È dai tempi dell’ingresso nel governo di Gerhard Schröder (1998-2005), con il loro leader Joschka Fischer al ministero degli Esteri, che i Verdi hanno maturato una certa dimestichezza con la politica europea. In questi ultimi sedici anni, costretti all’opposizione dal regno di Angela Merkel, i vertici del partito sono cambiati, portando alla ribalta una delle prime generazioni ad aver fatto una gavetta “istituzionale”. Franziska Brantner, deputata del Bundestag e portavoce per la politica europea, è fra quelli che guideranno i Verdi nel “super-anno-elettorale”. Laureata a Sciences Po, già eurodeputata e membro di punta dell’assemblea parlamentare francotedesca, per molti versi è il “modello” perfetto di politico europeo verde. Non fa segreto della sua amicizia con Mario Monti, di masticare l’italiano e di seguire la scena politica italiana con un apprensivo amore.

Onorevole Brantner, lei ha recentemente firmato un editoriale in cui afferma che il parlamento europeo e il Bundestag hanno svolto un ruolo cruciale nella crisi legata alla pandemia. Che effetto avrà sulle elezioni del Bundestag?

Anzittuto vediamo fino a che punto sarà una campagna puramente “pandemica” o se si darà abbastanza spazio ad altri temi. Naturalmente abbiamo già capito che l'Europa avrà un ruolo, nella misura in cui la gente le si scaglierà contro e la userà come capro espiatorio. Tuttavia come Verdi faremo in modo che si parli di Europa in modo diverso. La Germania deve dare un contributo affinché l'Europa possa diventare strategicamente più sovrana e affinché noi europei possiamo agire in modo più efficace. Vediamo fino a che punto sarà possibile.

Per lei, come portavoce per l’Europa, deve essere un periodo particolarmente emozionante. A differenza del 2008 si parla molto di investimenti congiunti e di obiettivi paneuropei. La presidenza tedesca è stata determinante?

Non penso che la presidenza tedesca abbia avuto una grande presenza mediatica, se non altro perché non ci sono stati vertici e consigli dei ministri sul territorio. Questo è il modo più classico di far conoscere la presidenza al pubblico. L'Europa è stata comunque parte del dibattito per ben sei mesi. C'è stata la sensazione che tutto il continente stesse affrontando la crisi insieme. E ciò si é confermato anche con gli ultimi dibattiti sui vaccini, ci si è chiesti per esempio se l'Ue sia stata capace di piazzare abbastanza ordini o abbia fallito.

Riguardo al Recovery – e non c'è bisogno che lo spieghi a un italiano – se l’implementazione non avrà successo e ci accorgiamo che non è stato d’aiuto, e se alla fine della crisi non saremo messi meglio per quanto riguarda la protezione del clima, le tecnologie, la digitalizzazione (secondo il motto «build back better»), allora sarà anche molto più difficile per attori come noi Verdi continuare a chiedere strumenti che rafforzano l'Ue, la stabilizzano economicamente e investono nel nostro futuro comune. Siamo fermamente convinti che avere una moneta comune voglia anche dire avere bisogno di elementi stabilizzanti e investimenti comuni. È chiaro, tuttavia, che l'attuazione del Recovery potrà sia rafforzare che indebolire la nostra vecchia posizione verde.

Lei parla dell'implementazione del fondo ma come sarebbe stato un piano di investimento verde?

È un peccato che il fondo sia principalmente denaro sborsato dagli stati membri e che ci siano pochi grandi progetti europei. Molto dipenderà da come i governi nazionali attueranno il piano. Sono rammaricata del fatto che il governo italiano sia collassato a causa di questo progetto, ma almeno c’è stato un dibattito interno. È sbagliato che in Germania il governo federale non porti il suo piano al Bundestag per discuterne.

Il denaro sarà utilizzato solo per rafforzare la legge di Bilancio tedesca, verrà cioè utilizzato solo nella maniera in cui è sempre stato utilizzato. In realtà è proprio quello che abbiamo sempre temuto: è “vino nuovo in bottiglie vecchie”. Dobbiamo mobilitare tutti per fare in modo che ci sia un dibattito pubblico. La Commissione europea dovrà approvare i piani e speriamo che dica chiaramente se questi non raggiungeranno gli obiettivi europei del 37 per cento per il clima e del 20 per cento per la digitalizzazione. Ma soprattutto che indichi cosa si possa fare meglio: più protezione ambientale e rafforzamento del sistema sanitario. La Commissione europea e i parlamenti nazionali hanno una grande responsabilità in questo senso.

In questo contesto, lei si è detta a favore di un'Europa a più velocità. Ma la pandemia non avrebbe trascinato gli stati membri piú “lenti” dentro al baratro?

