La vittoria ha cento padri e la sconfitta è orfana. La disastrosa campagna elettorale di Armin Laschet, il candidato alla cancelleria della Cdu ha però così tanti genitori da non poter essere liquidata come un semplice incidente di percorso. La macchina politica dietro a Laschet ricorda meno una fabbrica di consenso e più un circo del conservatorismo tedesco, che offre di tutto, da cattolici integralisti fino a ex giornalisti di tabloid e milionari neoliberisti, con evidenti conseguenze sulla coesione interna del partito.

Eppure, le premesse erano tutt’altro che malvagie. Il renano, un pacato cattolico di fede centrista, l’aveva spuntata contro avversari ben più carismatici e popolari. Insistendo sulla continuità con l’era Merkel, Laschet aveva prima sconfitto i suoi avversari interni, riuscendo poi a prevalere su Markus Söder, il capo del partito gemello bavarese della Cdu che gli aveva quasi scippato la candidatura che gli spetterebbe per statuto.  

L’uomo delle Pr

Soprattutto da quest’ultimo incidente di percorso Laschet sembrava aver tirato le proprie conclusioni organizzative: era necessario estirpare sul nascere correnti interne che non minassero la sua nuova leadership. Chiunque potesse opporsi alla sua linea politica moderata è stato tenuto lontano dalla segreteria della Cdu.

L’ipotesi di un governo-ombra paventata dall’avversario interno sconfitto Friedrich Merz è stata immediatamente liquidata, mentre per gestire la comunicazione è stata assunta un’agenzia, Serviceplan Reputation, nota per campagne tutt’altro che provocatorie. Il direttore, Christoph Kahlert, è conosciuto per aver restaurato brand screditati agli occhi dei consumatori, come Bayer-Monsanto; l’uomo perfetto per un partito invischiato in scandali di corruzione nazionale e internazionale.

Ma Kahlert è un professionista, un uomo a suo agio nel mondo delle pubbliche relazioni ma che può al massimo meglio comunicare le intenzioni del committente, non crearle da zero. E pur avendo conquistato la massima carica nel partito, Laschet non ha fatto assolutamente nulla per riempire quell’incarico con una propria narrativa politica.

A onor del vero, in un primo momento non era sembrato strettamente necessario. Il vantaggio dei Verdi sulla Spd nei sondaggi sembrava infatti permettere una campagna all’insegna dell’usato sicuro: il cambiamento è necessario, ma meglio che sia graduale e sia affidato a un partito abituato a governare.

I clamorosi autgol di Baerbock e la tenuta della Spd, l’altro storico partito di governo, hanno completamente cambiato le carte in tavola: improvvisamente è stato necessario competere con un’altra forza politica “vecchia” e affidabile. Ed è qui che sono iniziati i guai.

Il braccio destro ultracattolico

È difficile ricalibrare in corsa una campagna elettorale. Laschet ha sofferto l’assenza del suo braccio destro in Renania, Nathanael Liminski. Il suo capo di gabinetto è un personaggio noto negli ambienti politici soprattutto per la sua abilità negoziale per raggiungere compromessi. Il suo talento sarebbe stato prezioso per consolidare in fretta il partito e trovare un punto di caduta condiviso per la campagna.

Ma Liminski, considerato l’unico capace di portare un po’ di organizzazione nel caotico metodo Laschet, è l’assente eccellente dal team del candidato a Berlino. Oltre agli impegni di governo, la sua appartenenza a un’organizzazione di nome “Generation Benedikt” in onore di Ratzinger e le sue posizioni apertamente omofobe avrebbero dipinto un bersaglio sulla schiena di Laschet.

L’occasione è comunque stata raccolta dalla Spd, che ha commissionato uno spot elettorale dal titolo “Chi si cela dietro a Laschet?”. Il video è stato immediatamente rimosso perché considerato offensivo nei confronti del cattolicesimo di Liminiski, ma tanto è bastato per rivelare una Cdu vulnerabile e a corto di contromosse.

