Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per circa un mese pubblichiamo ampi stralci del decreto di archiviazione dell’inchiesta “Sistemi criminali”, della Procura della Repubblica di Palermo, del 21 marzo 2001.


Le “profezie” di questa “ben informata” agenzia di stampa non finiscono qui, perché è ancora più impressionante quanto si scrive in altri due articoli pubblicati dalla medesima agenzia il 21 e 22 maggio 1992.

In entrambi tali articoli (48 e 24 ore prima della strage di Capaci), si anticipa che esiste il pericolo che per fare passare la candidatura istituzionale di Spadolini e di Scalfaro, venga realizzato “un bel botto esterno ” come ai tempi di Moro.

AGENZIA GIORNALISTICA REPUBBLICA QUOTIDIANO POLITICO ECONOMICO FINANZIARIO RISERVATO AGLI ABBONATI ANNO XIII N. 112 - 21 maggio 1992 IMPASSE NELL’ELEZIONE DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA METODO FORLANI O METODO DE MITA?

Solo su di un punto esiste a Montecitorio un’ampia maggioranza: sull’ignorare i ridicoli vaneggiamenti dei vari Cirini intorno all’ipotesi di Giulio Andreotti per il Quirinale. Fanno persino tenerezza questi personaggi ormai con un piede fuori del palazzo nell’accanirsi a resuscitare il diavolo per salvare se stessi; ma la sola ombra di Giulio terrorizza prepoliticamente un po’ tutti. Uniti nel corale “vade retro Satana”, i grandi elettori appaiono come disuniti su tutto il resto.

Da dieci giorni, nel Transatlantico, le antiche demarcazioni tra sinistra e destra, tra cattolici e laici, tra moderati e progressisti sono decadute. Il confronto è sul metodo. Ci si divide tra il “metodo Forlani”, che prevede la partenza dall’alleanza quadripartita per poi allargarla al PDS e al PRI, e il metodo De Mita, fondato su di un aprioristico accordo a sei per poi passare alla scelta comune di un capo dello stato adatto a garantire e a sostenere questo accordo politico anche in sede di governo. Un discorso sul metodo che neutralizza entrambi. Valiani, lanciato in pista dai repubblicani in riferimento al “metodo De Mita”, è stato impallinato. La stessa sorte, temiamo, accadrà ora al tentativo di Vassalli, portato avanti in base al “metodo Forlani”.

E’ un dialogo metodologico tra sordi. E, per di più, l’inconciliabilità tra Forlani e De Mita è trasversale ai partiti: a cominciare, e soprattutto, da quello di maggioranza relativa. Scommettendo su questa nuova candidatura socialista, il segretario della Democrazia Cristiana rischia brutto. Non si vede in fatti perchè i parlamentari del quadripartito dovrebbero privilegiare Vassalli rispetto alla precedente candidatura, fallita, dello stesso Forlani. Si dice che la stragrande maggioranza degli elettori DC abbia assicurato il segretario di votare, magari controvoglia, Vassalli. Ma, si sa, nella scelta del Presidente della Repubblica la rigidità politica non ha mai avuto corso. Specialmente oggi, che sono in gioco decisioni istituzionali che vanno bene al di là del quadro di governo, questo corso non può averlo. Prima, semmai, la DC avrebbe dovuto optare tra - e non l’ha fatto - il metodo Forlani e il metodo De Mita. Quest’ultimo metodo, del resto, non può essere liquidato con sufficienza visto che venne già sperimentato sette anni fa con la elezione di Francesco Cossiga. Allora, certo, poteva anche essere una scelta obbligata quella di ricercarla, l’intesa, tra i partiti espressione della “democrazia rappresentativa”, ma nel 1992 in Parlamento è cresciuta una “anomala” rappresentanza di massa - parliamo della Lega Nord - che non può essere ignorata e che comunque si fa sentire. Siamo all’impasse? C’è da temere, a questo punto, che qualcuno rispolveri la tentazione tipicamente nazionale al colpo grosso. Le strategie della tensione costituiscono in questo paese una metodologia d’uso corrente in certe congiunture di blocco politico. Quando venne meno “la solidarietà nazionale” ed il sistema apparve anche allora bloccato, ci ritrovammo davanti il rapimento di Moro e la strage della sua scorta. Non vorremmo che ci riprovassero: non certo per farci trovare un Andreotti a gestire ancora l’immobilismo del sistema (visto che i tempi sono mutati e Andreotti è politicamente deceduto) ma magari uno Spadolini o uno Scalfaro quirinalizzati.

AGENZIA GIORNALISTICA REPUBBLICA QUOTIDIANO POLITICO ECONOMICO FINANZIARIO RISERVATO AGLI ABBONATI ANNO XIII - N. 113 - 22 maggio 1992 FORLANI DIMISSIONARIO IL BURATTINAIO NON E’ ISCRITTO ALLA DC

