Come se l’inquietante Jake Angeli, il “vichingo” dell’assalto a Capitol Hill, twittasse commosso un’immagine del Che Guevara. L’eroina antinazista Sophie Scholl, della Rosa Bianca, ghigliottinata nel 1943, è stata più volte evocata dall’estrema destra, in Germania, per chiedere la libertà di assembramento ai tempi del Covid-19. «In nome della gioventù tedesca, chiediamo la restituzione della libertà personale» chiedeva l’ultimo volantino della Rosa Bianca nel febbraio 1943.

Ma lì ci si opponeva – rischiando la vita – a Hitler che ti poteva condannare a morte. Non ad Angela Merkel che – come tutti i governi d’Europa – cercano (come possono) di salvarti la vita.

Evocazioni fuori luogo

Stravaganti, i cortocircuiti della memoria innescati dalla politica. Mentre la presidente tedesca della Commissione europea Ursula von der Leyen rilancia in grande stile un celebre motto inglese («I care») del fiorentino don Milani, il fiorentino Renzi – Matteo d’Arabia – evoca la tedesca Sophie Scholl, celebre anche per il suo motto francese («Ci vuole uno spirito forte e un cuore tenero», da Maritain) nel giorno dell’Europa, 9 maggio, che coincide con il centesimo anniversario della nascita della studentessa tedesca che sfidò Hitler.

Non è peraltro la prima volta che il centrismo italiano prova a mettere le mani su un fiore dal potere evocativo: una dozzina di anni fa ci provò il persistente Tabacci, a usare il nome dei resistenti tedeschi, infiammando la reazione (anche per via giudiziaria) dei rosabianchisti italiani.

Quasi centocinquanta scuole in Germania sono intitolate a Sophie Scholl e al fratello Hans. E anche in Italia, a Trento, un liceo linguistico è intitolato a Sophie Scholl. Ormai un’icona pop. Un compleanno contrassegnato da nuove biografie, storie a fumetti, rievocazioni internazionali, l’inchino del presidente del parlamento europeo David Sassoli, un omaggio della Bbc (sulle cui frequenze Thomas Mann, nel 1943, raccontò per primo al mondo la storia della Rosa Bianca).

E in questo 9 maggio 2021, ulteriore intreccio di memoria in Italia, nella giornata delle vittime della violenza politica Giovanni Bachelet, figlio di Vittorio, professore di diritto ammazzato dalle Brigate Rosse dentro l’università, chiude il suo discorso sugli anni di piombo (riportati d’attualità dagli arresti di Parigi) celebrando Sophie ragazza d’Europa: vale a dire il coraggio delle parole disarmate contro una dittatura criminale. Altro che terrorismo politico. Mani nude che fanno volare i volantini.

Contro il “sistema”

Figlio di un internato militare nei lager, il giornalista Paolo Giuntella a fine anni Settanta propose il nome degli studenti antinazisti della “Rosa Bianca” per un gruppo di giovani cattolici democratici che volevano cambiare la politica italiana. Non avrebbe potuto immaginare che quarant’anni dopo quel nome sarebbe stato usato dalla Afd, l’Alternative für Deutschland, il partito della destra tedesca, per rivendicare la libertà della coscienza contro il “sistema” consociativo di democristiani e socialisti.

«Io mi sento come Anne Frank nel suo rifugio di Amsterdam perché anche io devo sussurrare e non fare rumore se mi ritrovo clandestinamente con le amiche in tempi di lockdown e di riunioni proibite». «Io mi sento come Sophie Scholl, martire antinazista della Rosa Bianca, perché anche loro – come noi oggi al tempo del Covid-19 – chiedevano la libertà rispetto alle ingerenze dello stato nelle nostre vite». Parole di una ragazzina di undici anni e di una ventenne diventata celebre come Jana di Kassel.

Le loro voci amplificate dai palchi dei negazionisti/complottisti sono diventate in Germania i simboli del revisionismo che rilegge in modo radicale ed eretico l’eredità della resistenza antinazista. E le piazze si sono riempite dell’indignazione antifascista. I cartelli dicevano «Voi non siete Sophie Scholl».

E mentre gli italiani scoprono o riscoprono la Ragazza Resistente, in Germania uno dei nipoti dell’eroina simbolo dell’antinazismo, Julian Aicher, si schiera decisamente con gli oppositori di Merkel sul fronte della pandemia.

Alla contraddizione che ripropone l’irresistibile ambivalenza della parola “libertà” – troppo importante e troppo assoluta per non prestarsi a svariate e diverse interpretazioni storiche e politiche – ha dedicato il suo “Magazin” di domenica scorsa uno dei maggiori giornali tedeschi, Die Zeit, che fin dal nome della sua testata porta l’onere e la missione di interpretare “il tempo” che cambia.

La Zeit dunque ha fotografato insieme i tre nipoti di Sophie Scholl, i figli di Inge, la sorella maggiore che consacrò la sua vita al racconto e alla memoria dei fratelli decapitati. E ha spiegato che uno dei tre, ormai sessantenni, si è schierato decisamente con i negazionisti.

Ma che cosa ha a che fare la Rosa Bianca con i Querdenker? Così chiamano in Germania quelli che noi etichettiamo più sbrigativamente come “no-mask”, e che invece il vocabolario tedesco nobilita a pensatori (Denker) dissidenti o trasversali, stravaganti, originali: la preposizione quer ha appunto il significato di attraversare in diagonale, di mettersi in mezzo.

