In politica essere l’ago della bilancia vuol dire essere indispensabili. Questo lo sanno bene i Freie Demokraten (Fdp), i liberali capitanati da Christian Lindner. Quattro anni fa il partito era tornato al centro della scena facendo fallire i colloqui di coalizione con Verdi e Cdu e ponendo le basi per una nuova Große Koalition rossonera. Per certi versi è stato un ritorno ai vecchi tempi della Germania Ovest, quando i partiti rappresentati in parlamento erano solo tre, e la fiducia di un cancelliere socialdemocratico o cristianodemocratico dipendeva quasi esclusivamente dal benestare dei liberali.

Questo scenario sembra distante anni luce dall’attuale panorama politico tedesco: oggi la Fdp viaggia nei sondaggi tra l’11 e il 12 per cento dei consensi. Verosimilmente, la prossima coalizione di governo richiederà il supporto di tre dei sei partiti che con ogni probabilità entreranno nel prossimo Bundestag. Oggi come nel 2017 sarà proprio questa frammentazione a rendere determinanti le scelte del Fdp, sia in un’ipotetica “coalizione semaforo” con Verdi e Spd, sia in un nuovo esperimento con Cdu e Verdi.

Il salvatore

La performance dei liberali è tutt’altro che scontata. Le elezioni del 2013, ad esempio, sono state una catastrofe per la Fdp: a causa di numerosi passi falsi dei vertici (fra cui accuse di corruzione da parte di una grossa catena di alberghi) non è riuscito a raggiungere la soglia di sbarramento. È in questo momento di crisi che la Fdp è stata “conquistata” dal suo attuale segretario, Christian Lindner.

All’osservatore italiano Lindner può ricordare Matteo Renzi, un leader spregiudicato a capo di un piccolo partito che tramite il proprio carisma e capacità politica è riuscito a trasformare un autorevole movimento politico in un partito personalistico. A voler cercare un parallelo italiano, tuttavia, Lindner ricorda molto di più Bettino Craxi: come lui, il liberale tedesco si è guadagnato la fedeltà incondizionata del proprio partito dopo averlo salvato dall’orlo dell’irrilevanza politica.

In più, anche i critici interni di Lindner (e i suoi avversari negli altri partiti) riconoscono che il segretario è un’espressione del partito, qualcuno che ha raggiunto l’apice dopo una paziente carriera iniziata come semplice deputato nel parlamento renano. Insomma, in pochi se la sentirebbero di biasimare l’uomo che ha raddoppiato i voti per la Fdp per averla plasmato a propria immagine e somiglianza.

La conoscenza dell’elettorato e la padronanza delle meccaniche di partito si sono rivelati vitali. È grazie a queste qualità che Lindner ha potuto rinunciare alla partecipazione di governo, evitando che le posizioni liberali venissero annacquate dalle politiche più stataliste dei Verdi e della Cdu. La vera crisi viene però a gennaio 2020, quando i liberali gettano il sistema partitico tedesco in una delle crisi più profonde della legislatura.

Poche settimane prima dell’inizio della pandemia tutti gli occhi della repubblica erano puntati sulla Turingia, dove la rappresentanza regionale della Fdp era riuscita a fare eleggere il proprio segretario Thomas Kemmerich al posto dell’uscente governatore della Linke. Unico problema: Kemmerich aveva accettato l’elezione pur consapevole di aver ricevuto voti da Alternative für Deutschland, rompendo la regola non scritta seguita da tutti i partiti democratici di non collaborare con l’estrema destra.

Le pressioni del partito federale a Berlino (e di tutto l’arco parlamentare) avevano poi spinto Kemmerich alle dimissioni, ma il danno reputazionale – oltre che il caos interno in cui era precipitato il partito – sembrava aver irrimediabilmente compromesso la possibilità di partecipare a future coalizioni di governo.

I dubbi sul Recovery e il pareggio di bilancio

Questi dubbi sono completamente spariti alla vigilia delle elezioni. A favore della Fdp ha sicuramente giocato il Covid-19, che nella mente degli elettori è stato un colpo di spugna abbastanza netto rispetto a tutte le crisi pre-pandemiche. È anche opinione diffusa fra sondaggisti e commentatori che le restrizioni delle libertà personali imposte del governo durante la lotta al virus abbiano giovato il partito. Il liberalismo civile è tornato di moda, e la Fdp è stato abbastanza unito da esercitare una critica costruttiva alle politiche della Bundesregierung: niente complottismo, niente negazionismo, ma un’onesta valutazione di misure considerate esagerate, prime fra tutte il coprifuoco.

Ci sono però questioni più generali che spiegano la popolarità dei liberali. Come i Verdi, la Fdp incardina la propria campagna sull’urgenza di modernizzare il sistema economico e istituzionale tedesco, particolarmente l’educazione pubblica e le infrastrutture digitali. Dove gli ambientalisti si presentano come l’opzione dinamica e moderna per gli elettori di centrosinistra, la Fdp punta a quella destra delusa da quindici anni di Cdu e della deriva quasi statalista assunta nei cancellierati Merkel.

Un esempio è anche la proposta di piano di un sistema pensionistico della Fdp, che vorrebbe un sistema basato su investimenti in borsa da parte da fondi privati piuttosto che un aumento dei contributi come invece discusso dal governo attuale. L’enfasi sugli investimenti privati, il rifiuto dell’assistenzialismo e la deregulation sono inoltre perfettamente compatibili con la Schwarze Null, il pareggio di bilancio per anni totem dei conservatori. Stesso discorso per il taglio delle tasse ai più abbienti (una versione tedesca della trickle-down economics su misura per le piccole famiglie di industriali) e il rifiuto di ingenti aiuti europei e mutualizzazione del debito.

Questa linea rossa è considerata quella più credibile da commentatori e analisti, al punto da spingere l’Handelsblatt, il principale settimanale di affari e finanza del paese, a pubblicare in prima pagina i dubbi di alcuni investitori su un’eventuale partecipazione di governo dei liberali. Che fine farebbero il Recovery Fund e il Next Generation Eu se l’Fdp fosse nella prossima coalizione di governo a Berlino? 

Pronti alla guerriglia?

È grazie di questo programma elettorale molto incentrato sull’economia che Lindner punta al ministero delle Finanze. La condizione, posta a qualsiasi potenziale coalizione, è una mossa politica duplice: da un lato conferma la preferenza della Fdp a una coalizione con la Cdu di Laschet, con cui già governa in Nordrhein-Westfalen e con il quale converge in materia fiscale.

Dall’altro pone anche le basi per un’eventuale coalizione coi Verdi, a prescindere che si tratti di un governo a guida socialdemocratica o cristianodemocratica. Con Lindner ministro sarebbe infatti possibile partecipare a un governo con la propria nemesi “statalista” conservando tuttavia un veto sulle misure economiche e ambientali più inaccettabili per i liberali.

Proprio in queste settimane si discute la proposta dei Verdi di un ministero dell’Ambiente potenziato con diritto di veto su politiche considerate inquinanti. Che nonostante ciò Lindner sembri disposto ad accettare che i Verdi occupino il dicastero indica un partito pronto a trasformare il ministero delle Finanze nella propria base politica, adattandolo a una guerra contro i propri partner di coalizione. 

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