Parlavamo ieri di “impasse” tra metodo Forlani e metodo De Mita per la elezione del Capo dello Stato. Con metà degli elettori democristiani ed al meno un quarto degli elettori socialisti che hanno negato il voto a Vassalli, i due disegni politici in competizione hanno pareggiato la partita. L’insuccesso di Valiani prima e di Vassalli poi ne azzera il senso e l’uso. Perché il segretario della DC, che si è ora dimesso di fronte ad uno scacco annunciato, ha voluto insistere ripetendo con la candidatura di Vassalli la brutta copia della fallita candidatura di Forlani? C’è il sospetto che quest’ultima sceneggiata fosse necessaria per affossare i due metodi, per chiudere una fase politica e aprire un “passaggio istituzionale”. La DC aveva per caso sempre fatto finta di puntare al Palazzo del Quirinale per riservarsi invece la volata per Palazzo Chigi ? Oppure, questa volta, i fili del grande gioco li ha tenuti in mano un Burattinaio di un’altra parrocchia? Noi siamo convinti che, mentre nel partito di maggio ranzarelativa si contrapponevano dottamente i “metodi” del segretario e del presidente del partito che non tenevano conto dell’eclissi del quadri partito e nello stesso tempo dell’inconciliabilità a sinistra tra PSI e PDS, un terzo metodo abbia mischiato le carte politiche. Il Burattinaio andrebbe dunque ricercato in quel “partito trasversale”, alimentato da certe oligarchie finanziarie, che ha sempre puntato a portare Spadolini sul Colle. Perché, a questo punto, i partiti popolari sono ritenuti fuori gioco. E, quando si parla di passaggio istituzionale, sul nome di Scalfaro si ostina a soffermarsi solo Pannella: a meno che la DC decida di far quadrato sul nome del presidente della Camera. Al momento (poiché Andreotti è “morto” anche se si muove nell’emiciclo di Montecitorio con i suoi piccoli e spauriti lacchè, comunque non può essere considerato, perché dimissionario, un possibile candidato istituzionale), la caduta dei due metodi, quello Forlani e quello De Mita, spalanca la via per il Quirinale al “supplente”. Avremo dunque la candidatura obbligata e vincente di Giovanni Spadolini? Manca ancora, perché passi in modo indolore questa candidatura del “partito trasversale”, qualcosa di drammaticamente straordinario.

I partiti cioè, senza una strategia della tensione che piazzi un bel botto esterno - come ai tempi di Moro - a giustificazione di un voto d’emergenza, non potrebbero accettare d’autodelegittimarsi. Per fortuna, le brigate rosse e nere oggi sono roba da museo. E, comunque, i poteri dello Stato hanno accumulato esperienza e dimostrato professionalità.

Valgono qui le stesse considerazioni già svolte in relazione all’omicidio Lima: o siamo in presenza di una straordinaria capacità d’analisi politica quasi “divinatoria”, ovvero l’autore dell’articolo era venuto in possesso di qualche informazione circa il “piano” in corso di esecuzione. Il dato di fatto è non solo che vi fu il botto esterno che influì, anche in modo decisivo, sull’elezione del Presidente della Repubblica, ma che si può ritenere accertato, sulla base delle dichiarazioni di alcuni mafiosi protagonisti di quella stagione ed oggi collaboranti, che l’obiettivo perseguito con la strage di Capaci fu anche quello di influire proprio sull’elezione del Presidente della Repubblica al preciso fine di bloccare la candidatura di Andreotti [Cfr., in particolare le considerazioni contenute nella motivazione della sentenza sulla strage di Capaci, emessa dalla Corte d’Assise di Caltanissetta il 26.9.1997, prevalentemente tratte dalle dichiarazioni di Giovanni Brusca, sulle quali si tornerà di seguito.].

Le indagini svolte dalla D.I.A. sull’agenzia “Repubblica” hanno permesso di appurare che il direttore responsabile dell’agenzia era Ugo Dell’Amico, figlio di Lando Dell’Amico, a sua volta “Direttore politico” e fondatore (fin dal 1980) dell’agenzia. Lando Dell’Amico era stato per anni militante nell’estrema destra, legato al principe Junio Valerio Borghese, ed era stato coinvolto nelle indagini sulla strage di Piazza Fontana, nell’ambito delle quali nel 1974 era stato tratto in arresto in esecuzione di un mandato di cattura emesso dal G.I. di Milano. La D.I.A. segnalava inoltre talune notizie di stampa del 1993, ove si denunciavano presunti finanziamenti da parte del SISDE in favore dell’agenzia di stampa (peraltro smentiti dai responsabili dell’agenzia).

Il Lando Dell’Amico, sentito da personale della D.I.A. in data 11 settembre 1996, mentre si dichiarava incerto sull’autore dell’articolo “Un’IRA per Lima? Sicilia come Singapore del Mediterraneo”, attribuiva con certezza all’on. Vittorio Sbardella [il noto parlamentare democristiano deceduto nel 1994] la paternità dei due articoli “Impasse nell’elezione del Presidente della Repubblica: Metodo Forlani o metodo De Mita ?” e “Forlani dimissionario, Il burattinaio non è iscritto alla D.C.”, circostanza quest’ultima che confermava la plausibile ipotesi che quelle dell’agenzia di stampa non erano certamente “singolari premonizioni”, bensì ricostruzioni e “messaggi cifrati” provenienti dagli ambienti che si ritenevano direttamente “minacciati” dall’evoluzione degli eventi. Come è noto, l’on. Sbardella era nel 1992 leader della D.C. laziale, proveniente dalla corrente andreottiana, e vicino all’on. Salvo Lima, ucciso a Palermo due mesi prima di quell’articolo. Ed è certa mente singolare che egli preferì utilizzare il sistema dell’articolo anonimo pubblicato sull’agenzia “Repubblica” piuttosto che un intervento pubblico.

Come si vedrà di seguito, le dichiarazioni di Vito Ciancimino e di Giovanni Brusca forniscono una possibile ulteriore chiave di lettura del significato dei “messaggi cifrati” lanciati da quell’agenzia di stampa.

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