Rimango convinta che ci siano aree tematiche in cui, in caso di veti, ha senso andare avanti con pochi stati membri. Ci sono abbastanza aree dove si può lavorare insieme, e se si può fare, tanto meglio. Ma non ha senso indebolire le regole sullo stato di diritto, per esempio. Ho sempre sostenuto che fosse meglio agire in 25 pur di mantenere la clausola dello stato di diritto. La priorità deve essere sempre quella di andare avanti insieme, bisogna però vedere con chi si può andare avanti, a seconda del problema. La volontà di una coalizione di volenterosi è a volte il prerequisito per far sì che tutti, alla fine, possano unirsi.

Questa è anche una versione più flessibile dell'idea del presidente francese Emmanuel Macron. I Verdi hanno generalmente molto in comune con il presidente francese, per esempio sulla sovranità europea. In questo caso il vostro profilo è maggiormente delineato rispetto alla Spd o alla Cdu.

Sì, chiaramente. Credo all’ambizione di una capacità europea di intervento e di essere in grado di fissare e raggiungere obiettivi per noi stessi, di poterci proteggere come europei. In ciò non siamo probabilmente così lontani. In termini di attuazione, tuttavia, è vero il contrario. Non sono una sostenitrice di un Kerneuropa (di un’Europa a più velocità, ndr), vorrei solo che i volenterosi possano aggirare i veti.

Come valuta lo scetticismo di Macron nei confronti degli Stati Uniti? Esso persiste nonostante la vittoria di Joe Biden e ha scatenato una grande polemica sulla possibilità che la sovranità europea possa fare da alternativa all'alleanza transatlantica. 

È sbagliato inquadrare la sovranità europea come un pilastro della Nato o "contro" le relazioni transatlantiche. Ogni buon atlantista ha interesse che Biden possa prendersi cura degli Stati Uniti. Il neopresidente si troverà di fronte a una grande sfida: ricomporre gli Stati Uniti. Questo richiederà tutta la sua energia. Troverei negligente se noi europei lo distraessimo trascinandolo in conflitti più prossimi ai nostri paesi, dove, dopotutto, noi stessi abbiamo la responsabilità di individuare e risolvere i conflitti.

Qual è il conflitto vicino all’Europa di cui il nuovo governo tedesco dovrebbe occuparsi per primo?

Sono tanti... Abbiamo un ruolo importante da giocare in Nord Africa, soprattutto per la stabilizzazione di Algeria, Tunisia, Libia... Abbiamo una grande responsabilità anche per quanto riguarda la regione del Sahel.

L'ultimo esponente di un governo appartenente ai Verdi è stato Joschka Fischer. Quali somiglianze e differenze avrebbe un ministro degli Esteri verde con il suo predecessore?

Il mondo è cambiato molto in 15 anni. Ma Fischer era ed è un europeista convinto, come i nostri attuali leader. Noi riprenderemo da lì, e ci sarà anche una continuità negli approcci, penso per esempio alla Costituzione europea, un’idea lanciata da lui. D’altra parte si tratta di un’altra generazione e probabilmente ci sarà un’altra alleanza di governo. Cosa faremo di diverso? Molto, c’è anche da gestire una competizione sistemica con stati autoritari.

Molti di noi hanno anche stretti contatti con altri stati membri, alcuni conoscono molto bene l'Italia. Joschka Fischer ha sempre messo al centro dei suoi pensieri l'Europa, e anche per noi la sfida sarà quella di considerare sempre le conseguenze delle nostre azioni all'interno e all'esterno dell'Ue.

Si aspetta una nuova leadership della Cdu più europeista o più euroscettica?

Ho trovato sorprendente che nella campagna elettorale dei tre candidati non ci sia stata alcuna discussione su Viktor Orbán. Sappiamo tutti che nel Ppe la Cdu è centrale, quindi il futuro leader dovrà occuparsene. Vedo anche con preoccupazione che il fondamentale approccio europeista del Cdu, che contraddistingueva il partito fin dai tempi di Helmut Kohl, non è sempre presente nelle nuove generazioni. Non voglio generalizzare, ma ci sono sfumature molto diverse su fino a che punto i membri del partito credono si debba percorrere la strada europea.

Si possono vincere le elezioni mettendo al centro l'Europa?

Sono convinta che si possa. Si tratta di trovare un modo per far funzionare la sovranità nel il XXI secolo. La gente ha bisogno di sapere come intendiamo garantire la stabilità in questo mondo sempre più folle e insicuro e proteggere insieme la democrazia. È un argomento su cui molti cercano un orientamento, anche in Germania. Naturalmente può esserci una differenza su questo aspetto nei diversi stati membri.

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