Don Tano Badalamenti – potente, riverito, temuto, prestigioso esponente della mafia palermitana e siciliana – è burlato, svillaneggiato, messo in ridicolo nel suo stesso paese; quel paese il cui nome è storpiato in «Mafiopoli»...
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per un mese pubblichiamo ampi stralci della “Relazione sul Caso Impastato”, elaborata dal Comitato della Commissione Parlamentare Antimafia della XIII° Legislatura, sull’uccisione di Peppino Impastato
A «Mafiopoli» la vita scorre, giorno dopo giorno, tranquillamente e, come sempre, senza grandi scossoni, tranne le eccezioni che ci sono dappertutto. Solitamente c’è calma, tranquillità; invece quel giorno c’è movimento, c’è tensione.
Tutti sono in attesa dell’importante decisione riguardante il progetto chiamato Z–10 e la costruzione di un palazzo a cinque piani; perciò il «grande capo, Tano Seduto, si aggira come uno sparviero sulla piazza».
Il 7 aprile 1978 durante la trasmissione radiofonica «Onda pazza» di Radio Aut, Peppino Impastato – Peppino per gli amici, perché all’anagrafe il suo nome è Giuseppe – parla in questi termini del suo paese d’origine, Cinisi, centro costiero a due passi da Palermo e di un suo illustre concittadino.
Il Tano Seduto della trasmissione è Gaetano Badalamenti, nato a Cinisi il 14 settembre 1923, meglio noto come Tano, nome sempre preceduto dall’onorifico e rispettato «don» Don Tano Badalamenti – potente, riverito, temuto, prestigioso esponente della mafia palermitana e siciliana, collocato ai suoi vertici assieme a personaggi destinati ad entrare nella leggenda di Cosa nostra come Stefano Bontate e come Luciano Leggio, quest’ultimo da tutti conosciuto come Liggio – è burlato, svillaneggiato, messo in ridicolo nel suo stesso paese; quel paese il cui nome è storpiato in «Mafiopoli» e il corso dove abita l’illustre esponente di Cosa nostra, corso Umberto I, è stato ribattezzato corso Luciano Liggio a beneficio degli ignoranti, perché sappiano, e a beneficio di chi abbia voluto far finta di non capire – perché almeno non possa dire di non aver capito.
I cittadini di Cinisi, a detta di tutti, ascoltano le trasmissioni di Radio Aut e ridono – eccome se ridono! – dei personaggi, tutti volti noti, anzi notissimi essendo loro compaesani, che Peppino ed i suoi compagni mettono in scena giorno dopo giorno.
Parlare di mafia a quei tempi è già un atto di coraggio, ma fare i nomi dei mafiosi e ridicolizzarne i capi pubblicamente è sicuramente un atto temerario. Talmente temerario che solo un pazzo può per- metterselo.
Qualche anno prima, il 30 marzo 1973, ha fatto i nomi dei mafiosi quel «matto» di Leonardo Vitale, un « modesto uomo d’onore » della «famiglia» di Altarello di Baida che, « travagliato da una crisi di coscienza», si è presentato in questura ed ha rivelato « quanto a sua conoscenza sulla mafia e sui misfatti propri ed altrui».
Impastato non lo saprà mai, ma Vitale sarà ucciso il 2 dicembre 1984, qualche mese dopo essere uscito dal carcere, mentre rientra a casa in compagnia dell’anziana madre e della sorella con le quali ha assistito alla messa in una chiesa di un popolare quartiere di Palermo.
Dopo le dichiarazioni, sconvolgenti per l’epoca, è stato dichiarato seminfermo di mente e, nonostante ciò, sbattuto in galera per le accuse lanciate contro se stesso, le uniche che saranno credute; quelle contro gli altri mafiosi da lui accusati saranno, invece, con la sola eccezione del giudice istruttore del tempo, Aldo Rizzo, ritenute inattendibili e di conseguenza tutti quelli chiamati in causa saranno prosciolti e lasciati andare.
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