La crisi dell’automotive rischia di avere conseguenze devastanti sulla più grande azienda automobilistica tedesca. Dopo l’annuncio shock di lunedì, il cancelliere media con il settore produttivo per uscire dall’impasse
Torniamo da voi nel mezzo della tempesta. Da tempo all’orizzonte economico della Bundesrepublik si stagliavano nuvole che destavano preoccupazione, ieri poi la pioggia ha incominciato a cadere e il vento a soffiare. Tradotto: è finita la tregua negoziata con i sindacati e già stanotte sono iniziate le prime mobilitazioni di Ig Metall, potente sindacato metalmeccanico.
Al centro delle agitazioni c’è il caso Volkswagen: dopo colloqui con i vertici aziendali, il collegio sindacale ha anticipato il desiderio dell’azienda di tagliare decine di migliaia di posti di lavoro e chiudere almeno tre impianti di produzione. Parliamo anche dei rapporti con l’Iran, le trattative per i governi regionali all’est e il futuro del servizio pubblico tedesco.
Dopo Vw, il diluvio
Il nodo è arrivato al pettine. I vertici aziendali hanno comunicato ieri al Betriebsrat, il collegio sindacale, che hanno intenzione di tagliare decine di migliaia di posti di lavoro e chiudere tre impianti produttivi. La ragione sarebbe nella crisi economica strutturale che sta attraversando l’economia tedesca in generale e l’automotive nello specifico.
Ironico, considerato che l’azienda ha distribuito dividendi fino a pochi mesi fa: ora sembra che a rischio siano soprattutto gli impianti produttivi più piccoli che saranno sacrificati per arrivare a risparmiare 5 miliardi di euro, la stessa cifra che era arrivata agli azionisti soltanto a maggio scorso.
La notizia – non ancora confermata dall’azienda – ha subito provocato la preoccupazione del sindacato che ha promesso di proteggere i posti dei 600mila dipendenti di Vw e i loro stipendi, che rischiano di essere tagliati. Sembra molto probabile che ai primi scioperi di avvertimento possano seguire mobilitazioni più ampie, che potrebbero portare a bloccare la produzione in diversi impianti nel paese.
La notizia si sovrappone a un altro appuntamento in agenda da tempo: il cancelliere ha convocato imprenditori e parti sociali per raccogliere richieste e proposte del settore produttivo su come contrastare la crisi. Non bisogna aspettarsi subito risultati concreti, però, hanno anticipato fonti del governo. La speranza di imprenditori e sindacati è quella di una manovra fluida e senza gli intoppi che hanno caratterizzato gli ultimi tre anni del lavoro della coalizione semaforo, ma i tre partner hanno già trovato il modo di dividersi. Il ministro delle Finanze Christian Lindner, infatti, parallelamente al vertice di Scholz ha convocato un altro incontro con le Pmi.
Il cancelliere, nel frattempo, ha preso posizione sui piani di Vw: «Eventuali decisioni sbagliate del passato prese dai manager non possono ricadere sulle spalle di lavoratrici e lavoratori». Insomma, i posti di lavoro vanno protetti.
I muscoli di Teheran
Il regime iraniano ha eseguito la condanna a morte del cittadino tedesco-iraniano Jamshid Sharmahd. L’esecuzione della sentenza arriva dopo una lunga battaglia per liberare l’uomo accusato di essere stato la mente di un attentato al regime dei primi anni Duemila. Sharmahd era stato prelevato a Dubai da quelli che si sono poi rivelati agenti iraniani e messo di fronte a un tribunale speciale per i reati relativi alla tenuta del regime. L’uomo aveva anche confessato una sua responsabilità, ma secondo i familiari gli sarebbe stata estorta con la tortura. Tanto è bastato però ai giudici per condannarlo a morte a inizio 2023.
Il governo tedesco si è applicato con mediazioni diplomatiche dell’ambasciata a Teheran, ma senza successo. Il capo della Cdu, Friedrich Merz, si era particolarmente preso a cuore il caso e sarebbe voluto andare a visitarlo in carcere. Un’intenzione che si è scontrata con il volere del regime.
La ministra degli Esteri Annalena Baerbock e il cancelliere hanno condannato duramente la decisione del governo iraniano e ha convocato l’ambasciatore iraniano a Berlino. «Abbiamo comunicato la nostra dura protesta contro il modo di procedere del regime iraniano e ci riserviamo di prendere ulteriori iniziative. Il nostro ambasciatore a Teheran si è rivolto al ministro degli Esteri e ha protestato per l’uccisione di Sharmahd».
