Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci del lavoro svolto dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2 presieduta da Tina Anselmi


Per quanto riguarda più specificamente il Corriere della Sera, diventa più stretto il controllo con la nomina a direttore del dottor Di Bella, voluta esplicitamente da Gelli ed Ortolani in sostituzione del dimissionario Ottone.

Si sviluppa da questo momento un sottile e continuo condizionamento della linea seguita dal quotidiano come posto in evidenza dal Comitato di redazione e di fabbrica che, attraverso una disamina degli articoli pubblicati in quegli anni, ha sottolineato come possa essere difficilmente contestabile un'influenza esplicata con l'emarginazione di giornalisti scomodi, con servizi agiografici ben mirati e con l'attribuzione di scelti incarichi a persone appartenenti alla loggia.

L'ampia analisi effettuata in proposito dal comitato evidenzia una linea di tendenza che si sviluppa con una pressione continua la quale, pur contrastata sempre dalla professionalità dei giornalisti, riesce spesso ad orientare alcuni servizi per dare spazio a persone di «area» o per lanciare oscuri messaggi o per evitare inchieste approfondite su alcune vicende, come risulterà evidente per i servizi concernenti i paesi sudamericani.

In America Latina, del resto, con il sostegno finanziario di Calvi e con l'intervento di Ortolani e di Gelli (quest'ultimo formalmente rappresentante del «gruppo Rizzoli» presso le autorità governative dei paesi esteri) la Loggia P2 stava estendendo la propria rete d'influenza acquisendo dal gruppo editoriale «Avril», e con l'appoggio dei generali in carica in Argentina, una catena di giornali a larga diffusione.

Per quanto riguarda più specificatamente la linea seguita dal gruppo in ordine alle vicende politiche italiane l'attenzione va riportata con particolare rilievo al 1979 allorquando uomini della loggia tentano di utilizzare le tangenti connesse con il contratto di fornitura di petrolio tra l'Eni e la Petromin per acquisire adeguati mezzi finanziari destinati a colmare il deficit della gestione del «gruppo Rizzoli».

In ordine alla cennata vicenda sono ancora in corso le indagini a cura di una apposita Commissione parlamentare ma è indubbio che Gelli ed Ortolani erano perfettamente a conoscenza di tutti i risvolti della transazione. A Castiglion Fibocchi è stata infatti rinvenuta copia del contratto stipulato tra l'AGIP e la Petromin, la richiesta avanzata dall'AGIP al Ministero del commercio estero per ottenere l'autorizzazione a pagare la tangente alla Sophilau, il diario predisposto dal ministro Stammati per puntualizzare fino al 21 agosto 1979 gli sviluppi della vicenda nonché un appunto su tutte le circostanze rilevate, predisposto sotto forma di un articolo da pubblicare.

Ortolani, del resto, il 14 luglio 1979 aveva prospettato al segretario amministrativo del PSI, senatore Formica — il quale denunciò il fatto ai ministri competenti — la possibilità di erogazione di fondi, in connessione degli acquisti di petrolio da parte dell'Eni, per interventi nel settore dei mass-media. Segno evidente dell'interessamento della loggia alla vicenda fu poi l'attacco a fondo condotto contro il ministro per le partecipazioni statali, Siro Lombardini, per il quale il Corriere della Sera arrivò a chiedere le dimissioni, con un fondo in prima pagina che si distingueva per la violenza dei toni oltre che per la richiesta in sé, certo non usuale rispetto alla misurata prudenza propria della testata milanese.

L'insuccesso del tentativo, anche per la ferma opposizione di alcuni esponenti socialisti, determina la ricerca di nuove soluzioni mentre lo schermo «Rizzoli» viene utilizzato per patti con altri gruppi (accordo Rizzoli-Caracciolo) o per tentativi di acquisizione di altre testate (giornali del «gruppo Monti») con l'intervento di Francesco Cosentino.

Questa situazione induce ad un tentativo impostato alla finalità di allentare la dipendenza del gruppo editoriale da una sola banca che non può fronteggiare, senza pericolosi contraccolpi, oneri così elevati ed evidenti.

