Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie del Blog Mafie è dedicata al maxi processo in occasione del trentunesimo anniversario della strage di Capaci


Le risultanze processuali hanno confermato che la titolarità del laboratorio di eroina è del gruppo che ruota attorno ai Vernengo ed a Filippo Marchese. Si è già detto della constatata presenza, dinanzi alla villa di Nicola Di Salvo, della autovettura in uso a Pietro Vernengo, appena due giorni prima della scoperta del laboratorio, nonchè del rinvenimento nell'appartamento del suocero, Giorgio Aglieri, della somma di $ 147.200 in contanti, sicuramente proveniente dalla vendita di stupefacenti negli Usa

In proposito Stefano Calzetta ha riferito: «Ho personalmente raccolto le sarcastiche e sfottenti confidenze di Pietro Vernengo, il quale mi riferì che il danaro sequestrato non aveva assolutamente scalfito la disponibilità economica del gruppo, disponendo le famiglie di mafia cui l'Aglieri e il Vernengo appartenevano di notevolissime somme di danaro derivanti soprattutto dal traffico della droga».

Nella villa del Di Salvo è stato inoltre rinvenuto, fra gli altri documenti, l'atto di precetto diretto a Pietro Vernengo e notificato il 23.8.1977 al nipote, Vernengo Luigi, concernente il pagamento della somma di lit. 162.907.446, a titolo di pena pecuniaria e spese di giustizia cui era stato condannato dal Tribunale di Castrovillari con sentenza del 14.11.1972 per contrabbando di tabacchi, dal quale si desume che già in quel procedimento il Di Salvo era coimputato del Vernengo.

Nella villa è stata altresì rinvenuta una polizza di assicurazione per la responsabilità civile relativa ad un automezzo targato PA 445338 intestato a Vernengo Giuseppe (nato il 22.11.1949) cugino di Vernengo Pietro. Successivi controlli della zona consentivano di accertare che, quasi di fronte alla villa, era posteggiato l'automezzo in questione, con gli sportelli non chiusi a chiave.

A ciò si aggiunga che, attraverso gli accertamenti bancari, è stato individuato un assegno di Nicola Di Salvo riferibile direttamente a Giuseppe Vernengo (nato il 22.11.1940).

Il Di Salvo, infatti, ha tratto sulla Cassa Rurale ed Artigiana di Monreale, il 28.4.1980, un assegno di lit. 3.500.000, negoziato da Cottone Tommaso, quale amministratore della S.r.I. "Ass. A. Com." e, secondo quanto risulta dalle dichiarazioni del Cottone, l'assegno era stato consegnato al Cottone medesimo da Vernengo Giuseppe per l'acquisto della autovettura R Renault Alpine targata PA 590955, intestata a De Luca Vita, madre del Vernengo. Debbono essere ricordate, poi, altre significative circostanze sintomatiche dello strettissimo rapporto esistente fra il Di Salvo e tutto il gruppo dei Vernengo :

1) Il Di Salvo, ufficialmente commerciante di detersivi e titolare di un negozio di frutta e verdura, ha operato da anni nel contrabbando dei tabacchi ed è stato condannato alla pena di tre anni di reclusione dal tribunale di Castrovillari (si ricordi che anche Di Caccamo Benedetto, apparente titolare dell'autovettura usata da Pietro Vernengo, è residente a Castrovillari.

2) Il 16.4.1976, al Casello di Taranto dell'Autostrada A14, il Di Salvo è stato identificato a bordo di un'autovettura BMW 2002, intestata a Vernengo Antonino (nato a Palermo il 4.2.1937), mentre era in compagnia di altri fra cui Pietro Vernengo fratello di Antonino, il quale esibiva falsi documenti di identità intestati a Lanzetta Alfonso. La certezza che il sedicente Lanzetta Alfonso fosse Pietro Vernengo si deduce dal fatto che 1'8.11.1978, a bordo di un'autovettura intestata a Di Caccamo Domenico, venivano fermati e controllati due individui, uno dei quali era Vernengo Giuseppe (nato a Palermo il 29.11.1940), mentre l'altro, qualificatosi per Lanzetta Alfonso, veniva invece riconosciuto per Vernengo Pietro fu Cosimo e veniva tratto in arresto, essendo ricercato sia per la esecuzione di una condanna ad anni sette di reclusione per sequestro di persona, sia perchè colpito da mandato di cattura emesso dalla Autorità Giudiziaria di Napoli per associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti.

In quel procedimento Pietro Vernengo è stato denunciato in concorso con personaggi di rilievo e precisamente con i fratelli Vernengo Antonino e Giuseppe, con il cognato Antonino Di Simone, nonché, fra gli altri, con Angelo Nicolini e Riccardo Cozzolino, collegati con Francesco Mafara ed in atto detenuti per traffico di stupefacenti.

Va ricordato, inoltre, che Vernengo Cosimo, nipote di Pietro, al momento del suo recente arresto, avvenuto a Crotone il 25 marzo 1985, ha indicato in "Lanzetta Alfonso" il nome del proprietario del villino, che egli intendeva prendere in locazione; ed è stato accertato che un altro complice, quasi sicuramente Pietro Vernengo, è sfuggito all'arresto.

3) Il 13.11.1981, Nicola Di Salvo è stato fermato e controllato dalla polizia a Palermo mentre si trovava a bordo di un'autovettura insieme con Pietro Vernengo e col cugino di quest'ultimo, Vernengo Giuseppe (nato il 20.11.1940), gli stessi due soggetti, cioè, che risultano direttamente collegati col laboratorio di via Messina Marine.

