A differenza di quanto accade in Italia, la giornata lavorativa di quattro giorni funziona da anni in molte grandi aziende europee. Per questo la svolta appena annunciata da EssilorLuxottica suona come una novità rivoluzionaria per il nostro Paese.

Il contratto integrativo aziendale per il triennio 2024-2026 firmato giovedì tra la multinazionale degli occhiali e le sigle sindacali Filctem Cgil, Femca Cisl e Uiltec Uil riguarda i circa 15mila lavoratori degli stabilimenti italiani di Agordo, Sedico, Cencenighe Agordino (in provincia di Belluno), Pederobba (provincia di Treviso), Lauriano (Torino) e Rovereto (Trento), e prevede la sperimentazione per 20 settimane l’anno della settimana corta, con quattro giorni di lavoro su sette al posto dei canonici cinque.

Per 20 giorni l’anno quindi, su base volontaria, i lavoratori saranno esentati dall’andare in fabbrica e potranno trascorrere come meglio credono la loro giornata libera, mantenendo lo stipendio invariato. È l’ultimo passo di un percorso iniziato nel giugno del 2019, quando Luxottica introdusse le prime forme di riduzione dell’orario, in concomitanza con l’assunzione a tempo indeterminato di oltre mille lavoratori precari.

L’esempio dell’azienda fondata da Leonardo Del Vecchio potrebbe aprire la strada a un ricorso più diffuso alla settimana corta, e nelle stesse ore in cui si firmava l’accordo arriva la notizia di un’intesa simile per i lavoratori della Lamborghini, nello storico stabilimento di Sant’Agata Bolognese. L’idea della casa automobilistica è di intervallare una settimana corta con una di cinque giorni, concedendo di fatto ai lavoratori due venerdì liberi al mese, favorendo al contempo lo smart working per alcune mansioni. Passi avanti importanti, ma in Italia c’è ancora tantissima strada da fare.

Il precedente di Intesa

Nel nostro Paese è stata Intesa Sanpaolo a fare da precursore sulla settimana corta. All’inizio di quest’anno la banca guidata da Carlo Messina ha introdotto per i suoi 74 mila dipendenti italiani la settimana corta di 4 giorni da 9 ore lavorative, a parità di retribuzione. Prima di Intesa, programmi di questo tipo erano stati avviati in piena pandemia da Awin Italia e Carter & Benson, due aziende che con l’arrivo del lockdown avevano deciso di sperimentare la riduzione dell’orario lavorativo settimanale e testarne gli effetti su produttività e soddisfazione dei dipendenti, riscontrando un netto miglioramento.

Nel caso di Intesa Sanpaolo si lavora un’ora e mezza in più dal lunedì al giovedì, ma in cambio il venerdì è libero, e le ore lavorative settimanali passano così da 37,5 a 36. Anche in questo caso il programma, che ha visto l’adesione di circa 17 mila dipendenti, è stato lanciato su base volontaria. Oltre alla compensazione della giornata libera con un aumento delle ore sugli altri giorni (seppure con un monte ore settimanale complessivamente), l’adesione alla settimana corta è soggetta alla discrezionalità del responsabile del dipendente che la richiede, in quanto dev’essere compatibile “con le esigenze tecniche, organizzative e produttive aziendali”. Quindi, di fatto, il lavoratore deve farsi approvare ogni sua richiesta di settimana corta.

Primato nordico

Totalmente differente è quello che accade in altre parti del mondo, dove le economie più avanzate hanno iniziato a far ricorso già da parecchi anni alla settimana lavorativa di quattro giorni.

L’Islanda è stata una delle prime nazioni al mondo a testare, tra il 2015 e il 2019, la settimana di quattro giorni per 35-36 ore di lavoro, con risultati più che soddisfacenti: le imprese hanno registrato un aumento della produttività, e ad oggi l’86% dei dipendenti preferisce lavorare quattro giorni a settimana. Massiccio ricorso alla settimana corta viene fatto in altri paesi del nord Europa, come Norvegia, Svezia, Danimarca e Olanda, con quest’ultima che detiene la media ore più bassa d’Europa, 32,4 a settimana.

In Nuova Zelanda invece le prime sperimentazioni sono iniziate nel 2018. A fare da apripista è stata Unilever. Anche qui gli ottimi risultati hanno spinto il governo a trasformarla in una misura strutturale.In Giappone, paese noto per lo stakanovismo dei suoi lavoratori, sempre più aziende hanno iniziato a far ricorso alla settimana corta: ha iniziato Microsoft Japan nel 2019, seguita da importanti multinazionali della tecnologia, come Panasonic e Hitachi, del settore bancario, come Mizuho, e dell’abbigliamento, come Uniqlo.

Nell’autunno del 2021 è stata la volta della Spagna, con il governo Sanchez che ha avviato un test triennale, coinvolgendo decine di imprese, con l’obiettivo di ridurre a 32 ore su quattro giorni (dalle 39 attuali) la settimana lavorativa.

Diverso il caso del Belgio, che l’anno scorso ha introdotto la settimana corta senza tagliare le ore: l’idea è concentrarle in quattro giorni, previo accordo tra datore di lavoro e dipendente. Un modello molto simile a quello adottato in Italia da Intesa Sanpaolo.

A dimostrare i benefici della settimana di quattro giorni è stato anche uno studio effettuato lo scorso anno in Gran Bretagna, che ha coinvolto 2.900 dipendenti e si è svolto nell’arco di 6 mesi tra giugno e dicembre 2022 su 61 aziende di diverso tipo. Al termine dei sei mesi di sperimentazione, la maggior parte delle aziende ha deciso di non tornare indietro. Se la sperimentazione avviata da EssilorLuxottica (e quella ipotizzata da Lamborghini) darà i suoi frutti, anche in Italia saranno sempre di più i dipendenti che lavoreranno quattro giorni a settimana, con tutti i benefici psicofisici che ne derivano.

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