Dopo che un’organizzazione antifascista ha sabotato l’intervista – all’aperto – di Weidel, AfD chiede che il servizio pubblico ripeta il colloquio. E poi, il tentativo di Merz di raccogliere investimenti e un brutto caso di interferenza nella programmazione del cartellone del teatro di Osnabrück
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Eccoci ancora qui, anche con temperature difficili, a portarvi il racconto delle vicende tedesche. Questa settimana ne abbiamo per tutti i gusti, dalla politica all’economia.
Controcanto
La notizia del weekend è stata l’intervista alla leader di AfD Alice Weidel. Sembra un Sommerinterview – la serie di colloqui che la tv pubblica propone ogni estate con i leader politici del momento – come tanti altri, ma quando è toccato alla capa del più grande partito di opposizione è stata un’altra storia.
Perché Weidel è riuscita a rispondere soltanto con grande difficoltà alle domande del suo interlocutore, che spesso non riusciva a sentire. La causa? Una protesta a tantissimi decibel: le interviste si svolgono su una terrazza di fronte al Reichstag, peccato che il Zentrum für politische Schönheit, un’associazione interamente dedita alla lotta ad AfD, abbia deciso di organizzare un carro che ha trasmesso con casse molto molto potenti l’inno del popolo antifa Scheiss-AfD (“AfD di merda”), canto angelico che ha accompagnato le polemiche contro tutte e tutti sollevate da Weidel.
Di fronte al tentativo del conduttore di spiegare la situazione al pubblico, la leader si è irritata e ha chiesto di continuare la conversazione come se nulla fosse, anche se certi dettagli le sfuggivano, e ha accusato i manifestanti di essere scesi in piazza finanziati con soldi pubblici «attraverso qualche ong». Alla fine, l’intervista è andata avanti come da programma, offrendo a Weidel l’occasione di mostrare il suo più grande talento, che contemporaneamente è anche il suo limite più grande, secondo quanto scrive la Zeit: la capacità di mostre disgusto.
Attacco alla Germania?
Durante la sua conferenza stampa estiva, il cancelliere Merz, oltre a dichiarazioni piuttosto telefonate, per esempio sulla posizione di Berlino nei confronti del governo israeliano (che è critica, ma senza che all’orizzonte ci siano interventi più pragmatici, come sanzioni o revisioni di contratti), ha parlato di banche. E ha bollato l’operazione di Andrea Orcel su Commerzbank – nonostante Unicredit sia ancora al di sotto della soglie oltre la quale dovrà lanciare un’Opa sull’istituto tedesco partecipato dal governo di Berlino – come «ostile contro Commerz e contro la repubblica federale di Germania».
Una presa di posizione che in questi termini non c’era ancora stata e che fa valere tutto il peso economico del governo, che si oppone all’iniziativa della banca di piazza Gae Aulenti. Abbiamo seguito la vicenda qui.
Tutti per uno
Merz si avvicina alla pausa estiva con un successo, almeno apparente. Il capo del governo si porta a casa oltre 600 miliardi di investimenti dei principali gruppi economici tedeschi. In un appuntamento alla cancelleria, oltre 60 aziende hanno promesso di spendere il proprio denaro nel paese. Si tratta di spese già pianificate e nuove, investimenti in ricerca e sviluppo e impegni di investitori stranieri.
A Merz, che sta cercando un modo per rilanciare l’economia tedesca, da tempo in difficoltà, la photo opportunity fa più che comodo. Tra gli invitati, i capi di Deutsche Bank, Siemens, Axel Springer e FGS Global. Attualmente, gli investimenti nel paese sono ben sette punti al di sotto del livello che raggiungevano nel 2019.
Punto di debolezza dell’iniziativa, l’assenza di interlocutori del ceto medio. Alla riunione hanno partecipato soprattutto aziende molto grandi, ma secondo i detrattori sarebbe il caso di includere anche le imprese più piccole, anche se ovviamente i soldi stanziati dai grandi spesso vanno a favore di fornitori di dimensioni minori.
Ma gli imprenditori si sono presentati anche con delle richieste: Made for Germany, hanno detto in tanti, avrebbe bisogno di un segnale dalla politica. Non basta solo la spesa a debito, è il senso del ragionamento, ma ci vorrebbe anche un taglio della burocrazia.
Cala il sipario
La Zeit racconta la storia di un brutto scandalo in tema culturale che è andato in scena ad Osnabrück, una cittadina tra il confine con i Paesi Bassi e Hannover di poco più che 150mila abitanti. Il caso riguarda la première di un pezzo che mette in scena un abuso sessuale nascosto dalla chiesa cattolica. Il sovrintendente ha deciso di annullare la prima rappresentazione di Ödipus Exzellenz.
Osnabrück è tradizionalmente di impostazione molto cattolica, c’è una sindaca della Cdu e un report dimostra che in quella parrocchia sono stati abusati almeno 400 bambini e adolescenti. Il regista Lorenz Nolting e la drammaturga Sofie Boiten hanno scelto questo palco per mettere in scena un dramma che ha molto a che fare con il tema del non voler vedere nell’Edipo di Seneca. Ma il sovrintendente Ulrich Mokrusch ha perso quasi immediatamente interesse, poi avrebbe chiesto di proporre una lettura generica nella rappresentazione, senza scegliere nel dettaglio dei nomi o delle realtà. Successivamente sarebbe scesa in campo perfino la diocesi stessa, con il vicario generale – in buoni rapporti con il sovrintendente – che ci avrebbe tenuto a far sapere di essere felice di mantenere «un rapporto di fiducia» con il teatro.
Alla terza settimana di prove, il sovrintendente avrebbe poi deciso di intervenire direttamente sulla sceneggiatura, tagliando di netto il Padre nostro che vi era citato e una scena che rappresentava una messa: «Diceva che era sua responsabilità proteggere il pubblico: tanti cittadini di Osnabrück sono cattolici, è una cosa intima».
Di fronte all’insistenza della compagnia, si sarebbe arrivati a scontri verbali, accordi da firmare e rapporti infranti, in primis quello con un sopravvissuto agli abusi che stava collaborando alla realizzazione della messa in scena. E, alla fine, la rappresentazione viene annullata: per la Zeit, un’occasione di riflettere sullo Zeitgeist, su quanto sia davvero opportuno “proteggere” il pubblico da provocazioni artistiche e fino a che punto – ammesso che esista un limite – debba spingersi la libertà d’opinione.
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