 Sin dai primi mesi del 1980 Gelli, Ortolani e Tassan Din cominciano quindi a studiare le varie possibilità per reperire nuovi fondi sotto forma di partecipazione al capitale, senza comunque far perdere alla loggia il controllo del gruppo.

I vari progetti che vengono via via studiati ruotano sempre, come ampiamente rilevabile dalla documentazione rinvenuta presso Gelli, intorno a questi princìpi fondamentali e si concretizzano nel giugno del 1980 per essere formalmente esposti in una «convenzione» firmata da Angelo Rizzoli, Bruno Tassan Din, Roberto Calvi, Umberto Ortolani e Licio Gelli.

È questo il documento più rappresentativo dell'intera vicenda che consente la identificazione delle finalità del progetto e dei diversi ruoli svolti da ciascuno dei protagonisti. Il documento ritrovato tra le carte di Castiglion Fibocchi consta di otto cartelle, ognuna siglata dai protagonisti dell'operazione. La Commissione, attesa l'importanza, ha verificato tramite apposita perizia, che ha dato esito positivo, l'autenticità delle sigle, riconosciute peraltro anche da Rizzoli e Tassan Din.

Alla base di tutta la costruzione finanziaria viene innanzitutto posta la necessità che solo il più vulnerabile dei rappresentanti di facciata (i componenti della famiglia Rizzoli) partecipi alla fase operativa.

Ad Angelo Rizzoli è quindi fatto carico, con adeguato compenso, di concentrare a suo nome tutti i diritti concernenti la parte di azioni dell'azienda capo-gruppo (20 per cento del capitale) che, pur soggetta a vincoli e condizionamenti attuati tramite l'interposizione fittizia di banche estere, figurava ancora di pertinenza della famiglia Rizzoli.

Il successivo passaggio prevede poi la suddivisione del capitale azionario in quattro pacchetti di cui due assorbenti ciascuno il 40 per cento del totale mentre il residuo capitale era ripartito in altre due quote diseguali (10,2 per cento e 9,8 per cento).

Per ognuna delle suddette parti erano stabilite diverse modalità di gestione con l'intervento di Angelo Rizzoli per una di esse (40 per cento) e con l'interposizione di società-schermo per le altre tre. A questa fase avrebbe forse dovuto far seguito, almeno secondo quanto si può evincere dalla qualifica di intermediarie attribuita alle società-schermo, un ulteriore passaggio di azioni incentrato sulla successiva cessione di una parte del capitale (49,8 per cento), mentre la quota di maggioranza (50,2 per cento) rimaneva di pertinenza di una struttura che legava tra loro stabilmente (almeno per dieci anni) sia la quota intestata ad Angelo Rizzoli che il pacchetto di azioni pari al 10,2 per cento del capitale: in questa struttura pertanto la quota del 10,2 per cento veniva ad assumere valore determinante ai fini del controllo della società.

La schematica rappresentazione degli accordi stilati tra gli esponenti della loggia relativamente all'assetto della proprietà del «gruppo Rizzoli » — articolato su interventi finanziari comportanti in Italia ed all'estero complesse trasformazioni di ragioni creditorie in proprietà azionarie e che prevedevano la erogazione di una « tangente » (in contanti e/o in azioni) pari a lire 180 miliardi — consente comunque di far risaltare la funzione della loggia, che si pone come elemento centrale e determinante per ogni singolo passaggio della operazione.

Non risulta infatti tanto rilevante l'azione svolta dai vari protagonisti ma si afferma ed emerge piuttosto in tutto il suo ruolo l'Istituzione, così indicata nel doctimento, in rappresentanza della quale alcuni dei partecipanti firmano il «pattone». È l'Istituzione la sola arbitra dell'attuazione delle varie fasi operative «tenuto conto delle alte finalità del progetto», è l'Istituzione che sceglie le società intermediarie, è l'Istituzione che, con la interposizione fittizia di apposita società, acquisisce la proprietà della quota cardine, pari al 10,2 per cento del capitale, che domina anche la parte (40 per cento) figurante a nome di Angelo Rizzoli.

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