La preoccupazione per l’instabilità politica ed economica nel paese con cui la Germania ha il legame più stretto porta a una paura del contagio. Nell’incontro con il governo francese Merz vuole mostrarsi come alleato affidabile
Iscriviti alla newsletter La Deutsche Vita: ogni settimana una finestra sull’attualità e la politica tedesca ed europea, ma anche sui dibattiti che coinvolgono la cultura e l'opinione pubblica
Inizia settembre, in alcuni Land è già ricominciata anche la scuola ed eccoci qua con la consueta rassegna settimanale degli argomenti più importanti nel dibattito tedesco. Per altro, in una giornata caldissima, considerato che oggi andrà in scena l’incontro tra Wolfram Weimer e Pier Silvio Berlusconi dopo l’acquisizione da parte di Mfe del gruppo ProsiebenSat.1.
Non amato, non aiutato
Il cancelliere Friedrich Merz arranca nei sondaggi, AfD è sempre lì, pronta a scavalcare la Cdu. Domenica scorsa ha affrontato il Sommerinterview, l’intervista estiva al servizio pubblico che ormai è tradizione nella programmazione della tv tedesca: un’occasione persa, secondo alcuni, primo fra tutti Bernd Ulrich della Zeit, che segnala come il cancelliere avrebbe meritato, più della tolleranza paziente della giornalista che l’ha intervistato, uno sguardo rivolto al cielo à la Meloni. Al di là delle faccette per cui la premier si è guadagnata una reputazione anche all’estero, l’atteggiamento nei confronti della stampa di Merz è però ancora ben lontano da quello della presidente del Consiglio, che ha ammesso pubblicamente di non amare il confronto con i giornalisti.
Nonostante lo scarso consenso, scrive Ulrich, l’atteggiamento è rimasto sprezzante, senza nessuna ambizione di spiegare qualcosa al pubblico che lo sta guardando da casa e con modi boriosi nei confronti della giornalista che lo sta intervistando – «non capisco perché mi stia chiedendo questa cosa per la terza volta, signora Zimmermann» – quasi che si fosse presentato a un duello, non a un dialogo. Ogni domanda di merito, continua il settimanale, è stata affrontata in maniera complicata e noiosa. Resta il dubbio, è la conclusione, se l’ex giornalista (in Germania fa già scalpore che si passi dal fare il giornalista a diventare portavoce senza pausa intermedia, figurarsi come reagirebbero alle notizie che hanno riguardato nei giorni scorsi il direttore del Tg1 Gian Marco Chiocci, forse in procinto di passare alla comunicazione della premier) e ora portavoce del cancelliere Stefan Kornelius abbia un piano. «Si chiede che effetto possono avere queste interviste reticenti su quella parte del pubblico che non si occupa di politica per lavoro?»
Lo Spiegel, dal canto suo, è pure critico ma per altre ragioni: per Florian Gathmann, infatti, Merz sta puntando troppo su un elemento che finora lo ha rafforzato nella gestione del suo incarico, la capacità di mantenere la calma. Il problema, si legge nel settimanale, è che la coalizione è già talmente poco amata dopo soli quattro mesi che anche l’impegno del cancelliere di abbassare i toni e non provocare ulteriori escalation con i soci socialdemocratici non appare sufficiente per calmare le acque. Nonostante lo sforzo di cercare ciò che unisce piuttosto di dare seguito a quel che divide, è il ragionamento, casi come la divisione dei gruppi parlamentari sull’elezione di una nuova giudice della Corte costituzionale non devono più succedere. Solo che, nonostante una grigliata estiva comune per portare a lavorare meglio insieme i tre gruppi di maggioranza, non è chiaro come la coalizione intenda risolvere i problemi dell’autunno, quindi certi cortocircuiti rischiano di perpetuarsi.
Paura per i cugini oltre il Reno
Lo scorso fine settimana si è tenuto il Consiglio dei ministri congiunto di Francia e Germania a Tolone. Un’occasione per Merz per mostrare ancora una volta che sul piano internazionale il cancelliere è ben saldo sia nella coalizione dei volenterosi sia sullo scacchiere europeo (ma anche per fare show off delle sue capacità linguistiche, effettivamente superiori a quelle del suo predecessore Scholz, che però a differenza sua non aveva studiato in Francia).
Da leggere è il commento di Henrik Müller sullo Spiegel, che ha guardato più vicino la “malattia europea” che rischia di contagiare anche i vicini della Francia. Punto di partenza è lo spread tra titoli di stato tedeschi e francesi, in grande crescita. Il rischio economico è da ricondurre all’incertezza politica del governo Bayrou, prossimo a un voto di fiducia che difficilmente sopravvivrà. Per Müller, quello che sta succedendo in Francia rischia di essere prodromico a quel che potrebbe accadere anche ad altri paesi europei qualora non riuscissero a «stabilizzare a livelli sostenibili le strabordanti spese per lo stato sociale». La mancanza di sostegno dei partiti tradizionali, però, rende le riforme necessarie fuori portat«: portando così, è il ragionamento, a un fallimento prima economico, poi politico.
