungere gli obiettivi previsti e soprattutto a mantenere l’obiettivo raggiunto a lungo termine, specie nella grave obesità. Proprio a causa di questo cross-talk tra combinazioni genetiche e ambientali favorenti la grave obesità, i risultati delle terapie mediche e comportamentali risultano, talvolta, poco efficaci quando valutati a lungo termine. Ecco perché se la dieta, le cure farmacologiche e il cambiamento dello stile di vita non sono stati in grado di migliorare il quadro clinico dei pazienti, una delle misure più efficienti nella cura della grave obesità è la chirurgia bariatrica.

Si può agire con interventi restrittivi che determinano una riduzione del volume dello stomaco al fine di limitare l’introito degli alimenti o creare altre vie di passaggio del cibo nel tratto gastroenterico così da ridurre l’assorbimento dei nutrienti (interventi malassorbitivi). Ci sono poi gli interventi misti che prevedono sia la riduzione del volume gastrico sia il mancato assorbimento dei nutrienti in associazione ad interazioni con ormoni gastrointestinali che regolano l’omeostasi del peso agendo su fame, sazietà e termogenesi.

Non è per tutti

La chirurgia bariatrica, però, oggigiorno sembra essere diventata una moda, una scorciatoia da prendere per trovare la soluzione alla necessità di perdere peso. Attratti dai risultati strabilianti dell’amica e sbalorditi dai cambiamenti fisici radicali, si pensa che gli interventi di chirurgia malassorbitiva o restrittiva siano la soluzione, rapida e definitiva, al sovrappeso e all’obesità… ed è qui che ci si sbaglia! La chirurgia bariatrica in primis non assicura un’automatica “guarigione” ma rappresenta un efficace strumento di supporto alla necessità e alla determinazione della persona gravemente obesa di perdere di peso. Se infatti non si è disposti a cambiare dal punto di vista comportamentale-conservativo, l’obiettivo sarà difficile da raggiungere. L’intervento quindi non è per tutti: è indicato a chi ha un indice di massa corporea ≥40 o tra 35 e 40 in presenza di comorbilità quali dislipidemia, diabete di tipo2, ipertensione, coronaropatie, insufficienza respiratoria.

Non dimentichiamo comunque che la chirurgia bariatrica è un intervento di chirurgia generale e in quanto tale può comportare dei rischi: nel 95-97% dei casi è senza complicazioni ma c’è almeno un 3% di rischio da prendere in considerazione (emorragia nelle prime ore dopo l’intervento e complicazioni infettive).

Il cervello cambia gusti

Una cosa singolare che accade a seguito della chirurgia bariatrica è che, indipendentemente dalla tecnica utilizzata, spesso il cervello cambia gusti e rifiuta i cibi amati da sempre, in particolare grassi (cibi da fast food, patatine, carni e latticini) e zuccheri. Diversi sono gli studi scientifici che hanno approfondito e fatto luce su questa reazione.

Teniamo presente che il gusto è quel senso che ci permette di identificare le sostanze appetitose (dolce) e di evitare quelle potenzialmente tossiche (amaro). Oltre a guidare le scelte alimentari, questo sistema contribuisce al controllo della digestione di amido e grassi avviato attraverso le secrezioni salivari. Il gusto, poi, coadiuva anche altri elementi di regolazione metabolica come la fase cefalica della secrezione di insulina (prima ancora che i carboidrati compaiano nel flusso sanguigno, la sola vista e l’odore di un pasto innescano il rilascio di insulina).

Tutti gli studi scientifici sono concordi nel dimostrare che l’alterazione del gusto a seguito di un intervento bariatrico è legata ad un processo fisiologico dove sono coinvolti gli ormoni del sistema digestivo. I protagonisti sono la grelina, un ormone prodotto dallo stomaco che stimola l’appetito, il peptide GLP-1 e i peptidi YY e PYY, prodotti dall’intestino, che provocano invece sazietà. Anche le cellule adipose regolano l’appetito attraverso la secrezione di leptina, un ormone che inibisce la voglia di mangiare. In particolare, una ricerca condotta da Lauren Beckman dell’University del Minnesota dimostra che, già dopo due giorni dall’intervento, i livelli di grelina diminuiscono mentre quelli di GLP-1 e PYY aumentano e queste modificazioni persistono nel tempo. Ma non solo, pare che questi ormoni interferiscano anche con il sistema nervoso.

È stato infatti visto che l’aumento GLP-1 modifica i centri cerebrali della corteccia orbito frontale deputati alla gratificazione e ciò spiegherebbe il cambiamento delle preferenze di un individuo operato nei confronti del cibo. Lo dimostrano le ricerche di risonanza magnetica cerebrale di Carel le Roux, endocrinologo all’Imperial Weight Centre di Londra, pubblicate in un articolo sulla rivista New Scientist. Prima dell’intervento, nelle persone obese, questi centri si attivano alla vista di una torta o di un panino, quattro giorni dopo l’intervento questi centri cerebrali rimangono “insensibili” agli stessi cibi, di conseguenza i pazienti tendono ad evitare questi gruppi di alimenti che, tra l’altro, sono ad alto contenuto calorico.

Dopo l’operazione inoltre, alcuni pazienti lamentano deficit cognitivi come difficoltà a trovare le parole, a concentrarsi sul lavoro e problemi di memoria a breve termine. Analizzate con la risonanza magnetica, queste persone mostrano una riduzione del talamo, l’area cerebrale che ha a che fare con la memoria, l’attenzione, la concentrazione e anche con le informazioni relative al gusto dei cibi.

Chiaramente se si perde il gusto di “mangiare cose buone” la conseguenza è che i pazienti tendono ad evitare questi alimenti che, tra l’altro, sono proprio i cibi ad alto contenuto calorico. Questa nuova preferenza di gusto influenza notevolmente e positivamente la direzione della perdita di peso anche perché, in questo nuovo assetto fisiologico, è molto meno probabile che i pazienti abbiano il problema della “fame emotiva” oppure mangino per abitudine.

Dopo qualche anno dall’intervento è probabile che i cambiamenti sensoriali di gusto possano svanire ma nel frattempo, per rendere gli alimenti più gradevoli si può agire modificando i metodi di cottura. In particolare la carne rossa è preferibile cuocerla in modo che si mantenga umida e morbida e quindi facilmente masticabile. Un valido aiuto sono anche le spezie, la marinatura e i vari tipi di aceto che esaltano il sapore degli alimenti rendendoli più gradevoli. 

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