Dopo le elezioni del settembre 2021 il parlamento tedesco sembra rispecchiare meglio la pluralità della società tedesca: oltre l’undici per cento dei suoi componenti ha un passato migrante.

Migrationshintergrund, letteralmente «retroscena di migrazione», è il termine usato dalle scienze sociali e dalla statistica per indicare il cittadino che non è nato cittadino tedesco o che ha uno dei genitori nato senza la cittadinanza. Qualche esempio di deputati con questo status: Awet Tesfaiesus (1974) dei Verdi, nata ad Asmara e arrivata in Germania all’età di dieci anni, prima donna di colore ad essere eletta al Bundestag. Già nella scorsa legislatura erano stati eletti i primi afrotedeschi, Karamba Diaby (1961) della Spd e Charles M. Huber (1956) della Cdu. Sempre nel nuovo parlamento siedono Rasha Nasr (1992) della Spd, nata a Dresda da genitori siriani, che avevano ottenuto asilo nella vecchia Germania Est, e Muhanad al Halak (1989), nato in Iraq e arrivato nella Repubblica federale a undici anni, oggi nel gruppo dei liberali.

Quello dei deputati con Migrationshintergrund è un dato in crescita: ha guadagnato tre punti percentuali in più rispetto alla passata legislatura, ma bisogna fare attenzione. «Sicuramente è un dato a prima vista positivo. Come pure quello sulle pluralità di genere. Non va mai dimenticato, tuttavia, che siamo lontani dalla quota di persone con passato migrante presenti nella società tedesca» sottolinea Enrico Ippolito, giornalista e autore, nato in Germania, con passato migrante italiano.

Qui il problema si fa tecnico: la quota nella società di persone migranti a vario titolo è di oltre il ventisei percento, ma soltanto circa la metà è ammessa al voto. Ecco perché la coalizione semaforo si è impegnata a semplificare in questa legislatura le procedure per ottenere la cittadinanza, una riforma già avviata alla fine degli anni Novanta dal governo rosso-verde di Gerhard Schröder.

Il passato

In effetti, la Germania è da tempo una terra di immigrazione, perlomeno dall’accordo proprio con l‘Italia del 1955, che spinse tanti emigranti verso la Germania che aveva disperato bisogno di manodopera.

La consapevolezza di questa realtà, però, ha faticato a imporsi. Questi lavoratori erano solo Gäste, ospiti, da cui l’espressione che caratterizzava il loro stato Gastarbeiter, lavoratori ospiti. A voler sottolineare che la loro presenza era solo temporanea, prima o poi sarebbero andati via. In realtà, hanno lavorato per ricostruire il paese, cambiarlo e per tanti aspetti migliorarlo.

Uno strumento fondamentale di integrazione in questo contesto è stato proprio il sindacato, che si è confrontato sin dall’inizio con la necessità di dover rappresentare questi lavoratori stranieri. E non è sempre stato un compito semplice: la competizione tra lavoratori nativi e quelli ospiti, considerati un modo per tenere bassi i salari, è sempre stata alta e spesso sottovalutata dai sindacalisti.

Tuttavia, secondo uno studio coordinato dalla professoressa Naika Foroutan dell’università Humboldt di Berlino, proprio la IG Metal, uno dei principali sindacati tedeschi, è riuscita a raggiungere un risultato importante: già nel 2017 la quota di iscritti “con passato migrante” rispecchiava quella complessiva della società.

Il presente

Era solo questione di tempo perché questa presenza nella società tedesca si manifestasse anche nelle istituzioni. Persino nella destra: anche Alternative für Deutschland ha nel suo gruppo parlamentari con un passato migrante. Harald Weyel (classe 1959), ad esempio, anche lui di colore, figlio di un soldato americano, e grande critico della politica dei governi Merkel sull’euro, eletto al Bundestag già nel 2017. O Petr Bystron (del 1972), nato nella ex Cecoslovacchia e molto vicino agli ambienti della destra più estrema e radicale, che raccolgono molto consenso nella parte di popolazione russofona e in generale proveniente dall’Europa orientale.

L’esempio più famoso e positivo, però, è probabilmente quello di Cem Özdemir, politico dei Verdi e figlio di due Gastarbeiter turchi arrivati in Germania negli anni Sessanta. Qualche settimana fa, Özdemir ha giurato come ministro dell’Agricoltura nel nuovo governo federale, arrivando al parlamento per il giuramento in sella alla sua bicicletta, dopo essere stato per anni al vertice del suo partito, i Verdi.

Il giorno del giuramento sono stati in moltissimi sui social network a manifestare la propria soddisfazione: Özdemir è diventato, consapevolmente o meno, il simbolo della nuova Germania e l’immagine di riscatto per molti.

Per Ippolito, però, c’è anche dell’altro, che riguarda le nuove generazioni: «La storia di Özdemir è certamente interessante. Ma non bisogna dimenticare i fatti di razzismo degli ultimi decenni, intensificatisi negli ultimi anni, prendiamo gli omicidi di Hanau e il fallito attentato alla Sinagoga di Halle da parte di estremisti di destra. Questi fatti hanno prodotto una reazione, un antirazzismo che si è imposto nell’agenda politica tedesca».

È la cronaca degli ultimi decenni, dai primi incidenti di Rostock (nell’ex Germania est) nel 1992 ai morti di Sollingen (a ovest) dell’anno successivo sino alla crescita dell’estremismo di destra, intensificatasi nel 2015 con l’arrivo dei migranti in seguito alla guerra in Siria. Questa volta, però, il dibattito non è stato più condotto solo da una parte della società, che chiedeva sicurezza, tutela della “vera” Germania e messa al bando dell’Islam.

A prendere la parola sono stati i tanti Özdemir cresciuti in questi anni, che hanno mostrato, in televisione (il gruppo Datteltäter con video di satira sulla società tedesca sul primo e secondo canale), con i romanzi (i casi diversissimi di Fatma Aydemir, Kübra Gümüşay e Ronya Othmann) o con l’impegno politico, come la Germania sia molto più variegata di quello che si credeva.

Oggi in Germania sono veri e propri eroi Uğur Şahin e Özlem Türeci, fondatori di Biontech, che hanno realizzato il primo vaccino per il Covid, anch’essi con una storia migrante. Ma sono ancora casi isolati. Nelle posizioni lavorative manageriali la rappresentanza dei lavoratori con passato migrante è molto limitata.

Qualcosa da correggere, per la stessa economia del paese che non riesce a impiegare adeguatamente persone con tante competenze, formalizzate e non, a partire da quelle linguistiche: i figli dei migranti crescono di solito parlando due o tre lingue. Ma devono lottare tantissimo, spesso molto più degli altri – anche per via della bassissima mobilità sociale in Germania – per arrivare a ottenere una laurea. Non utilizzare adeguatamente queste risorse è uno spreco enorme, oltre che un problema di giustizia sociale.

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