I toni in Europa sono trionfalistici sull’accordo per il nuovo Patto di stabilità, raggiunto all’Ecofin di ieri, che fa anche alcune concessioni gradite all’Italia per quanto riguarda le spese per la difesa dal computo del deficit e gli investimenti legati al Pnrr. A cui va aggiunto lo scorporo degli oneri per gli interessi sul debito pubblico dal calcolo del deficit.

«Dopo due anni di negoziati abbiamo raggiunto un accordo storico a 27 sulle nuove regole del Patto di stabilità e crescita, è un’ottima notizia per la Francia e per l’Europa perché garantirà la stabilità finanziaria», ha commentato il ministro delle finanze francese, Bruno Le Maire. A fargli eco il collega tedesco, Christian Lindner: «Le nuove regole fiscali per gli Stati membri dell’Ue sono più realistiche ed efficaci allo stesso tempo. La politica di stabilità è stata rafforzata». Parole che grondano soddisfazione, dunque. E non poteva essere altrimenti, dopo un estenuante negoziato che sembrava aver imboccato un vicolo cieco.

La prudenza di Giorgetti

Il risultato è per certi versi sorprendente: fino all’inizio di questa settimana, il rinvio al prossimo anno sembrava l’opzione più probabile. E in fondo era quella preferita dall’Italia, magari con una proroga della sospensione del patto almeno fino alle Europee per fare un po’ di propaganda.

Da Roma, infatti, l’approccio è più soft rispetto agli altri partner dell’Ue: «Accettiamo per spirito di compromesso», ha detto il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, durante il suo videocollegamento, ufficializzando nei fatti il placet italiano: i dati sono stati comunque valutati sostenibili. Anche se, a intesa già chiusa, ha dichiarato: «Ci sono alcune cose positive e altre meno». Un chiaroscuro ben lontano dall’entusiasmo degli omologhi di Francia e Germania Le Maire e Lindner.

La differenza di toni è evidente rispetto a Parigi, per cui l’intesa è un passo in avanti importante, mentre per Roma è a malapena un passettino. Il commissario per gli affari economici, Paolo Gentiloni, parla di «un grande vantaggio per l’Italia perché la pianificazione di bilancio si sposta in una prospettiva di medio termine».

Giorgetti rivendica comunque con cautela «il recepimento delle nostre iniziali richieste di estensione automatica del piano connessa agli investimenti del Pnrr», come era comunque previsto. All’Ecofin è poi passata la richiesta di considerare «un fattore rilevante la difesa». Una decisione che è stata accolta con grande soddisfazione dal ministro della Difesa, Guido Crosetto, che ha parlato di «un successo». Ma oltre all’impatto su uno specifico comparto, Giorgetti, nel mix di prudenza e scetticismo, ha detto che le nuove regole saranno messe «alla prova degli eventi dei prossimi anni che diranno se il sistema funziona realmente come ci aspettiamo».

Insomma, resta tutto da vedere, soprattutto per le politiche economiche che l’Italia dovrà attuare per rispettare le nuove regole. Il Patto di stabilità porta una serie di prescrizioni che porteranno al rigore sui conti. Di fatto l’aspetto più incoraggiante è una flessibilità garantita fino al 2027, grazie al cosiddetto periodo transitorio. Tanto che la Lega ha fatto trapelare la soddisfazione per la «fine dell’austerità», dando il via alla batteria di dichiarazioni dei fedelissimi di Matteo Salvini, seguita a ruota dagli alleati di Fratelli d’Italia e Forza Italia. Mentre da Azione, la deputata Daniela Ruffino osserva: «Giorgia Meloni ha negoziato in Europa per garantirsi ancora tre anni sabbatici e arrivare al limite della legislatura. Dopo, chi vivrà vedrà».

I contenuti dell’intesa

Nel dettaglio, come era trapelato alla vigilia dell’Ecofin, sono state introdotto della salvaguardie per garantire sia riduzione del debito che lo spazio di bilancio. Le soglie di riferimento prevedono una riduzione media del rapporto debito di 1 punto percentuale per i Paesi con un debito superiore al 90 per cento e dello 0,5 per cento per quelli compresi tra il 60 e il 90 per cento. La velocità di aggiustamento del deficit primario per i paesi oltre la soglia è dello 0,4 per cento all’anno per 4 anni: soglia che può scendere allo 0,25 per cento in caso di estensione da 4 a 7 anni.

Per comprendere il quadro, l’Italia, fino al primo trimestre 2023, aveva un rapporto debito- Pil superiore al 143 per cento e per la Nadef si attesterà intorno al 140 per cento nel prossimo triennio. Sempre nella Nota di aggiornamento al Def, il deficit è dato al 5,3 per cento per il 2023, ma con l’ambizione di portarlo al 4,3 per cento nel 2024. Resta un fatto: dal bilancio 2025, quando le norme europee dovrebbero diventare esecutive, il governo Meloni dovrà fare riferimento a questi parametri, nonostante la fase di transizione. Vanno in archivio i sogni di gloria della realizzazione del programma elettorale, che includevano la flat tax e la cancellazione della riforma Fornero per le pensioni: misure che avrebbero un pesantissimo impatto sui conti pubblici italiani. Sforando i paletti del Patto di stabilità.

Mentre in Europa, la partita si è giocata sul tavolo del Patto di stabilità, alla Camera non si è fermata la pantomima sul Mes, Anche nell’attesa di capire l’evoluzione delle trattative a Bruxelles.Dopo lo slittamento di ieri, con la scusa di dover approfondire con il Mef eventuali ricadute sui conti pubblici italiani. Come previsto, e già detto da via XX Settembre nei mesi scorsi, è arrivata la risposta: la ratifica del fondo non comporta spese aggiuntive. Il sottosegretario Federico Freni ha confermato l’ovvio, rispondendo alla richiesta della commissione Bilancio di Montecitorio. L’obiettivo è stato raggiunto: la palla è stata spedita in tribuna. Adesso si vedrà se il nuovo Patto di stabilità ha sbloccato lo stallo.

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