Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci del lavoro svolto dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2 presieduta da Tina Anselmi


Quello che, per la Commissione è di primario interesse sottolineare è che la massoneria di Palazzo Giustiniani è venuta a trovarsi nel seguito della vicenda gelliana nella duplice veste di complice e vittima, essendone inconsapevole la base e conniventi i vertici.

Non v'ha dubbio infatti che la comunione di Palazzo Giustiniani in senso specifico e la massoneria in senso lato abbiano negativamente risentito dell'attenzione, tutta di segno contrario, che su di esse si è venuta a concentrare, ma altrettanto indubbio risulta che l'operazione Gelli, sommatoriamente considerata, abbia in quegli ambienti trovato una sostanziale copertura — per non dire oggettiva complicità — senza la quale essa non avrebbe mai potuto essere, non che realizzata, nemmeno progettata.

Quando parliamo di complicità — pur sostanziale che sia — non si vuole peraltro fare riferimento soltanto a quella esplicita dei vertici dell'associazione, peraltro espressione elettiva della base degli associati, ma altresì a quella più generale situazione risolventesi in una pratica di riservatezza, sancita dagli statuti ma ancor più da una concreta tradizione di radicato costume massonico degli affiliati tutti, che ha costituito l'imprescindibile terreno di coltura per l'innesto dell'operazione.

Perché certo è che Licio Gelli non ha inventato la Loggia P2 né per primo ha contrassegnato l'organismo con la caratteristica della segretezza, ed altrettanto certo è che non è stato Gelli ad escogitare la tecnica della copertura, ma luna e l'altra ha trovato funzionanti e vitali nell'ambito massonico: che poi se ne sia impossessato e ne abbia fatto suo strumento in senso peggiorativo, questo è particolare che ci interessa per comprendere meglio Licio Gelli e non la massoneria.

Il discorso sui rapporti tra Gelli e la massoneria è approdato a conclusioni che si ritengono sufficientemente stabilite e tali da consentire, a chi ne abbia interesse, di trarre le proprie conclusioni. Sia ciò consentito anche al relatore perché l'argomento e l'occasione sono tali da meritare una qualche considerazione di più ampia portata su un tema che vanta di certo una pubblicistica di non trascurabile impegno e valore, e che ha interessato sinora non solo il nostro ordinamento.

La storia della Loggia P2 ha il pregio, a tal fine, di svelare l'equivoco sul quale stanche polemiche si trascinano intorno alla distinzione tra segretezza e riservatezza. La certa segretezza della loggia, al di là di sofismi cartolari e notarili, trova infatti radice ed al tempo stesso costante e vitale alimento nella riservatezza della comunione intera.

Sollevandoci ad un più generale livello di considerazioni che prescinda dalla soluzione normativa concreta che gli ordinamenti vogliano dare a tale situazione, ci è consentito rilevare in via di principio che i due concetti si pongono, pur in teoria ed in pratica diversi, in rapporto di reciproca interazione e funzionalità tali che la segretezza senza riservatezza non ha modo di esistere e la riservatezza, non posta a tutela di una intima più ristretta segretezza, non ha ragione di essere.

Sono questi argomenti che ci conducono al cuore del problema e che allargano il tema sulla riservatezza massonica ad un più ampio contesto di considerazioni in ordine al ruolo che questa associazione può svolgere legittimamente nell'ambito dell'ordinamento democratico.

Chi infatti guardi al contenuto dottrinale proprio di questa forma associativa, il suo conclamato richiamarsi al trinomio di princìpi Libertà-Fratellanza-Uguaglianza (art. 2 delle Costituzioni massoniche), non può non constatare come questo sia verbo al quale mal si appongono forme di culto riservato e quanto piuttosto chieda di essere con orgoglio portato nella società degli uomini, nella quale è messaggio che non può porsi che come fonte di benefiche influenze.

È avviso di questa Commissione parlamentare che una terza soluzione non sia data tra i due corni di questo dilemma: o infatti questo, o altro lecito, è il cemento morale della comunione ed allora non v'ha luogo a riservatezza alcuna nel godimento dei diritti garantiti dalla Costituzione repubblicana a tutti i cittadini; o piuttosto la ragione d'essere dell'associazione è di diversa natura e va allora revocata in dubbio la sua legittimità in questo ordinamento.

Passando, poi, dal piano generale della logica corrente a quello più specifico della logica giuridica, e con riferimento alla normativa sulle associazioni segrete, il dilemma deve porsi in questi diversi termini: o la comunione esclude ogni possibile interferenza con la vita pubblica dalla sua sfera di interessi (come dovrebbe essere in base alle regole originarie), ed allora indulga quanto crede al rito esoterico del segreto, o vuol piuttosto partecipare in to to al divenire della nostra società.

Se è vera la seconda alternativa sarà giocoforza che essa rinunci alle coperture, alle iniziazioni sul filo della spada, alle posizioni «all'orecchio». Riti tutti che hanno il fascino dei costumi misteriosi di tempi lontani, ma che l'esperienza ha purtroppo dimostrato essere fertile terreno di coltura per illeciti di tempi recenti.

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