Nei primi anni Duemila, Lamezia era soffocata da una 'ndrangheta pervasiva. Il pizzo rappresentava una tassa parallela, imposta con la forza e pagata da piccoli negozianti come da grandi imprenditori. La città portava addosso le ferite di una lunga scia di sangue. Undici le vittime innocenti della criminalità organizzata, per molte delle quali non si è ancora ottenuta piena giustizia
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per circa una settimana questa nuova serie sarà dedicata al Festival di Trame 2025
Era l’aprile del 2005 quando a Lamezia Terme – città di oltre 70.000 abitanti nel cuore della Calabria, con un passato al centro delle cronache per le faide e l’arroganza della ’ndrangheta – germogliava un seme di speranza inedito. Nasceva l’Associazione Antiracket Lametina ALA ONLUS, un presidio di legalità che, a vent’anni di distanza, è diventato simbolo di un coraggio civile contagioso.
Nei primi anni duemila, Lamezia era soffocata da una 'ndrangheta pervasiva. Il pizzo rappresentava una tassa parallela, imposta con la forza e pagata da piccoli negozianti come da grandi imprenditori.
La città portava addosso le ferite di una lunga scia di sangue. Undici le vittime innocenti della criminalità organizzata, per molte delle quali non si è ancora ottenuta piena giustizia. Un elenco doloroso: Francesco Ferlaino (1975), Giuseppe Bertolami (1983), Antonio Raffaele Talarico (1988), Francesco Tramonte e Pasquale Cristiano (1991), Pietro Bevilacqua (1991), Salvatore Aversa e Lucia Precenzano (1992), Gennaro Ventura (1996), e qualche anno più tardi anche Torquato Ciriaco (2002) e Francesco Pagliuso (2016).
In questo clima oppressivo, tredici cittadini decisero di reagire. Si unirono con l’obiettivo di sostenere gli operatori economici disporsi a dire “no” a racket e usura. Non si trattava solo di offrire supporto legale e psicologico, o accompagnare le vittime nel percorso di denuncia, ma di costruire una rete solidale in cui la solitudine del singolo si trasformasse in forza collettiva.
Grazie a questa rete, nel tempo molte denunce hanno portato a indagini e arresti, spezzando la catena dell’omertà e dimostrando che non pagare il pizzo non solo è possibile, ma è la via per la libertà economica.
Il 2006 segnò una svolta decisiva. Il 24 ottobre, un incendio doloso distrusse la rivendita di pneumatici e le abitazioni dell’imprenditore Godino, culmine di una lunga serie di intimidazioni. L’episodio suscitò un’ondata di indignazione che sfociò in una reazione corale: manifestazioni pubbliche e una storica serrata dei negozi, con le saracinesche abbassate in segno di protesta. Un gesto simbolico, promosso e sostenuto da ALA, che mostrò quanto una comunità possa unirsi per opporsi alla sopraffazione mafiosa e trasformare la paura in resistenza attiva. Fu allora che nacque il “Caso Lamezia”, portando la città all’attenzione nazionale. Una città che, in quegli anni, aveva già vissuto due dei tre scioglimenti del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose.
Nel 2009, i soci di Ala entrarono in tribunale al fianco dell’imprenditore Rocco Mangiardi, testimone di giustizia, quando fece i nomi e i cognomi di chi per anni lo aveva vessato con richieste estorsive, aprendo una crepa nel muro di impunità che avvolgeva la cosca denunciata, quella dei Giampà.
Negli anni successivi le attività furono numerose e significative: l’esperienza nella FAI Federazione Antiracket italiana, la costituzione dell’Associazione Antiracket di Cosenza “Lucio Ferrami” e l’avvio del progetto Mani Libere, sostenuto dal Ministero dell’Interno attraverso il Pon Legalità, che ha permesso l’attivazione di tre sportelli a Lamezia Terme, Cosenza e Polistena con attività gratuite di consulenza legale, commerciale, aziendale e psicologica (ottantacinque gli assistiti negli ultimi tre anni).
Ma non solo.
L’associazione capì presto che per contrastare l’illegalità era necessario promuovere una cultura antimafia profonda e diffusa.
Nel 2011 prese vita “Trame. Festival dei Libri sulle mafie”, grazie all’intuizione dell’allora assessore alla cultura Tano Grasso, insieme al giornalista de L’Espresso Lirio Abbate.
Unico nel suo genere in Italia, Trame ha trasformato Lamezia in un laboratorio di idee, un crocevia di incontri tra magistrati, scrittori, giornalisti, attivisti e cittadini. Un festival che non è solo letterario, ma una vera piazza civile, capace di sottrarre consenso alla criminalità con la forza della cultura. Il successo della prima edizione spinse alla nascita della Fondazione Trame, con cui ALA collabora stabilmente.
Dal 2016 vengono realizzati progetti educativi e formativi nelle scuole di ogni ordine e grado del territorio, si promuove la lettura come strumento di contrasto alle mafie e si anima il centro culturale Civico Trame, sede operativa dell’associazione e punto di riferimento per i più giovani, coinvolti in attività che aiutano a comprendere i meccanismi della criminalità per diventare cittadini consapevoli.
Negli ultimi due decenni ALA ha continuato la sua azione affiancando le Istituzioni e le Forze dell’Ordine, contribuendo a cambiare il volto di Lamezia e dell’intera Calabria.
Dalle aule dei tribunali a quelle scolastiche, l’impegno non si è mai fermato.
La sfida è tutt’altro che conclusa, la presenza mafiosa continua silente a gravare sulla città. E ALA fa da sentinella.
Una nuova generazione di imprenditori e commercianti si sta avvicinando all’associazione, segno che il lavoro quotidiano – fatto di ascolto, supporto alle vittime, memoria delle vittime innocenti e diffusione della cultura della legalità – è un investimento sul futuro, per continuare a sottrarre terreno, potere e consenso al ricatto mafioso.
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