Nel discorso più importante della sua carriera Kevin Kühnert ha infranto una delle regole d’oro della retorica: usare le metafore inventate da qualcun altro e travisarle totalmente. «Helmut Schmidt, (cancelliere socialdemocratico dal 1974 al 1982) ha detto che chi ha “visioni” dovrebbe andare dal medico. Visto che Helmut Schmidt non andrebbe contraddetto, ecco il mio invito a voi, compagne e compagni: andiamo dal medico, e convinciamo tutti, il medico, l’assistente, le persone in sala d’attesa delle nostre visioni». Era il 6 dicembre 2019, e pochi minuti dopo questo intervento Kühnert sarebbe stato eletto vicesegretario di una Spd sull’orlo del baratro, ai minimi storici sia per numero di seggi in parlamento che nei sondaggi per le elezioni federali.

Oggi il partito è impegnato nelle trattative per formare un governo a guida socialdemocratica, una possibilità che non aveva avuto da diciannove anni. I motivi di questa risurrezione sono numerosi, ma parte del merito appartiene certamente a Kühnert. L’ex capo del gruppo giovanile è stato capace di trascinare buona parte del partito dalla parte del suo vecchio avversario Olaf Scholz.

La lotta alla grande coalizione

Tutto è iniziato nel 2017, quando Kühnert è stato eletto segretario federale dell’organizzazione giovanile socialdemocratica, gli Jusos. Il ventottenne è un volto noto soprattutto a Berlino. Dopo una brevissima carriera in un call center ha guidato per qualche anno la federazione regionale della giovanile, lavorando contemporaneamnte negli uffici di due deputate del parlamento cittadino.

Kevin, come lo chiamano tutti in un partito che ancora aggrappato al tu e al “Genosse” delle origini, a quel punto ha deciso di abbandonare gli studi in scienze politiche e si è dedicato completamente al partito. È una scelta quantomeno audace: la Spd era appena uscita sconfitta dalle elezioni e sembrava condannata a essere l’eterna stampella di Angela Merkel in una grande coalizione. Il malumore nella base era palpabile, ma in tanti avevano deciso di rassegnarsi dopo la cocente disfatta elettorale.

Kühnert non l’ha fatto. Gli Jusos hanno sempre preso molto sul serio il proprio ruolo di opposizione interna (e di sinistra) ai maggiorenti del partito. Per certi versi è però una pantomima ben collaudata: i giovani fanno un po’ di rumore, tanto basta per coprire a sinistra la leadership di un partito ormai sempre più moderato e incolore.

Nel 2017 Kühnert si è però messo in testa di portare il conflitto nel cuore del Willy-Brandt-Haus, la sede dei socialdemocratici. Ha lanciato una dura campagna contro la grande coalizione spiazzando i dirigenti colpendo il loro punto debole: il numero degli iscritti. Sono ormai anni che la Spd perde attivisti, un’importante risorsa nel periodo elettorale e soprattutto una fondamentale fonte di supporto finanziario. Gli Jusos hanno deciso quindi di lanciare una vasta campagna di iscrizione al partito, volta a portare voti contro la scelta di entrare in una nuova grosse Koalition nel referendum interno indetto dalla Spd. Il piano fallisce, ma Kühnert, che rimarrà un feroce critico della “GroKo” per tutta la legislatura, si guadagna parecchie inimicizie.

L’enfant terrible di Schöneberg

Altre sue prese di posizione, come quella di considerarsi un socialista, e gli attacchi all’allora capo dei servizi segreti interni Hans-Georg Maassen per la sua apologia della destra radicale, gli hanno garantito negli anni consenso e critiche dentro e fuori al partito. Molti apprezzano il fatto che tra i maggiorenti del partito ci sia almeno un socialdemocratico dalle posizioni chiare e radicali, altri considerano il suo atteggiamento polarizzante e nocivo per un partito già agonizzante.

In ogni caso, Kühnert si ritrova al centro della scena politica, oggi come allora. Per qualche mese i destini del governo sembravano dipendere da cosa deciderà il ragazzo di Berlino-Schöneberg, i giornali pendevano dalle sue labbra e rilanciano ogni sua dichiarazione come se fosse il preludio allo strappo definitivo. Ma Kühnert si impegna anche a mostrarsi radicale ma ragionevole, convinto delle proprie idee ma onesto sulle logiche politiche del proprio ruolo. 

