Una grande festa per novemila persone alle porte di Berlino. Sembra quasi utopia, nonostante le restrizioni causa Covid-19 vengano progressivamente allentate, ma è quello che è successo nel piccolo comune di Grünheide, nella regione di Brandeburgo, dove Tesla ha ufficialmente aperto le porte della sua Gigafactory.

La Giga Fest, che si è svolta il 9 ottobre, superava di ben 4mila unità il limite previsto dalle attuali norme ma ha avuto comunque l’approvazione da parte delle autorità tedesche: un chiaro segnale per molti del fortissimo ascendente che già esercita l’azienda di Elon Musk sul territorio. «Non approvo la costruzione. In un’area dove vengono tutelate la natura e l’acqua doveva probabilmente esserci qualcos’altro. Inoltre, il traffico è peggiorato. È tutto intasato e sarà così anche in futuro, visto che qui arriveranno a lavorare fino a 12mila persone», ha dichiarato Bettina, un’abitante del luogo, al quotidiano Faz. Un segnale che dietro la patina di approvazione c’è anche scontento.

Il supporto politico

I primi a volere l’insediamento dell’azienda di Musk alle porte di Berlino sono stati i politici tedeschi. Le ragioni risiedono nei numeri: per la costruzione della sua Gigafactory Tesla ha speso finora 5,8 miliardi di euro che avranno un effetto positivo sul territorio, visto che a pieno regime la fabbrica produrrà 500mila auto elettriche al giorno e darà lavoro a 12mila persone. Per questo numerosi politici, dal ministro dell’Economia uscente Peter Altmaier (Cdu) al governatore della regione di Brandeburgo Dietmar Woidke, in quota Spd, si vantano dei loro buoni contatti con Elon Musk. 

Grazie a loro e a una speciale task force regionale Musk ha potuto costruire la sua fabbrica, che ha un’estensione poco più grande del Granducato di Lussemburgo, in appena due anni rimuovendo ogni possibile ostacolo di natura sia legale che ambientale. Ultimamente però il rapporto si è incrinato.

La prova sta nell’appoggio di Musk dello scorso marzo alla causa che l’associazione Deutsche Umwelthilfe (Duh), un’organizzazione impegnata nella tutela dell’ambiente, ha intentato contro il governo federale, colpevole di «non fare abbastanza per la lotta al cambiamento climatico». Ma anche i partiti hanno cambiato linea: molti politici hanno espresso perplessità per il miliardo di euro che l’azienda americana potrebbe ricevere per la fabbrica di celle per batterie al litio (che sarà accanto alla Giga Factory) nell’ambito del programma europeo Ipcei, che dispensa finanziamenti per progetti strategici.

«Il denaro delle tasse non è lì per promuovere un capitalismo in stile Tesla o Amazon. Qualunque datore di lavoro non riesce a uniformarsi al modello sociale europeo deve ripensare il proprio modello di business», ha detto Christian Bäumler, vicepresidente federale dell'Unione dei lavoratori democristiani (Cda), all'Handelsblatt. Critico invece verso il governo il deputato del Fdp Michael Theurer, che ha sottolineato «come sia inutile tassare uno degli uomini più ricchi del mondo. Serve piuttosto dare le stesse possibilità a tutti: lo stato si dovrebbe impegnare per rendere più attraente per tutte le aziende, soprattutto quelle di piccole e medie dimensioni, investire nel futuro».

Perché gli ambientalisti non la vogliono

In molti hanno sollevato obiezioni alla costruzione della fabbrica, facendo notare i problemi presenti. Una di queste è Manuela Hoyer, portavoce di un gruppo di cittadini di Grünheide contrari alla fabbrica. «È incredibile come non sia stato trovato uno spazio di discussione pubblica per chiedere il parere di noi cittadini. Tesla sfrutta il suo ascendente sui politici per avere un enorme potere di contrattazione e fare come crede, come dimostra il Giga Fest», racconta dal salotto di casa in videochiamata.

