Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per una ventina di giorni pubblichiamo ampi stralci della sentenza in rito abbreviato dell’inchiesta Gotha del 2006, quando a Palermo finiscono in carcere vecchi boss e nuove leve due mesi dopo l’arresto di Provenzano Bernardo.


La carta sequestrata a Lo Piccolo propone una Cosa Nostra antica. Ricorda le associazioni descritte nelle risultanze investigative della questura palermitana del periodo post-unitario (1860-1890) e commentate dai poliziotti criminologi Giuseppe Alongi e Antonino Cutrera. Sono a dir poco sorprendenti le “sovrapposizioni” con quanto scriveva il questore Ermanno Sangiorgi in un rapporto dell’8 novembre 1898:

«l’agro palermitano è purtroppo funestato, come altre parti di questa e delle finitime province, da una vasta associazione di malfattori, organizzati in sezioni, divisi in gruppi: ogni gruppo è regolato da un capo, che chiamasi capo-rione, e, secondo il numero dei componenti e la estensione territoriale, su cui debba svolgersi la propria azione, a questo capo rione viene aggiunto un sottocapo, in caso di assenza o di altro impedimento. E a questa compagine di malviventi è preposto un capo supremo.

La scelta dei capi rione è fatta dagli affiliati, quella del capo-supremo dai capi-rione riuniti in assemblea, riunioni che sono ordinariamente tenute in campagna. Scopo dell’associazione è quello di prepotere, e quindi di imporre ai proprietari dei fondi i castaldi, i guardiani, la mano d’opera, le gabelle, i prezzi per la vendita degli agrumi e degli altri prodotti del suolo: chi ama di non avere fastidi e danni accetta tali imposizioni: chi desidera in altro modo godere la quiete della villeggiatura deve sottostare a contribuzioni pecuniarie, che sono ordinariamente richieste con lettere minatorie».

Lo statuto attuale propone, pure, evidenti analogie con la mafia descritta dal proto-pentito Melchiorre Allegra nel lontano 1937.

Allegra è medico e uomo politico che confessa la sua affiliazione organizzazione mafiosa. Comincia a parlare di “famiglie”, “decine”, “elezione dei capi”, “rituali di ingresso”, “competenze territoriali” e “competenze di un organo di coordinamento tra le famiglie”. Descrive l’associazione come una sorta di rete massonica.

Gli affiliati provengono da tutte le categorie sociali, non escluse le migliori, e si sostengono tra loro per carriere e affari, ma pure si ingannano e si truffano a vicenda; sono attivi sul versante politico, appoggiando candidati anche tra loro contrapposti.

Sono informazioni che convergono con gli elementi di prova relativi alla Cosa Nostra di oggi.

Ridurla ai rituali e alle regole organizzative è fuorviante, soprattutto per chi è chiamato a ricostruire i fatti così per come si sono effettivamente svolti. Come dimostrano le storie criminali di Rotolo e Lo Piccolo, la mafia resta un singolare ibrido di innovazione e tradizione.

La continuità storica, il radicamento sul territorio e la forza dei legami interni si coniugano con la capacità di allacciare relazioni e costruire reti con imprenditori, liberi professionisti, esponenti delle istituzioni. Le intercettazioni e i documenti sequestrati nell’operazione “Gotha” provano che la mafia è ancora tutto questo; è più che mai simile a quella di sempre.

Occorre solo individuarne il “capitale sociale” di cui dispone nel momento storico che si sta analizzando per comprendere il tipo di reati che commette.

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