La settimana che abbiamo alle spalle non è andata benissimo per Friedrich Merz. Si annunciano giorni di tensione tra Berlino e Parigi: una prospettiva preoccupante, dal punto di vista dei tedeschi. Ci avviamo verso il Natale (o la sua mancanza, fossimo nella Ddr, dove si festeggiava “una festa di famiglia laica”: se volete approfondire, vi segnaliamo questo contenuto in lingua su come si affrontava il periodo nella Repubblica democratica tedesca, dove la religione non era nella lista delle priorità), ma tensioni interne ed europee non permetteranno al governo di distrarsi troppo a lungo. 

Imboscata

Il cancelliere è dovuto tornare a casa dal Consiglio europeo con una sonora sconfitta in tasca. L'artefice è stato quello che dovrebbe essere il suo alleato più stretto, almeno nelle intenzioni di inizio mandato: Emmanuel Macron.

Il presidente francese a metà trattativa è venuto meno alla sua dichiarazione iniziale di sostenere l'utilizzo degli asset russi congelati e - almeno così la raccontano i media tedeschi - è passato con il gruppo di paesi che preferivano una soluzione ponte. Che la Francia (come l'Italia) sia da sempre più orientati verso soluzioni che poggiano sulla sottoscrizione di debito comune non è una novità, così come il fatto che in Germania sia la via che piace di meno. Certo, il disaccordo con Parigi è sintomatico, al di là della questione degli asset: nella crepa che si è venuta a creare tra Merz e Macron si è già infilata con successo Giorgia Meloni, che ha ottenuto con successo il rinvio della firma del Mercosur, altro obiettivo che il cancelliere aveva messo nel mirino.

Il presidente e il capo del governo tedesco sono in una situazione speculare: indeboliti in patria, puntano sulla politica estera per portare a casa qualche successo. Una chiave di lettura che vale soprattutto per Macron: quanto più il suo ultimo anno e mezzo di governo rischia di essere dominato internamente dallo stallo, tanto più il suo protagonismo all’estero crescerà.

Un problema per Merz, che giusto a inizio a settimana scorsa era riuscito a far sedere allo stesso tavolo berlinese americani, ucraini ed europei. Non deve quindi stupire la fuga in avanti dell’inquilino dell’Eliseo che si propone per riaprire i canali diretti con Vladimir Putin per conto dell’Europa. E soprattutto, non c’è da rimanere perplessi di fronte al disagio con cui è stata accolta questa iniziativa a Berlino, soprattutto dopo la doppietta Mercosur-asset congelati, oltre ad altre scaramucce di dimensione più o meno grande, come il probabile fallimento di un progetto comune per la costruzione di un nuovo modello di caccia. 

Per non farsi mancare niente, Merz ha dovuto fare i conti anche con una sconfitta interna al proprio partito – per altro del tutto autoindotta. La notizia in sé ha una portata limitata: la Konrad-Adenauer-Stiftung, la potente fondazione vicina alla Cdu, ha eletto una nuova presidente, Annegret Kramp-Karrenbauer. Forse ve la ricordate con il nomignolo Akk: è stata governatrice e ministra della Difesa, oltre che leader della Cdu e nei disegni di Angela Merkel sarebbe dovuta diventare la sua erede. Niente da fare, diversi passi falsi hanno messo fine alle speranze di Akk: ma, all’epoca, il suo avversario nella gara per la guida del partito era proprio Merz, che ancora una volta si conferma come uomo dal carattere piuttosto rancoroso. Tant’è vero che, nonostante per una serie di ragioni Kramp-Karrenbauer fosse la favorita, ha deciso di mandare comunque in gara anche un suo candidato, scegliendo anche di tenerlo nell’agone quando le cose si sono messe male. Ma alla fine, Akk ha avuto comunque la meglio. E il cancelliere ha dovuto incassare un altro occhio nero. 

Dilemmi sinistri

Atene piange, ma Sparta non ride. Mentre la Cdu si riprende dal logorante conflitto interno sulla riforma pensionistica, un’altra bombetta (in senso politico) sta per scoppiare nella Spd. Come se non bastassero i problemi che già affliggono la grande coalizione, il governo ha scelto la fine dell’anno per introdurre al Bundestag il dibattito sulla rimodulazione del welfare per i disoccupati che passa innanzitutto dall’abolizione del Bürgergeld, il reddito di sussistenza che lo stato corrisponde ora a chi ne ha bisogno. 