Contro le restrizioni

Che cosa dice Julian Aicher alla Zeit? Dice che il messaggio di libertà della Rosa Bianca lo induce ad esprimersi liberamente anche contro le restrizioni alla libertà stabilite da un regime democratico. Non gli importa di essere usato come un simbolo, anche a destra, perché la causa della libertà non ha colori politici.

E lui, amplificato da una star negazionista di YouTube, Ken Jebsen, mette insieme la sua lunga esperienza di attivista delle energie pulite (nella casa dei genitori, a Rotis nella Germania sudoccidentale, c’è un mulino che ha cent’anni) e le polemiche contro le misure anti-Covid, per sentirsi pensatore minoritario e discriminato, bersaglio facile dell’industria atomica e di Bill Gates, della retorica antifascista e del conformismo della Grosse Koalition, democristiani e socialisti insieme nel governo.

I fratelli e i cugini di Aicher si sono sentiti in dovere di diffondere una pubblica, solenne dissociazione: Sophie Scholl non può essere usata come icona della destra. La storia non può essere riscritta. Gli eroi non vanno decontestualizzati dalla loro epoca.

La dissonanza è forte ma non è nuova. Già nel 1994 Hans Hirzel, un amico dei fratelli Scholl, come loro processato dai nazisti durante la seconda guerra mondiale, dopo una quasi ventennale militanza nella Cdu, la Dc tedesca, si candidò addirittura alla presidenza della Repubblica tedesca, in rappresentanza dei Republikaner, cioè la destra più vicina ai gruppi neonazisti vietati dalla legge. Raccolse solo undici voti, tra i parlamentari che elessero il democristiano Roman Herzog, ma il caso Hirzel fu uno shock per la coscienza tedesca. Come lo furono le dichiarazioni schiettamente anti-islamiche della sorella di Hirzel, Susanne, amica di Sophie Scholl.

La Rosa Bianca che chiedeva un’Europa federale e antimilitarista, la libertà di coscienza e il rispetto dei diritti individuali, sventolata dunque in faccia ai perbenisti dell’antifascismo militante e usata per un paragone da brividi: tra il regime liberticida del nazionalsocialismo e le misure “illiberali” della democrazia tedesca ai tempi del Covid-19.

La nobile parola «Freiheit», libertà, ricorre molte volte nei sei volantini della Weisse Rose, la Rosa Bianca, diffusi a Monaco di Baviera e in altre città tedesche tra il giugno 1942 e il 18 febbraio 1943, quando i fratelli Hans e Sophie Scholl furono arrestati all’università di Monaco mentre distribuivano l’ultimo appello alle studentesse e agli studenti tedeschi, l’appello finale e inutile alla ribellione contro “il caporale della prima guerra mondiale”: cioè il dittatore che stava portando la Germania a una sanguinosa sconfitta, come aveva appena dimostrato la capitolazione della sesta armata tedesca, intrappolata dall’inverno e dalla resistenza russa a Stalingrado.

Libertà e responsabilità

In realtà, a leggere bene i testi dei volantini, la rivendicazione della libertà è sempre accompagnata da un’altra fondamentale parola: la responsabilità. «Ogni popolo merita il governo che tollera», proclama la Rosa Bianca. E punta il dito contro la maggioranza dei tedeschi che, non risvegliandosi dal sonno della coscienza nonostante i crimini del nazionalsocialismo, è irrimediabilmente colpevole. Corresponsabile, appunto.

«Anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti» canterà il De André di Storia di un impiegato, affermando lo stesso concetto. Ma nel Suonatore Jones canterà anche la natura ambivalente della libertà: «Libertà l’ho vista dormire nei campi coltivati, a cielo e denaro, a cielo ed amore, protetta da un filo spinato».

La memoria continua a ingarbugliare la coscienza dell’Europa. Che commemora Sophie Scholl, il cuore tenero e lo spirito inflessibile. Ma non si sente troppo coinvolta dai morti nel Mare nostrum e dai fili spinati del medioriente.

Il destino dei simboli è inevitabilmente consegnato alla politica, incluse le derive politicamente scorrette. Agli storici spetta il dovere della contestualizzazione, e dei puntini sulle i, ma oggi Sophie Scholl è di tutti, come don Milani e come il trinomio della rivoluzione francese.

Che ci ricorda comunque la complessità della storia europea: gli studenti della Rosa Bianca furono uccisi in una prigione tedesca con uno strumento letale di concezione francese, la ghigliottina, perfezionato dalla rivoluzione che aveva decapitato in nome della libertà, dell’eguaglianza e della fraternità. Gli stessi valori della Rosa Bianca che indicava, «Libertà di parola, libertà di fede, difesa dei singoli cittadini dall’arbitrio degli Stati criminali fondati sulla violenza», come basi della nuova Europa.

Dal Novecento dei totalitarismi alla pandemia totale del nostro presente, la lama affilata della contraddizione ci è costante, scomoda, ineludibile compagnia. L’importante sarebbe esercitare un chirurgico discernimento tra storia e propaganda. Voi non siete Sophie. Nessuno lo è. Solo Sophie Scholl è Sophie Scholl.

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