«Rischi di mercato» ma soprattutto «un approccio ostile alla Germania che non accettiamo». Il cancelliere tedesco Friedrich Merz ha ulteriormente affievolito le già tenui aspettative di Andrea Orcel di mettere le mani su Commerzbank. Interpellato a proposito della fusione, Merz – che pure si è dichiarato a più riprese un fan degli investimenti internazionali in Germania – nella tradizionale conferenza stampa estiva della cancelleria è stato durissimo. E rischia di aprire una crepa nei rapporti per il resto buoni con Giorgia Meloni alzando il livello dello scontro e definendo il tentativo di scalata ostile nei confronti della repubblica federale.

«Le mie riserve sulla scalata della Commerzbank hanno due ragioni: innanzitutto, il fatto che si tratti di un’operazione ostile. Sia nei confronti di Commerzbank, sia nei confronti della Repubblica federale di Germania. In secondo luogo c’è da considerare che l’istituto che si verrebbe a creare potrebbe rappresentare anche a causa della sua struttura di bilancio un rischio rilevante per il mercato finanziario. E prima che questa questione sia stata chiarita a sufficienza, non cambierò idea», ha detto.

Insomma, niente da fare. Dopo le proteste di dipendenti, consiglio d’amministrazione e della gran parte della politica tedesca – anche Merz aveva già preso posizione con una lettera indirizzata alla rappresentanza sindacale in Cda – la cancelleria respinge ancora le avance di Unicredit, che pure ormai tra azioni e derivati convertibili è arrivata a possedere il 20 per cento della banca tedesca.

L’impressione è che l’istituto di riferimento per il finanziamento del ceto medio tedesco di cui il governo di Berlino possiede il 12 per cento non sia in vendita, né ora né mai. Tanto che di fronte alla domanda su cosa Orcel potrebbe fare diversamente per conquistare la fiducia del governo tedesco, la risposta appare girare in tondo: «Gliel’ho fatto sapere personalmente e da parte di altri, come i vertici di Commerzbank e la rappresentanza sindacale o il ministro delle Finanze» ha detto il cancelliere. «Anche la trasformazione dei derivati in azioni non è stata concordata né con Commerzbank né con il governo. Questo è un approccio ostile che non accettiamo né sosteniamo».

Cambio di passo

Il salto di qualità della polemica di Merz, che dal piano economico è passata a quello diplomatico, non è passato inosservato né a Milano né a Roma. Nell’ultimo incontro bilaterale ufficiale dei due, a maggio, Merz si era detto fiducioso che Unicredit non avrebbe voluto procedere all’acquisizione che secondo le norme tedesche scatta con il superamento del 30 per cento di capitale nell’azionariato.

«La quota in Commerzbank è inferiore a quella che richiederebbe un'offerta di acquisizione. Non è prevedibile che tale livello venga raggiunto o superato» aveva detto in quell’occasione il cancelliere. La vicenda rischia di aprire una faglia nei rapporti per lo più buoni tra Roma e Berlino, che collaborano su una lunga serie di temi su cui condividono posizioni simili, come la gestione dei migranti o la strategia da tenere con Donald Trump per risolvere la grana dei dazi.

A raccogliere la palla il Pd: «Ma Meloni, Giorgetti e Salvini, in teoria tutti Nazione e Tricolore, non hanno nulla da dire in proposito?» scrive il responsabile economia Antonio Misiani su X.

Effettivamente, la protezione della “sicurezza nazionale” sembra essere un tema solo per applicare il Golden power nei confronti di Unicredit per bloccare la scalata a Banco Bpm. A questo punto appare quasi un paradosso l’ipotesi che il governo e il ministero dell’Economia si possano trovare a dover difendere Unicredit dopo i trascorsi burrascosi con l’istituto guidato da Orcel.

Ma mentre per il momento il governo non sembra interessato a raccogliere le parole del cancelliere, Unicredit rischia di trovarsi nel giro di poco con due scalate fallite. Sul versante italiano, infatti, il tempo passa ma non sembra in vista né un rilancio da parte della banca di piazza Gae Aulenti, né una seconda sospensiva dell’Ops tirata in ballo da Paolo Savona durante la sua audizione in Senato.

Se i giuristi della Consob non dovessero riuscire a individuare al più presto l’appiglio giuridico a cui aggrapparsi per prolungare un’altra volta l’operazione, però, l’Ops andrebbe probabilmente a scontrarsi contro la scadenza del 23 luglio. Un secondo fallimento per Orcel, dopo la pietra tombale sulla scalata a Commerzbank.

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