Nella circostanza Vernengo Giuseppe dichiarava alla Squadra Mobile che il Di Salvo lavorava alle sue dipendenze come autotrasportatore con la paga di lire 20.000 giornaliere.

Evidentemente, al Di Salvo non bastavano proventi del suo negozio di detersivi e di generi ortofrutticoli, se, per arrotondare le entrate, aveva bisogno anche della misera paga offertagli dal Vernengo!

Il riscontrato coinvolgimento di Pietro Vernengo e del suo gruppo familiare nel laboratorio di eroina di cui trattasi rende estremamente attendibile quanto riferito sul conto del Vernengo e dei suoi familiari da Stefano Calzetta: "Nel 1978 .... tornando a Palermo dal lido di Ficarazzi dove i Vernengo posseggono due villini, manifestai al citato Pietro, mio accompagnatore, il proposito di trasferirmi negli Stati Uniti d'America dove speravo di fare fortuna e verso cui ero attratto per interessi turistici.

Nell'occasione il Vernengo cercò di dissuadermi dal proposito e alle mie insistenze mi propose esplicitamente di portare meco in quel Paese qualche chilo di eroina, nel contempo facendomi odorare la sua mano, come per indicarmi che aveva appena finito di maneggiare tale sostanza stupefacente. Nonostante l'invito, io non aderii alla proposta del Vernengo".

Oltre a Vernengo Pietro ed al cugino Vernengo Giuseppe, anche Vernengo Antonino, fratello di Pietro, è coinvolto nel traffico di stupefacenti. Antonino Vernengo, soprannominato "u dutturi", è, secondo Stefano Calzetta, il chimico della famiglia, che si occupa della produzione dell'eroina, utilizzando un metodo imparato dai chimici francesi.

La propalazione di Calzetta trova riscontro nelle dichiarazioni di alcuni siriani, imputati di traffico di stupefacenti in un procedimento pendente davanti alla Autorità Giudiziaria di Trieste. Infatti, il siriano Bach Mahmoud ha dichiarato al pm di Trieste che suo cognato Awad Aziz era in contatto con un gruppo di quattro o cinque persone di Catania, tra cui Mimmo Zappalà, le quali acquistavano la morfina base e che egli, unitamente al cognato Awad ed ai catanesi, si era recato a Palermo per consegnare una partita di droga.

La merce era stata ritirata da due uomini nell'autorimessa di una villa sita vicino al mare, a dieci quindici minuti dall'uscita autostradale di

Villabate. La dichiarazione del Bach è stata confermata da Awad ed entrambi hanno indicato, in sede di ispezione (una delle quali effettuata dal pm di Palermo) nella villa di Ficarazzi di proprietà di Vernengo Antonino, quella in cui era avvenuta la consegna della morfina.

Le dichiarazioni dei siriani rivelano per la prima volta l'esistenza di collegamenti fra trafficanti palermitani e catanesi e convalidano l'attendibilità di quanto, qualche anno dopo, Stefano Calzetta ha riferito sull'argomento, e cioè di avere assistito ad un incontro molto affettuoso tra Pippo Ferrera ("Cavadduzzu") e Pietro Vernengo, alla presenza di Nicola Di Salvo, il quale soleva chiamare "compare" Pietro Vernengo. In ordine a questo incontro, poi, le parole del Calzetta sono ulteriormente riscontrate.

Ha riferito infatti Stefano Calzetta che in quell'occasione, su suggerimento di Pietro Vernengo che voleva fare uno scherzo al Di Salvo, aveva detto a quest'ultimo di sapere che il suo cavallo "Vallongo" era un brocco. Il Di Salvo però non aveva gradito affatto lo scherzo tanto che era sbiancato in volto per l'ira.

Ebbene, vi è in atti la prova certa che il Di Salvo era effettivamente proprietario di un cavallo chiamato, appunto, Vallongo, pagato con un assegno di lit. 4.000.000 del 9.9.1981. […] Tale riscontro, fra l'altro, consente di datare l'incontro tra Pippo Ferrera e Pietro Vernengo in epoca successiva al 9.9.1981, data dell'acquisto del cavallo da parte del Di Salvo.

Gli stretti legami esistenti tra Vernengo Giuseppe e il cugino Vernengo Pietro sono emersi anche in altro procedimento penale. Ed invero, la Guardia di finanza di Siracusa, in una brillante operazione anticontrabbando che portava al sequestro di quasi sedici tonnellate di tabacchi

lavorati esteri, traeva in arresto il 15.2.1983 Vernengo Giuseppe nonché Aglieri Giuseppe, cognato di Pietro Vernengo. Vernengo Giuseppe, all'atto dell'arresto, si accompagnava ad altro uomo, riuscito a sfuggire alla cattura e identificato dal Cap. Rabuazzo in Vernengo Pietro.

Si aggiunga che le intercettazioni telefoniche sull'utenza di Falbo Antonio, noto contrabbandiere di Avola arrestato anch'egli nell'operazione, hanno consentito di accertare che quest'ultimo era collegato con un'organizzazione di contrabbandieri palermitani il cui capo era un uomo a nome "Pietro", il quale in una telefonata veniva qualificato anche come "il fratello del dottore".

Di fronte a questa mole di elementi di prova, univoci e concordanti, Vernengo Giuseppe e Antonino, nei loro interrogatori, hanno negato qualsiasi responsabilità, rendendo dichiarazioni assolutamente contrastanti con gli accertamenti effettuati.

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