A essere contestata è soprattutto la quantità di acqua che dovrebbe utilizzare la Gigafactory: a causa della formazione del suo territorio, Berlino-Brandeburgo è una regione ricca di acqua ma anche molto arida. La quantità di acqua superficiale è ampia ma la regione soffre le poche precipitazioni durante l’anno. Per questo allarma che la fabbrica, almeno inizialmente, arrivi ad utilizzare fino a 1,45 milioni di litri cubi di acqua all'anno, quanto una città di circa 31mila abitanti, ma possa arrivare ad utilizzarne fino a 3,6 milioni di metri cubi in caso di espansione, cioè il 30 per cento circa del volume complessivo di acqua nel Brandeburgo.

«Per questo la fabbrica va sottoposta a severi controlli da parte di un’autorità indipendente, che accerti come non rischi di mettere in pericolo l’intera regione», evidenzia Hoyer. Secondo l’opinione di André Bähler, capo della Strausberg-Erkner Water Association (Wse), compagnia che fornisce l’acqua alla regione, riportata ai microfoni del Tagesschau «c’è il rischio che nei giorni di massimo picco di consumo sia necessario razionare l’acqua potabile». Un’eventualità che Musk non sembra prendere in considerazione.

«Fondamentalmente, non siamo in una regione molto secca. I nostri impianti consumeranno pochissima acqua e comunque gli alberi non crescerebbero se non ci fosse acqua», ha dichiarato il capo di Tesla a Frontal 21 della Zdf. «Continueremo a farci sentire: la nostra protesta non finisce qui», dichiara con orgoglio Hoyer, evidenziando come siano tutti da accertare gli effetti degli ettari di pineta spostati da Tesla e soprattutto l’inquinamento delle falde acquifere sotterranee. Molti gruppi ambientalisti temono che in caso di incidenti ci sia il rischio di un riversamento di sostanze inquinanti, che comprometterebbe in maniera definitiva la salute dell’ambiente circostante.

Cosa dicono i sindacati

Alle orecchie di Elon però sono arrivate anche le lamentele delle associazioni sindacali, che cominciano a muovere più di qualche appunto a Tesla. La prima obiezione, certamente la più grave, è l’assenza di un Consiglio di Fabbrica, un fatto piuttosto inusuale in una realtà industriale molto sindacalizzata come quella tedesca.

Reiner Hoffman, presidente della Dgb (Deutscher Gewerkschaftsbund), cioè la Confederazione federale delle forze sindacali che rappresenta ben otto federazioni tedesche dei lavoratori, ha chiesto a Tesla di consentire la presenza sindacale a Grünheide e la stipula di un contratto collettivo, come avviene nelle altre realtà industriali del paese.

«Tesla non può intascare contributi pubblici in tutta tranquillità e allo stesso tempo assumere dipendenti con stipendi bassi e condizioni di lavoro inadeguate, è inaccettabile», ha dichiarato Hoffman alla Zdf. I Consigli di fabbrica sono una pratica sconosciuta negli Stati Uniti, dove però chi ha cercato di costituire una rappresentanza sindacale ha avuto una risposta molto chiara da parte dell’azienda.

«I lavoratori che volevano aderire a un sindacato sono stati subito minacciati e questo soltanto perché volevano avere voce in capitolo sulle condizioni di lavoro, la salute e la sicurezza in fabbrica», ha detto Cindy Estrada, vicepresidente della United Auto Workers, una delle più importanti associazioni sindacali nel comparto automotive negli Stati Uniti. Non è perciò un caso se tra le Faq, le domande più frequenti, della pagina web dedicata a Tesla di IG Metall, sindacato tedesco che rappresenta 246mila lavoratori del settore metalmeccanico e in particolare automobilistico, c’è scritto «che il datore di lavoro non deve sapere se sei iscritto al sindacato né tantomeno può chiedertelo».

Almeno per il momento i rapporti di lavoro vengono contrattati individualmente ma, come denuncia lo stesso sindacato, l’azienda di Musk avrebbe offerto una paga ridotta del 20 per cento in confronto a quella delle altre aziende del territorio. Forse anche per questo dei circa 11mila posti di lavoro disponibili finora ne sono stati occupati tra gli 800 e i 1.200 con il dispiacere dello stesso Elon che, sul palco del Giga Fest, aveva dichiarato «di avere paura di non assumere abbastanza persone». Viste le premesse, un timore decisamente ben fondato.

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