Dopo la nomina di tutti i possibili candidati a raccogliere il testimone da Angela Merkel alla cancelleria federale, la campagna elettorale comincia a entrare nel vivo. Mancano poco meno di cinque mesi ad elezioni a cui già da tempo è stata affibbiata l’etichetta di “storiche”. Per ora sembrano approfittarne i Verdi che si godono il vento in poppa della questione ambientale ma hanno saputo gestire in modo scientifico (altro che inesperti: occorre tener presente che i Grünen fanno politica da più di quarant’anni) la scelta della nomina quale candidato cancelliere. Tempi cinematografici perfetti quelli tra Annalena Baerbock e Robert Habeck, se paragonati al mezzo disastro tra Armin Laschet (Cdu) e Markus Söder (Csu).

I due non sono riusciti e mettersi d’accordo, hanno convocato estenuanti riunioni di direzioni, presidenze, gruppi parlamentari. Finché non si è imposto Laschet, innanzitutto perché è il capo del partito più grande, non senza strascichi polemici. I numeri, infatti, davano avanti Söder, ma Laschet alla fine ha fatto capire che i sondaggi possono cambiare. E non ha tutti i torti: del resto se fino ad oggi nessun capo della Csu è arrivato alla cancelleria un motivo ci sarà.

Ora occorre concentrarsi sulla campagna elettorale, le incognite sono tante. I conservatori sono per ora in crisi, secondo alcuni superati dai Grünen, ormai primo partito (ma si tratta di una previsione molto generosa per gli ecologisti). Troppe cose negli ultimi mesi non hanno funzionato: la gestione della pandemia non soddisfa i tedeschi (ancora in lockdown), sotto accusa è il federalismo che non funziona più come nello scorso anno, il disastro vaccinale che solo adesso sembra vedere fine, le accuse di corruzione, diffuse e non più riducibili a singoli casi isolati di “mele merce”. Ma soprattutto la Cdu è un partito che stenta a trovare una linea politica chiara. Del resto, Laschet ha vinto il congresso con la promessa di portare avanti lo stile Merkel, di combattere il populismo, di portare tutti intorno a un tavolo. Centro e moderazione. Ma per ora, oltre che sparare contro la sola ipotesi di una coalizione rosso-rosso-verde (per la verità molto improbabile, stando ai sondaggi) tirando fuori lo slogan direttamente dalla cantina di Konrad Adenauer «Nessun esperimento», buono per ogni stagione, della sua Cdu si è visto ben poco.

Il ritorno di Merz

Da qui la notizia delle ultime settimane: mentre Alternative für Deutschland (Afd)  sceglie la strada di una nuova radicalizzazione (torna nel programma la richiesta di uscire dall’Unione europea), Laschet ritrova in Friedrich Merz, che ha sconfitto nella corsa alla guida della Cdu al congresso di gennaio, un prezioso alleato. Va detto che Merz già nella fase di scontro con Söder aveva sostenuto il presidente della Cdu e che adesso decide di mettersi a disposizione della campagna elettorale.

Si vocifera che abbia chiesto in cambio un suo ingresso nel prossimo governo (del resto in politica non si fa mai niente per niente), ma è un aiuto importante. Merz, infatti, è l’alfiere di posizioni in politica economica più radicali, meno “socialisteggianti”, come spesso vengono definite (a sproposito) quella avviate durante il cancellierato di Merkel. Tuttavia, per quanto spesso si pensi il contrario (anche per colpa della spigolosità di carattere e di certe dichiarazioni avventati del personaggio), anche Merz ha negli ultimi anni trasformato le sue posizioni e, ad esempio, difficilmente il suo europeismo può essere messo in discussione.

L’innesto di Merz, oltre a contribuire a dare un’immagine di un partito più solido e unito, potrebbe servire a chiarire il profilo della Cdu e ad una declinazione più conservatrice delle questioni di politica economica ed industriale. Ad Afd resterebbero solo i temi più populisti, mentre ne gioverebbe l’intera campagna elettorale, con i Grünen costretti a scoprire di più le loro intenzioni una volta arrivati al governo federale e la Spd che avrebbe nel candidato Olaf Scholz la vera nemesi di Merz e potrebbe presentare agli elettori una alternativa vera al governo imperniato sui conservatori. Se ne ricaverebbe una maggiore chiarezza da parte dei partiti costretti a confrontarsi nel merito e non più a ricorrere alla formula del compromesso a tutti costi, prima ancora del risultato elettorale.