La riforma è una priorità per i cristianodemocratici, ma a metterci la faccia sarà la ministra del Lavoro e cosegretaria della Spd Bärbel Bas: la manovra apre un dilemma drammatico per i socialdemocratici e la sinistra interna – a cui tecnicamente Bas sarebbe anche vicina – ha preso la palla al balzo per raccogliere abbastanza firme da costringere i segretari a spiegare di fronte all’assemblea di partito perché la via intrapresa insieme alla Union è quella giusta.

L’iniziativa piace ai commentatori che ancora vedono una possibilità che la Spd torni a recuperare elettori nel suo bacino originario – di cui fanno parte anche coloro che saranno più toccati dalla nuova norma. Resta il fatto che all’interno di un partito che ormai nei sondaggi raccoglie appena il 13-14 per cento i due segretari (oltre a Bas c’è anche Lars Klingbeil, il ministro delle Finanze riformista) possono contare su poco consenso. Stressare ulteriormente la ristretta platea che li sostiene forse non è la strategia migliore per recuperare terreno. 

La miglior difesa è l’attacco?

La difesa è sempre al centro dei pensieri del governo tedesco. Da un lato quella da potenziare con il riarmo, dall’altro quella da rafforzare con un’intelligence più agile

La settimana scorsa ha fatto il giro un’indiscrezione sull’intenzione dell’esecutivo di allargare il raggio d’azione del Bnd, il servizio segreto estero della Bundesrepublik. Nei fatti, si tratta di consentire, oltre alla difesa, anche il contrattacco e il sabotaggio di chi mette nel mirino il paese e la sua cybersicurezza, per esempio attraverso l’installazione di Trojan, perquisizione di abitazioni e altri generi di sorveglianza. A giustificare la riforma, spiegano dalla maggioranza, il contesto geopolitico e la necessità di allineare le forze agli standard europei per rendere possibile una cooperazione sulla stessa lunghezza d’onda. A livello legislativo, le azioni saranno giustificate da una “situazione eccezionale d’intelligence”, che va vidimata dal Consiglio nazionale di sicurezza, che include i ministri più importanti, e da due terzi del corrispondente tedesco del Copasir. 

Nel frattempo, il ministro della Difesa Boris Pistorius spera di portare a casa entro l’anno il licenziamento di ben trenta commesse per la Bundeswehr. La scorsa settimana i parlamentari hanno iniziato a occuparsi di proposte d’acquisto per 50 miliardi di euro. Una quantità di valutazioni tale da portare le opposizioni ad andare sulle barricate: impossibile passare in rassegna tutto con la giusta attenzione, polemizzano anche i deputati più favorevoli alla modernizzazione delle forze armate, che chiedono anche maggiori certezze sulle capacità di stoccaggio organizzate dalla difesa. 

Il miraggio dell’occidente

Ancora una brutta storia che non va dimenticata. Nei giorni scorsi è atterrato ad Hannover un volo decollato dal Pakistan che aveva a bordo 141 profughi afghani: una parte di loro rientra nel programma di accoglienza federale, un piccolo gruppo è formato invece dalle persone che hanno assistito il personale tedesco nel periodo in cui era presente nel paese prima del ritorno dei Talebani. 

La questione del recupero di chi ha prestato il proprio aiuto ai tedeschi (e per questo adesso rischia ritorsioni dal nuovo governo) e altri migranti che hanno presentato domanda d’accoglienza a rischio di rimpatrio dal Pakistan nel loro paese d’origine è ancora aperta. Le persone in attesa sono circa 260 e Islamabad ha fatto sapere che a gennaio saranno rispediti in Afghanistan: ora la pressione sul ministro dell’Interno – che a inizio mandato aveva bloccato i voli – è forte. Decine di volti di spettacoli e società civile hanno firmato una lettera aperta perché le persone siano portate in Germania entro l’anno, ma la prospettiva è cupa. 

Alcuni degli afghani a cui era stato promesso il viaggio si sono infatti dovuti rivolgere dopo la decisione del ministro Alexander Dobrindt ai tribunali tedeschi: ad avere successo sono state soprattutto le persone nella lista del programma d’accoglienza, mentre le promesse fatte più tempo addietro a chi lavorava con il personale di Berlino spesso non sono state ritenute vincolanti dai giudici. Di conseguenza, il nuovo governo ha scelto di lasciare a piedi quasi ottocento persone che contavano su un volo verso l’Europa. Con il rischio che a stretto giro debbano tornare in Afghanistan, andando incontro a un destino ignoto. 

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