Era l’aprile del 2009 quando nacque il Financial stability board, l'ente internazionale che monitora la stabilità dei mercati finanziari. Sette mesi prima era fallita Lehman Brothers, innescando la crisi finanziaria più pesante dalla Grande Recessione. Oggi, invece, in un G7 che dovrebbe riunire le prime sette economie globali ma da cui è esclusa la seconda potenza economica mondiale, la Cina, e la settima, l’India, è un ospite su invito, i leader di Stati Uniti, Giappone, Canada, Unione europea, Francia, Germania, Italia e Gran Bretagna, stanno valutando la creazione di un meccanismo simile per la governance internazionale dei dati e la messa in sicurezza delle infrastrutture digitali secondo un documento preparato da un comitato consultivo che ha lavorato al summit in corso in Cornovaglia. Allora i leader dei paesi più ricchi cercarono la cooperazione in reazione alla crisi. Oggi, ipotizzano in tanti, vogliono prevenirla.

Il compromesso

La storia dirà quanti degli obiettivi del summit si tradurranno in realtà e quanto rimarrà solo vaga enunciazione di principio, tuttavia la parte riguardante la governance della rete e dei dati è quella su cui ci sono stati più lavori di dettaglio e su cui anche le grandi aziende hanno preso una posizione chiara.

Il documento della vigilia è un ben dosato compromesso tra gli interessi statunitensi ed europei. I rischi che elenca infatti sono sia «i comportamenti monopolistici, in particolare nelle aziende digitali», ma anche «i danni alla sicurezza informatica» per persone, aziende e infrastrutture critiche. Ed è anche una autocritica, dove dice che finora il G7 non ha «avuto l’approccio inclusivo necessario per affrontare le grandi questioni digitali della nostra epoca», di fatto lasciando, come gli analisti scrivono da anni, che la rete si regionalizzasse, fratturasse e si dividesse tra la governance dei grandi colossi e quella degli stati o delle macro aree geopolitiche del mondo.

La cooperazione si dovrebbe concentrare principalmente sulla governance dei dati, gli standard della tecnologia globale e la cooperazione in materia di sicurezza informatica. Mentre Ue e Stati Uniti devono ancora risolvere il conflitto che li separa sulla protezione della privacy e la giurisdizione sui dati, il documento propone la creazione di un board internazionale per i dati e la tecnologia per evitare la corsa al ribasso sui diritti. Il secondo obiettivo dovrebbe essere la creazione di un quadro comune per «interagire in sicurezza con le tecnologie e le risorse crittografiche; e meglio coordinare le risposte agli attacchi informatici ai membri del G7», in funzione chiaramente anti cinese. Ma si propone anche di rafforzare e allargare il ricorso all'antitrust e alla politica della concorrenza, in funzione anti monopoli, «utilizzando le politiche fiscali per garantire che le imprese digitali paghino la loro giusta quota di tasse».

Dai capitali ai dati

Si tratta di questioni che erano state affrontate anche nel vertice dei ministri dell’innovazione del G7 del 28 aprile scorso. Il documento finale pubblicato in quella occasione spiegava molto bene e meglio il senso dell’accordo sui dati: cioè quello di permetterne il flusso libero, in una sorta di nuovo mercato globale dei capitali. «Il G7 svilupperà prove sugli impatti della localizzazione dei dati, promuoverà la cooperazione normativa e accelererà lo sviluppo di approcci di buone pratiche per la condivisione dei dati in una serie più ampia di settori prioritari. Queste aree possono includere i trasporti, la scienza e la ricerca, l'istruzione e la mitigazione dei disastri naturali», era scritto. Dopo quell’incontro alcune grandi aziende a partire da Ibm si sono pubblicamente appellate direttamente ai leader del G7 perché trovino una intesa.

Il vertice di aprile aveva affrontato la questione antitrust e il contrasto dei monopoli del digitale ma ne aveva rimandato l’approfondimento a un nuovo summit fissato a settembre. Contemporaneamente i ministri avevano affrontato per la prima volta la questione 5G, la tecnologia su cui la Repubblica popolare cinese detiene la leadership globale. E avevano confermato sempre per settembre l’organizzazione di un Future Tech Forum riservato a «partner democratici che la pensano allo stesso modo per discutere il ruolo della tecnologia nel sostenere le società aperte e nell'affrontare le sfide globali, in collaborazione con l'industria, il mondo accademico e altre parti interessate chiave».

Quanto il confronto tecnologico con la Repubblica popolare cinese detti l’agenda di questo G7, e di tutta l’azione diplomatica dell’amministrazione Biden è facile da intuire. Poco prima di salire sull’AirForceOne diretto in Gran Bretagna, il presidente degli Stati Uniti ha emesso un ordine esecutivo per la protezione dei dati sensibili dei cittadini statunitensi, in cui da una parte ha revocato il blocco imposto dal suo predecessore Donald Trump sulle app cinesi TikTok e WeChat, ma dall’altra ha ordinato al Dipartimento del commercio una revisione di tutte le applicazioni software controllate da avversari stranieri per valutare i rischi in termini di sicurezza.

Il 2 giugno, TikTok ha modificato l’informativa sulla privacy aggiungendo di poter raccogliere anche i dati biometrici degli utenti, tra cui «impronte facciali e impronte vocali». Che poi anche gli Stati Uniti abbiano una politica della sorveglianza discutibile, è un tema che chissà se i partner europei solleveranno.

 

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