Dal punto di vista dell’economista, le ragioni per la china discendente su cui si trovano Bayrou ed Emmanuel Macron (e su cui rischiano di finire presto anche altri paesi europei) sono tre. Innanzitutto, lo squilibrio tra la rappresentazione degli interessi di anziani e giovani: nessuno ha ancora trovato la soluzione perché la creazione di valore sia mantenuta a livelli stabili nonostante il declino demografico né fornito la ragione per la quale abbia senso che i giovani si impegnino ancora nei loro paesi. Müller sottolinea anche la diffusione di un approccio nostalgico, una sensazione che rischia di limitare la capacità delle società di intervenire in maniera decisa per affrontare le crisi. In terzo luogo, c’è la capacità dei partiti populisti di cogliere proprio questo sentiment, negando che ci sia necessità di intervenire a qualche livello: motivo per cui sia Marine Le Pen che Jean-Luc Mélenchon rifiutano in maniera decisa il pacchetto di tagli che ha proposto Bayrou (e che, sostiene Müller, potrebbe migliorare la situazione economica del paese).
Salvare la memoria
Christian Endt ha intervistato per la Zeit Sebastian Majstorovic. Un nome che a primo impatto non vi dirà niente, ma il programmatore di Colonia si sta applicando per creare una sorta di back up della realtà. Dopo che ministeri e agenzie federali americane hanno infatti iniziato a bloccare la raccolta dati su fenomeni che non sono in linea con la visione del mondo trumpiana, ci sono stati anche casi di dataset che sono stati rimossi dai siti degli enti governativi.
È per esempio il caso della foto di un veterano di colore della Seconda guerra mondiale che ha ricevuto la Medal of Honor, dei dati sui danni provocati da disastri naturali e legati al cambiamento climatico e addirittura dell’immagine che ritrae il bombardiere “Enola Gay”, vittima di un filtro anti-gender.
Il Data Rescue Project salva i dati su un hard disk esterno prima di ricaricarli in rete, in modo da mantenere una copia di sicurezza inaccessibile al web: non è però così facile trovare una collocazione, considerato quanto costa l’affitto di un server abbastanza potente, una cifra che spesso non si può coprire soltanto con donazioni e sostegno della società civile. In prospettiva, però, soprattutto se l’amministrazione Trump continuerà a esprimere critiche nei confronti di produzione scientifica e artistica a questo ritmo, il lavoro di Majstorovic sarà essenziale per porre un freno alla riscrittura del passato. Resta la paura per il futuro, scrive Endt. Una volta occupati gli enti cruciali con figure che rispondono alla Casa Bianca, l’affidabilità dei dati raccolti sarà per sempre compromessa.
Dove pescano i populisti
Un’analisi Pisa sugli adulti rivela che in Germania il 20 per cento delle persone sanno leggere e scrivere solo molto male. Si collocano al cosiddetto Level One, una condizione in cui le persone sono più ricettive per le istanze populiste. Si tratta di lettori che sono a loro agio con testi brevi e semplici, ma evitano documenti più lunghi ed aggirano la scrittura preferendo altri strumenti come i messaggi vocali.
La percentuale della popolazione che ha questo tipo di limiti è stabile dal 2012, ma la componente di stranieri è cresciuta dallo stesso anno dal 28 al 46 per cento. Ciononostante, spiega l’autrice dello studio alla Zeit, non è una questione che riguarda solo i migranti: nella seconda generazione, infatti, le capacità delle persone con origine non tedesca sono identiche a chi ha famiglie che risiedono nel paese da generazioni. Il problema è piuttosto di natura economico-culturale. Spesso chi ha stipendi bassi può permettersi di vivere solo in zone periferiche o lontano dalle città.
Contesti in cui l’offerta culturale è più ristretta e la formazione scolastica può avere dei limiti, come la scarsità di insegnanti e la bassa motivazione del personale docente. Il rischio è poi che la cifra di chi ha limiti nella comprensione aumenti, considerato che si registrano carenze crescenti nella formazione scolastica. Il fatto, spiega Anke Grotlüschen, è che persone che leggono e scrivono male hanno meno fiducia nel prossimo, sia nella vita di tutti i giorni, sia per quanto riguarda le istituzioni: un atteggiamento che di frequente va di pari passo con l’adesione a idee di stampo populista, che spesso cavalca l’incapacità di leggere legami e conseguenze per spaventare le persone.
© Riproduzione riservata



