Inizialmente capace di gestire la pandemia, tanto da fargli accarezzare l’idea di candidarsi alla cancelleria, il ministro della Salute tedesco Jens Spahn è al centro delle polemiche: al ritardo con i vaccini, caos con i test, impreparazione per il lockdown ora si va ad aggiungere un potenziale conflitto di interessi. Oggi in molti chiedono le sue dimissioni
La scorsa primavera Angela Merkel presentava il lavoro di Jens Spahn, ministro della Salute, come «ottimo» di fronte al suo gruppo parlamentare. Poi qualcosa tra di loro si è inceppato.
In estate si diffonde la voce che il ministro e il suo compagno abbiano acquistato una casa dal valore di quattro milioni di euro. Da quel momento alle critiche per questi eccessi si affiancano quelle politiche.
Spahn non ne azzecca più una: caos vaccini e con i test rapidi. Un lockdown prolungato e senza fine, la terza ondata che obbligherà a nuovi sacrifici. E più di qualcuno si chiede se sia davvero la persona giusta al posto giusto.
Lo scandalo delle mascherine in Germania rischia di lambire anche l’ultimo governo di Angela Merkel: lo Spiegel ha infatti sollevato il caso dell’acquisto da parte del ministero della Salute, presieduto da Jens Spahn, di quasi 600mila mascherine nei primi mesi del lockdown dalla Burda GmbH, l’azienda per cui lavora come lobbista Daniel Funke, suo marito. Non è ancora chiaro quanto siano stati coinvolti Funke e Spahn stessi, ma siccome nel caso specifico si tratta di una sorta di assegnazione diretta senza gara, potrebbe emergere un conflitto di interessi.
Per capire chi è Jens Spahn, ministro della Salute tedesco, vale la pena rivedere uno spezzone del film per la tv prodotto dalla prima rete tedesca Die Getriebenen, sulla crisi dei rifugiati nel 2015. Nel pieno delle tensioni nella maggioranza su come affrontare la questione, quando la leadership di Angela Merkel, che ha scelto di accogliere i migranti, traballa, è proprio Spahn che nel film pensa bene di andare da Wolfgang Schäuble, allora ministro delle Finanze, e sondare la sua posizione. Il grande vecchio squadra il “giovanotto” (nel 2015 Spahn ha trentacinque anni, è sottosegretario alle Finanze ed è in parlamento da quando ne aveva poco più di venti) capisce subito le sue intenzioni e lo blocca: «Non sono a disposizione per un putsch» nel partito e nel governo. Nel film Spahn sorride, dice che non ha mai pensato a un putsch («dobbiamo capire, però, qual è la posizione che il nostro paese deve assumere in questa crisi») e la cosa finisce lì perché Schäuble, nel film come nella realtà, continuerà a sostenere la cancelliera. Il film è necessariamente un po’ macchiettistico, con i personaggi principali dipinti a tinte molto forti. Spahn è l’arrembante, quello che, nel pieno di una crisi, pensa al presente e al futuro.
Impegnato in politica da sempre, ha posizioni molto radicali in politica economica e sull’immigrazione. Si è candidato nel 2018 alla successione di Merkel, ottenendo, da outsider, un buon risultato. Ed è stato il grande sostenitore di Armin Laschet all’ultimo congresso. Per convinzione e posizioni politiche, sarebbe stato forse più logico schierarsi con Friedrich Merz. Ma nell’ultimo anno, Spahn, complice un’ottima gestione della fase iniziale della pandemia, ha cominciato ad accarezzare l’idea di diventare cancelliere. E allora meglio puntare sulla continuità con Merkel e, soprattutto, sostenere qualcuno che potrebbe fare, nella corsa al cancellierato, anche un passo indietro, a differenza di Merz. Il quale ci ha messo del suo: una battuta di pessimo gusto sugli omosessuali della scorsa estate certamente non poteva far piacere al ministro della Salute.
La pandemia
Tuttavia, la pandemia si allunga ed è chiaro che, a differenza di tutte le crisi precedenti, questa ha enormi effetti sulla quotidianità. Il lockdown pesa. Soprattutto perché non se ne vede la fine e l’impatto sulle famiglie come pure sulle grandi e piccole attività economiche (gastronomia, ristorazione, piccoli esercizi commerciali) è enorme. Per ora, i numeri sconsigliano riaperture affrettate.