Non è chiaro quali altri conseguenze l’esecuzione possa avere sui rapporti tra Berlino e Teheran. L’uccisione, però, «mostra di nuovo che regime disumano governa a Teheran. Al governo è stato manifestato chiaramente che l’esecuzione di un cittadino tedesco avrà conseguenze pesanti» ha detto ancora Baerbock. La ragione di una totale impermeabilità del regime alle critiche tedesche, scrive lo Spiegel in un’ampia analisi, serve a Teheran a mostrarsi dura e forte in tempi di grande debolezza: appena due giorni dopo l’attacco di Israele, i governanti hanno bisogno di dimostrare che le opposizioni non hanno possibilità, che non c’è nessuna prospettiva di cambiamento a Teheran. Anche dal moderato Massud Peseschkian, insomma, non c’è da aspettarsi pietà. E che i rapporti con Berlino per lui sono secondari.
Il tempo delle more
Torniamo in Germania, nello specifico nei Land orientali, per aggiornarvi sulle trattative per la formazione dei governi di Sassonia, Turingia e Brandeburgo. Sembra un tema iperlocalistico, ma questi casi rischiano di diventare rilevanti l’anno prossimo, quando – se AfD dovesse andare molto bene alle elezioni federali – andranno cercate soluzioni alternative per mantenere l’estrema destra ai margini del Bundestag.
Il problema è, come da aspettative, Sahra Wagenknecht. La leader del BSW resta una presenza ingombrante nelle trattative per la realizzazione delle cosiddette coalizioni “mora” tra Cdu, Spd, Linke e, appunto, rossobruni, le più probabili in Sassonia e Turingia. La ragione sono le insistenze della leader su un passaggio che vorrebbe vedere nel contratto di governo: dovrebbe esserci un impegno per la pace, seppure con la consapevolezza che i Land non abbiano voce in politica estera.
La portata dell’impegno ha però un peso diverso nei diversi Land, una differenza che ha provocato tensioni nelle trattative: per esempio, Wagenknecht non è soddisfatta della formulazione su cui si era trovato l’accordo in Turingia, troppo vago a suo parere. A ciò si va ad aggiungere – almeno in Sassonia – l’atteggiamento di BSW nel Landtag: i seguaci di Wagenknecht hanno infatti votato a favore della creazione di una commissione d’inchiesta sul Covid, su proposta di AfD. Paradossalmente, l’estrema destra non avrebbe nemmeno avuto bisogno dei voti di BSW, eppure ci hanno tenuto a esprimersi lo stesso.
Più serena la situazione in Brandeburgo, dove Spd e BSW non hanno bisogno della Cdu per formare una maggioranza. Ma è un’isola felice.
Insomma, gli interventi di Berlino non fanno che rendere la via più ardua, ma alternativa non ce n’è. Il problema è che, mentre in Sassonia si potrebbe nel peggiore dei casi tentare la strada del governo regionale di minoranza, in Turingia la situazione rischia di bloccarsi del tutto senza Linke e BSW. Non ci sarebbe nemmeno possibilità di sciogliere il parlamento e indire nuove elezioni: AfD dispone infatti di una minoranza di blocco.
Servizio pubblico in tribunale?
Chiudiamo con uno sguardo al servizio pubblico tedesco. In tempi in cui da noi il canone è di nuovo oggetto di discussione nel quadro della manovra, in Germania i Land – che sono responsabili di tv e radio di stato – hanno deciso una riforma del finanziamento pubblico. L'obiettivo è il taglio dei costi e l’efficientamento: dovrebbero saltare emittenti più piccole e alcuni canali radio.
Non è stato invece trovato tra i governatori l’accordo sull’aumento del canone: gli esperti avevano consigliato di incrementare la cifra di 58 centesimi al mese, ma l’argomento è stato rinviato a dicembre. Sono soprattutto le testate dei Land più piccoli – che raccolgono meno contributi – a chiedere l’aumento della tassa. Per il momento però si sono imposte le regioni più grandi a guida cristianodemocratica disattendendo un processo decisionale ancorato in Costituzione.
Se i Land non dovessero mettersi d’accordo entro fine anno sull’incremento da 18,36 euro a 18,94, il caso potrebbe finire davanti alla Corte costituzionale federale, com’è già successo nel 2021. Allora il servizio pubblico aveva ottenuto un pronunciamento in proprio favore (e contro la Sassonia Anhalt) del tribunale, che aveva dato il via libera all’aumento della tassa.
© Riproduzione riservata