Il secondo round dello scontro con l’establishment di partito è arrivato nel 2019, quando le dimissioni dell’allora segretaria Andrea Nahles hanno costretto la Spd a cercarsi un nuovo leader. Molti si aspettavano allora l’assalto finale di Kühnert, l’enfant terrible definito da Die Zeit «Il più grande talento politico dai tempi di Gerhard Schröder». Kühnert invece rinuncia alla candidatura, sostenendo due politici di secondo piano, Norbert Walter-Borjan e Saskia Esken.

I due cavalcano l’endorsement di Kühnert, posizionandosi come ultima speranza del partito contro lo strapotere dei centristi più moderati, incarnati al meglio proprio da Olaf Scholz. Il programma è pieno di proposte radicali: introduzione del freno agli affitti, creazione di uno stato sociale più generoso, promozione una politica ambientalista più decisa. L’obiettivo è archiviare gli eredi delle riforme neoliberali di Schröder. La sinistra interna ha prevalso, anche grazie alla campagna degli 70mila iscritti Jusos mobilitati da Kühnert. Pochi mesi dopo “Kevin” è stato eletto vicesegretario, una scelta che sembrava il colpo di grazia per la linea centrista. Il giornalista italotedesco Giovanni di Lorenzo lo ribattezza “(un)heimlicher Vorsitzender”, segretario segreto e inquietante.

Da oppositore a capocorrente

Ma è proprio quando il suo primo obiettivo è raggiunto che Kühnert cambia marcia. Ora che la segreteria è a sinistra, l’unica speranza del partito è presentare un candidato moderato che attiri l’elettorato presto orfano di Angela Merkel. E quella persona non può che essere proprio Olaf Scholz, l’avversario appena battuto.

Non è chiaro quanto Kühnert sia effettivamente stato coinvolto in questa scelta, ma ciò che è certo è che abbia fatto di tutto per mantenere quell’unità di partito senza deroghe imposta una volta che i neosegretari Walter-Borjan e Esken lanciano la candidatura di Scholz.

Ed è trasformandosi in leale sostenitore di Scholz che Kühnert ha preparato il salto di qualità dagli Jusos alla dirigenza federale. Lui che il suo ufficio al Willy-Brandt-Haus lo occupava poco (si era solo portato una bottiglia di Averna, qualche copione dello scrittore svizzero Friedrich Dürrenmatt e poco più) ha rinunciato di punto in bianco alla leadership degli Jusos per dedicarsi completamente al ruolo di vicesegretario.  

È una metamorfosi testimoniata da un documentario della televisione pubblica Ndr, che ha spedito una troupe a seguirlo per ben tre anni fino alla sua elezione al Bundestag nel 2021. Il prodotto finale, Kevin Kühnert e la Spd, è un grande affresco di un partito pluralista che durante la sua traversata del deserto ha trovato sollievo nella strategia del trentaduenne.

Ma per molti versi è solo adesso, dopo le elezioni, che Kühnert potrà finalmente avere un assaggio di vero potere. L’unica cosa più importante di guidare decine di migliaia di giovani attivisti degli Jusos per lui a questo punto è presentarsi come padre politico di una manciata di deputati, cioè quel quarto del gruppo parlamentare Spd proveniente dalle fila dell’organizzazione giovanile.

Ma dopo una campagna elettorale durissima e quattro anni di lotta interna, difficilmente Kühnert resisterà alla tentazione di presentare il prezzo del suo sostegno al nuovo cancelliere. Nei negoziati di coalizione gestirà l’emergenza abitativa, un tema infuocato a causa del vertiginoso aumento degli affitti. Mentre si attende la nascita del nuovo governo, “Kevin” è in tournée negli studi dei talk show, dove lo interrogano sul suo futuro ruolo da «burattinaio» dei giovani deputati. Lui si schernisce, stupito di chi cerca piani segreti dove lui vede solo buona, vecchia politica.

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