Se all’inizio della crisi Spahn che può contare su oltre 28mila posti di terapia intensiva, raccoglie consensi unanimi («sta facendo un ottimo lavoro» così Merkel di fronte al gruppo parlamentare dell’Unione), dallo scorso giugno la parabola del ministro comincia a calare. Viene fuori che Spahn e il marito hanno comprato una casa a Berlino. Il prezzo dovrebbe superare i quattro milioni di euro. Soldi suoi, certo. Se non fosse che l’opinione pubblica, dopo quindici anni con una cancelliera molto spartana, non gradiscono. Ma se ad Angela Merkel condurre una vita di basso profilo veniva e viene spontaneo, a una nuova classe di giovani conservatori meno: tant’è che nelle settimane scorse lo Spiegel si è chiesto se gli scandali recenti sulle mascherine, con deputati conservatori beccati a fare da intermediatori tra aziende tedesche e straniere con ricavi personali da capogiro, non siano più che semplici episodi, ma il segno di una generazione che vede nella politica un modo per conquistare potere e, soprattutto, fare soldi. Si scopre, inoltre, che il ministro lo scorso autunno, in piena pandemia, ha organizzato una cena per raccogliere fondi mentre raccomandava alla popolazione di evitare assembramenti. Spahn si difende ribadendo che tutto si è svolto secondo le regole, quelle per il contrasto alla pandemia e quelle per le donazioni ai partiti (gli ospiti avrebbero pagato circa diecimila euro a testa). Ma molti non sono convinti, chiedono chiarezza (ad esempio chi ha partecipato alla cena). La vicenda ancora oggi ha strascichi, non positivi per Spahn.
La pandemia fa il resto. Tra l’estate e l’autunno il ministro dovrebbe preparare il paese alla seconda ondata. Fa oggettivamente poco. Scuole tenute aperte fino all’ultimo, perché, si dice, bambini e ragazzi vanno tutelati, ma chiuse poi in fretta e furia con una settimana di anticipo sulle vacanze natalizie e riaperte solo a fine febbraio. Poi il caos vaccini. Per il quale, c’è da dire, il ministro non è l’unico responsabile. Anzi, forse c’entra davvero poco: Spahn ha difeso e sostenuto la procedura europea di acquisto comune e, probabilmente, alla fine di questa pandemia si scoprirà che l’Unione europea tanto male non ha operato. Ma intanto l’insoddisfazione monta nel paese, che sebbene predisponga centri vaccinali ad hoc per il Covid, a tre mesi dall’inizio della campagna non è arrivato nemmeno al cinque percento di vaccinati. Anche con il caso Astrazeneca il ministro annuncia improvvisamente lo stop, ma la sua comunicazione dopo la decisione del Paul-Erlich-Institut è quantomeno disastrosa.
Un declino inarrestabile?
Spahn da possibile candidato alla cancelleria diventa il volto dell’impotenza: un continuo vorrei ma non posso a cui seguono pochi fatti. E proprio in questo caso allo stato e al governo federale tutti chiedono di fare di più per accelerare le vaccinazioni. Intanto il tabloid Bild da gennaio impallina Merkel e il uso governo per il “ritardo” accumulato rispetto a Stati Uniti e Regno Unito. E su qualcosa si potrebbe pure intervenire. Aumentare la produzione di vaccinazioni, come si fa con la seconda linea della Pfizer a Marburgo: i giornali chiedono a gennaio uno sforzo come se si fosse in guerra. Lo stato deve fare di più. Discutere seriamente dei brevetti e della loro possibile sospensione.
Poi arriva il problema dei test rapidi, presentati da Spahn come l’uscita dall’emergenza e dal lockdown. Essi potrebbero dare un immediato responso e permetterebbero di riaprire, così, più di un’attività ancora chiusa. L’idea è buona, ma non c’è un piano, non si capisce come organizzare le cose tra Berlin e Land. Anche nella digitalizzazione degli uffici sanitari si procede a singhiozzo: all’inizio del 2020 la pandemia aveva mostrato la loro disorganizzazione. I dati si raccoglievano con programmi antiquati. Qualcosina è stata fatta, c’è stato per esempio un miglioramento del sistema di conteggio dei letti di terapia intensiva, ad esempio. Gli uffici locali scontano, però, ancora oggi un ritardo enorme. Ci vuole tempo per implementare i nuovi software, formare i lavoratori. Tra gennaio e febbraio la popolarità del ministro precipita.
A marzo più di un giornale chiede le sue dimissioni. Il "giovanotto” improvvisamente invecchia, diventa il volto di una Germania che fallisce in quella che credeva essere la sua specialità: organizzarsi e raggiungere gli obiettivi preposti. Pochi giorni fa, in conferenza stampa, annuncia: «Siamo nella terza ondata, la crescita è di nuovo esponenziale». La cosa era stata ampiamente prevista. Il ministro deve rincorrere la pandemia, non ha idee e poco più di un anno dopo ad un paese che non ne può più riesce solo a rivendicare il basso numero di morti. Che, purtroppo, con il tempo, tanto basso non è ma, soprattutto, comincia ad apparire una scusa. Accanto a lui c’era Karl Lauterbach, il parlamentare della Spd che si occupa di questioni sanitarie. La conferenza stampa era stata organizzata proprio in questa formula per dimostrare la compattezza del governo. Un giornalista ha chiesto a Spahn cosa pensasse del fatto che sono in molti a ritenere che Lauterbach saprebbe essere un ministro della Salute molto più efficiente. Spahn ha risposto diplomaticamente, ancora gli riesce bene. Ma per la prima volta è apparso stanco. Sa che l’unica via d’uscita alla situazione è il successo la campagna sui vaccini, per la quale al governo sono ancora convinti di recuperare per far tornare il paese alla normalità. Spahn per tenere in piedi le sue ambizioni. Sa bene che, nella crisi, qualcuno potrebbe immaginare un putsch. Stavolta contro di lui.
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