La voce del tabloid

Alla ricerca di nuovi contenuti e sotto pressione dagli avversari, la campagna di Laschet si è improvvisamente accorta di non poter individuare una linea comune su temi divisivi come gli investimenti pubblici o l’immigrazione neanche in seno alla Cdu. A corto di punti condivisi, il minimo comune denominatore dei cristianodemocratici si è rivelata la paura di una coalizione di sinistra fra Spd, Verdi e Linke. Ma il negative campaigning su cui ha virato il partito nella seconda parte della campagna non si addice veramente al temperamento di Laschet, un classico democristiano più abituato a smussare gli angoli che a cercare il confronto politico.

Per dare un taglio più aggressivo al profilo pubblico del renano è stata quindi assunta come consulente Tanit Koch, già caporedattrice del popolare tabloid conservatore Bild. La scelta di Koch poteva sembrare appropriata per portare nella campagna lo spirito populista della testata più venduta del paese, ma è risultata poco convincente alla prova dei fatti. Le uscite di Laschet dopo la sua assunzione hanno un meno bonario delle precedenti e abbondano di attacchi rivolti soprattutto al candidato Spd Scholz.

Ma la goffaggine di queste dichiarazioni, spesso piazzate fuori contesto in interviste o dibattiti, appaiono così innaturali da sembrare più boutade disperate che un’espressione di forza. È anche legittimo chiedersi quanto sia adatta Koch per vendere Laschet come candidato di destra, essendo stata lei stessa esautorata dal Bild proprio perché troppo liberale e poco provocatoria.  

L’ex avversario

Insomma, con una squadra comunicativa prudente costretta alla polemica per sopperire alla  mancanza di contenuti, non meraviglia che la campagna di Laschet si sia incartata molto rapidamente. Il faticoso cambio di passo ha decisamente favorito il suo ex avversario Merz, che da grande sconfitto alle primarie si è trasformato in colonna portante degli sforzi comunicativi della Cdu.

Nessuno meglio di lui padroneggia la retorica antagonistica. Personaggio simbolo della destra liberista nei primi 2000: prova del fatto che il suo orientamento sia pressappoco identico è la scelta di abbandonare il partito per 15 anni piuttosto che compromettersi con il centrismo merkeliano. L’avvicinamento fra Laschet e Merz ha raggiunto il momento di maggior sovrapposizione a inizio settembre, quando il candidato ha inserito Merz nel “team del futuro”, un governo ombra “light”.

Ufficializzando il ruolo dell’ex pretendente alla segreteria nella campagna elettorale, Laschet si è definitivamente convertito a una linea più aggressiva nei confronti degli avversari. La metamorfosi da pragmatico governatore di centro a fustigatore delle sinistre ha avuto il suo apice lo scorso weekend al congresso del partito bavarese Csu, dove Laschet ha addirittura sentenziato che dal dopoguerra in avanti i socialdemocratici non sono «mai stati dalla parte giusta della storia».

È servito a qualcosa questo goffo passaggio a una campagna più violenta? Secondo i sondaggi, i  tedeschi non sembrano per ora spaventati dallo spauracchio di una coalizione di sinistra, e a due settimane dalle elezioni la Cdu/Csu non sembra essersi ancora consolidata dietro la nuova linea.

L’esponente ultranconservatore Maassen, già controverso direttore dei servizi segreti, ha chiesto le dimissioni di uno dei membri del “team del futuro” dopo che quest’ultima ne ha criticato la vicinanza alla destra radicale.

Il partito gemello bavarese intanto è ancora aggrappato a un possibile ruolo nazionale per Söder dopo le elezioni, e molti candidati agli uninominali hanno ormai rinunciato a fare campagna per il partito, concentrandosi sulla propria salvezza personale. Un obiettivo che forse dovrebbe iniziare a tenere a mente anche Laschet stesso.

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