Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per circa un mese pubblichiamo ampi stralci del decreto di archiviazione dell’inchiesta “Sistemi criminali”, della Procura della Repubblica di Palermo, del 21 marzo 2001.


L’unicità della strategia di “attacco allo Stato” concepita prima della stagione stragista del ’92-‘93 e la natura “politico-eversiva” di tale strategia emerge anche dal le dichiarazioni di alcuni collaboranti di spicco della mafia catanese.

Filippo Malvagna, nipote del noto Giuseppe Pulvirenti detto “’u malpassotu”, già nell’interrogatorio del 9 maggio 1994, confermava la riunione “strategica” di Enna della fine del 1991, di cui aveva riferito Leonardo Messina: Girolamo Rannesi mi riferì della disponibilità offerta da Santo Mazzei a partecipare ad attentati da eseguire in Toscana e a Torino. Questi attentati rientravano in un grande programma di “guerra allo Stato” che cosa nostra per volontà di Totò Riina stava ponendo in essere.

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A D.R. Come ho già dichiarato io ero bene a conoscenza dell’esistenza di una strategia di Cosa Nostra volta a colpire lo Stato sia in Sicilia che fuori dall’isola. Infatti, ritengo nei primi mesi del 1992, di aver saputo da Giuseppe Pulvirenti che qualche tempo pri ma e ritengo pertanto verso la fine del 1991 si era svolta in provincia di Enna, in una località che non mi venne indicata, una riunione voluta da Salvatore Riina alla quale avevano partecipato rappresentanti ad alto livello di Cosa Nostra provenienti da varie zone della Sicilia.

Per Catania vi aveva partecipato Benedetto Santapaola che aveva poi riferito ogni particolare dell’incontro al Pulvirenti. Il Pulvirenti non mi raccontò chi fossero gli altri partecipanti alla riunione alla quale comunque era presente Salvatore Riina in persona.

Ricordo che mi spiegò che la provincia di Enna veniva scelta di frequente per questi incontri perché era una zona non molto presidiata dalle forze dell’ordine. Ciò su cui il Pulvirenti fu più preciso riguardò l’oggetto della riunione. Il Riina aveva fatto presente che la pressione dello Stato contro Cosa Nostra si era fatta più rilevante e che comunque vi erano dei precisi segnali del fatto che alcune tradizionali alleanze con i pezzi dello Stato non funzionavano più. In pratica erano “saltati” i referenti politici di Cosa Nostra i quali, per qualche motivo, avevano lasciato l’organizzazione senza le sue tradizionali coperture.

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A D.R. Quanto alle ragioni dell’attacco allo Stato voluto da Riina e su cui si erano trovati pienamente d’accordo Santapaola e gli altri partecipanti alla riunione in provincia di Enna, il Malpassotu mi riferì solo una frase che sarebbe stata pronunciata da Riina: “Si fa la guerra per poi fare la pace”. Successivamente ebbi modo di discutere ancora con il Pulvirenti riguardo alle finalità di questa strategia di Cosa Nostra.

Secondo il Malpassotu, ora che molti accordi con il potere politico erano venuti meno bisognava fare pressione sulle Stato per altre vie sia allo scopo di indurre gli apparati dello Stato anche a delle trattative con la mafia sia, quanto meno, per allentare la pressione degli organi dello Stato su Cosa Nostra e sulla Sicilia.

Non posso essere più preciso su ciò, ma ricordo che il Malpassotu mi raccontò che si era deciso che tutte le future azioni terroristiche di Cosa Nostra venissero rivendicate con la sigla “Falange Armata”.

A D.R. Per quanto mi riferì il Malpassotu la decisione di intraprendere una vera e propria guerra allo Stato era stata presa da tutti coloro che avevano partecipato alla riunione nella provincia di Enna. Questa unanimità di vedute si era mantenuta anche dopo le stragi in danno del dr. Falcone e del dr. Borsellino.

Nel corso della sua deposizione nel processo per la strage di Capaci il Malvagna ha ribadito che, nel corso della riunione tenutasi nella provincia di Enna tra gli ultimi mesi del 1991 ed i primi giorni del 1992, cui erano intervenuti gli esponenti di vertice di tutte le province siciliane, e tra questi il Santapaola e lo stesso Riina, si era deliberata, su proposta di quest’ultimo e con l’approvazione di tutti, una strategia con la quale - preso atto che avevano perso consistenza i pregressi rapporti dell’organizzazione con appartenenti al mondo politico-istituzionale - si abbandonava ogni remora e si muoveva un attacco deciso contro l’apparato statale per destabilizzarlo e crearsi nuovi spazi di trattativa.

Malvagna ha aggiunto che si era anche con cordato che l’attuazione della strategia avrebbe richiesto il contributo di tutte le pro vince e che doveva consistere, fra l’altro, nel porre in essere attentati ed intimidazioni nei confronti di chi, nell’ambito di ogni provincia, mostrava di volere più seriamente opporsi a Cosa Nostra, tanto che egli aveva ben compreso che l’attentato al giudice Falcone faceva parte di un “progetto ancora più espansivo” (Giuseppe Pulvirenti, dopo la strage di Capaci, gli aveva detto: “devono succedere altre cose”).

Ed il Malvagna ha evidenziato che nel catanese vennero ideati ed in parte posti in essere, nel quadro della stessa strategia, atti intimidatori nei confronti del sindaco pro-tempore di Misterbianco Antonio Di Guardo, del giornalista Claudio Fava, dell’avv. Guarnera e perfino un attentato avente come obiettivo il Palazzo di Giustizia di Catania, nonché di aver appreso successivamente che appartenenti alla consorteria catanese si erano attivati per raccogliere informazioni al fine di realizzare attentati anche in Toscana e a Torino.

Poneva, altresì, in rilievo di aver appreso da Marcello D’Agata (consigliere della provincia catanese) durante la comune detenzione presso il carcere di Bicocca, tra la fine del dicembre 1993 e gli inizi del 1994, che “gli amici di Palermo” avevano mandato a dire che, tra un paio d’anni, “le cose si sarebbero sistemate di nuovo”, nel senso che sarebbe stato abolito il 41 bis e si sarebbero recuperati gli antichi privilegi.

Dichiarava, ancora, di aver dedotto dalle parole del D’Agata che la strategia di attacco allo Stato aveva dato i suoi frutti, in quanto si erano creati “nuovi agganci con pezzi delle istituzioni e della politica”.

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