«Ma vi sembra normale che i Verdi trionfino ovunque, mentre qui, appena ne vedi uno in faccia, viene voglia di tifare per l’effetto serra?», scriveva nel 2009 Massimo Gramellini sulle pagine de La Stampa. Provare ancora oggi a rispondere a questa domanda può servire anche a interpretare l’impasse della politica in Italia al di là dell’ambiente e dell’ambientalismo. Per farlo, basta andare in Germania.

I Grünen, primo partito verde d’Europa, hanno saputo imboccare la strada del pragmatismo sia nella politica che nella gestione concreta dell’economia, al punto che potrebbero arrivare a vincere le prossime elezioni legislative del 26 settembre. Se il suo partito vincesse, sfida non impossibile, Annalena Baerbock, la copresidente dei Verdi tedeschi, potrebbe, a quarant’anni, succedere ad Angela Merkel alla guida del governo federale. Giurista di formazione, madre di due figlie, ex campionessa del salto del trampolino, è entrata nei Verdi nel 2005, l’anno del suo master in diritto internazionale alla London School of Economics, quello in cui il suo partito tornò all’opposizione dopo sette anni di governo a fianco del socialdemocratico Gerhard Schröder, e infine quello in cui Angela Merkel venne eletta cancelliera.

Una lunga storia

Ma come hanno fatto i Verdi tedeschi a costruire l’enorme capitale di consensi di cui oggi godono? Nella storia recente del paese, i Verdi, il cui nome in tedesco, Grünen, suscita ovunque in Europa rispetto e ammirazione sono stati capaci di tenere insieme istante di progresso scientifico ed economico legato all’ambiente e istanze di integrazione sociale. Proprio grazie alla longeva esperienza dei Grünen, per molti aspetti la Germania è da considerarsi la patria dell’ambientalismo politico inteso come pensiero organico e strutturato che, facendosi partito, assume un ruolo determinante nella società.

Naturalmente in Germania la ricerca e la cultura ricoprono un ruolo centrale. Anzi, si può dire che la stessa unità nazionale dei tedeschi sia il frutto di una forte tendenza alla costruzione intellettuale, da sempre sostenuta dai governi. Nel paese che ha inventato il concetto di stato è la cultura che unisce i tedeschi: una cultura ampia che va dalla tecnologia alle scienze naturali, alla filosofia, al diritto, alla sociologia. Ed è anche grazie all’azione politica dei Grünen che la “cultura verde” occupa oggi in Germania un ruolo di assoluto rilievo.

Quando apparve per la prima volta sulla scena nazionale, negli anni Ottanta, il partito dei Grünen era sembrato a molti osservatori un’idea curiosa e originale, suscitando contemporaneamente un grande interesse e una buona dose di scetticismo. A parte il caso anomalo dell’Italia, la politica dell’Europa occidentale era giocata ovunque sull’alternanza – più o meno frequente – fra partiti di centrodestra e centrosinistra, mentre le formazioni di estrema sinistra e destra erano condannate a restare perennemente all’opposizione. In questo schema consolidato non era facile comprendere quale spazio e quali prospettive potesse avere un nuovo partito, ancorato a un programma particolare estraneo alle logiche dominanti che contrapponevano capitalismo e socialismo.

La nuova formazione politica tedesca dimostrò immediatamente una grande vitalità, imponendosi fin dai primi appuntamenti elettorali con percentuali significative, fluttuanti tra l’8 per cento e il 10 per cento, che le hanno consentito di entrare nel ristretto club dei cinque partiti che superano lo sbarramento del 5 per cento di voti alle elezioni federali. Membri di coalizioni di governi locali fin dagli anni Ottanta, i Verdi tedeschi hanno partecipato attivamente a decenni di politica nazionale, arrivando al governo nel 1998 con l’esecutivo rossoverde del socialdemocratico Gerhard Schröder, destinato a durare fino al 2005. Uno spazio politico nuovo, in parte reso possibile dalla straordinaria crescita economica che la Germania Ovest ha vissuto dopo la guerra. Il benessere diffuso in tutti gli strati della società tedesca ha favorito la ricerca di un obiettivo politico “immateriale”, con la promessa di un mondo migliore e più sano. Questo processo ha consentito di trasformare i temi della qualità dell’aria, della salute, della diversificazione energetica in questioni capaci di interessare grandi massi di elettori.

Uscire dal minoritarismo estremista

I Verdi tedeschi sono riusciti a guadagnarsi crescenti consensi facendo esattamente il contrario di quanto hanno fatto i Verdi italiani: hanno superato la pesante crisi di inizio anni Novanta uscendo dal minoritarismo estremista pur mantenendo la radicalità delle opzioni ecologiste di fondo. Mentre i Verdi italiani si rinchiudevano perlopiù nel recinto della sinistra radicale, allontanandosi sempre di più dalla cultura ambientalista, i Grünen hanno avviato nuove politiche di alleanze da costruire a livello locale e nazionale, su basi programmatiche e non ideologiche e in varie situazioni locali hanno deciso di sperimentare coalizioni anche con la Cdu. Coalizioni variegate, basate su richieste programmatiche forti e non esclusivamente ecologiste, come nel caso di riforma del sistema scolastico, che ha promosso una formazione più unitaria aprendo le porte dell’istruzione superiore e universitaria anche ai figli degli immigrati.

I Grünen hanno da sempre contribuito a elevare l’azione ambientalista favorendo il raggiungimento di un risultato sociale prima che ecologico. E la questione sociale sembra essere tornata anche al centro della proposta politica delle prossime elezioni. In un programma elettorale di 137 pagine propongono la “ristrutturazione socio-ecologica” della Germania, attraverso un netto aumento degli investimenti pubblici, pari a 50 miliardi di euro all’anno per i prossimi dieci anni, con la riforma dei vincoli di bilancio sanciti nella Costituzione tedesca.

Gli ecologisti propongono poi l’aumento immediato del salario minimo a 12 euro, l’introduzione dell’imposta patrimoniale con aliquota all’1 per cento sulle ricchezze superiori ai due milioni di euro, nonché sgravi fiscali per i redditi medi e bassi. Sul fronte della lotta al climate change, intendono aumentare l’ambizione, portando l’obiettivo di riduzione delle emissioni di anidride carbonica entro il 2030 dall’attuale 55 per cento al 70 per cento rispetto ai livelli del 1990, anticipando il graduale processo di decarbonizzazione della Germania dal 2038 al 2030.

Non solo, affinché la protezione dell’ambiente sia conveniente anche dal punto di vista economico, intendono rendere le alternative virtuose più competitive, attraverso un mix di misure: tariffe sulla anidride carbonica più elevate, incentivi e regolamentazione. Pragmatici, aperti, competenti, i Verdi tedeschi sono pronti a governare, con una classe dirigente che ha dato forma a un partito in grado di proporsi come forza di governo, mettendo in secondo piano le istanze di sterile protesta. Una distanza siderale con gli omologhi nostrani.

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