Il falco Maaßen

Nei giorni scorsi sempre la Cdu è stata attraversata da una nuova polemica: la candidatura di Hans-Georg Maaßen al Bundestag. Si tratta di un personaggio molto discusso, dalle posizioni di destra molto conservatrice e che è stato “dimissionato” dalla carica che occupava (capo del Verfassungsschutz, l’Ufficio federale per la tutela della Costituzione, una sorta di servizio segreto) per una gestione quantomeno ambigua di una vicenda di cronaca nera (la morte di un uomo) accaduta nella cittadina di Chemnitz nell’estate del 2018 e che determinò enormi manifestazioni di protesta delle destre più radicali. A candidarlo sono gruppi della Turingia, lo stato federale dove poco più di un anno fa, con l’elezione di un presidente dei Liberali con i voti di Afd, poi dimessosi, si era creata una crisi politica senza precedenti che era arrivata fino a Berlino. Tutto per evitare la rielezione di Bodo Ramelow, il primo Ministerpräsident della Linke: l’operazione per cancellarlo dalla scena politica sarebbe stata sostenuta apertamente proprio da Maaßen. 

Le sue posizioni, certamente molto radicali (sull’immigrazione, sull’integrazione, sulla famiglia, sulla politica economica) trovano, però, nel partito rappresentanza nella costola più a destra della Cdu, la cosiddetta WerteUnion, di cui qualcuno ha persino chiesto lo scioglimento. Si parlava da tempo di una possibile candidatura di Maaßen, poi sostenuta in alcune circoscrizioni e approvata ufficialmente alla fine della scorsa settimana. La cosa ha immediatamente acceso polemiche, scontate quelle a sinistra, ma anche tra le fila dei conservatori: Marco Wanderwitz, nativo di Chemnitz e responsabile per il governo federale per i Land della Germania orientale, ritiene Maaßen incompatibile con i valori crisitiano-democratici mentre Nicolas Zimmer, una vita nella Cdu, ha annunciato di voler uscire dal partito.

Markus Söder tempo fa si era espresso con toni insolitamente duri contro l’ex capo del Verfassungsschutz. Chi scrive non è mai stato convinto dei toni di Maaßen, che con le sue accuse di estremismo alla Spd (un partito che è al governo da più di vent’anni!) e altri giudizi molto singolari sembra essere uscito fuori da un’altra epoca storica. Ma se non si può non rabbrividire pensando al fatto che un simile personaggio abbia occupato un posto così delicato in Germania fino a pochi anni fa, tutt’altro discorso è la sua candidatura al Bundestag. Che appare perfettamente legittima e per certi aspetti persino utile se il personaggio (che resta comunque un burocrate abituato a dare ordini) saprà integrarsi nella struttura del partito, a convivere con posizioni diverse dalla sua e a distanziarsi davvero da Afd.

I conservatori 2.0

La candidatura di Maaßen (in una circoscrizione dove Afd supera il 20 per cento e della quale il precedente parlamentare si è dimesso per lo scandalo delle mascherine) potrebbe avere effetti benefici per il partito, per quanto non rilevanti come quelli di Merz. La Cdu deve tornare a occuparsi anche di persone, idee e tendenze ai margini dello spettro politico. La famosa Mitte, il centro, resta la bussola ma non prima di aver integrato il più possibile forze e singoli che, altrimenti, rischierebbero di ingrossare le file dei populisti di Afd. Che, più passa il tempo, più continua a profilarsi come forza antidemocratica. Sta qui il senso della sfida per i conservatori dopo i sedici anni di Merkel (diciotto alla guida del partito): unire le tante anime del pensiero conservatore, saperle declinare in coerenza con la contemporaneità, integrando anche posizioni scomode senza farsi travolgere ma evitando che esse si possano pericolosamente auto-rappresentare in modo antidemocratico e antisistemico. Ecco perché l’alternanza di governo non deve passare dallo sgretolamento dei conservatori: perché a quel punto l’instabilità politica e la radicalizzazione potrebbero essere spiacevoli conseguenze con cui fare i conti. Dannose per la Germania e il resto d’Europa.

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