«Non so, non ho visto, se c’ero dormivo» cantavano I Gufi mezzo secolo fa. Lo stato italiano si sta comportando allo stesso modo con la vecchia Alitalia e la nuova Ita Airways. I ministeri dell’Economia e dello Sviluppo economico, cioè rispettivamente il proprietario della compagnia partita il 15 ottobre 2021 e il controllore delle vicende relative all’amministrazione straordinaria della società aerea fallita nel 2017, sollecitati a fornire informazioni sulla vendita a Ita del ramo aviation Alitalia (la flotta e tutto ciò che la riguarda per il funzionamento) hanno candidamente scritto che la faccenda non li riguarda.

A entrambi i ministeri la documentazione era stata richiesta da un sindacato di base, la Cub trasporti guidata da Antonio Amoroso con un’ufficialissima domanda di accesso agli atti. Gli uffici dei due dicasteri hanno risposto con due note altrettanto ufficiali.

Quello dello Sviluppo economico guidato dal leghista Giancarlo Giorgetti ha scritto che «la documentazione richiesta non risulta essere detenuta da questo ministero essendo riferita essenzialmente al nuovo vettore aereo (Ita Airways ndr) nonché a negoziazioni commerciali intervenute direttamente tra le società interessate».

Il ministero dell’Economia di Daniele Franco si è spinto ancora più in là: non solo ha ribadito che si tratta «di atti negoziali inerenti a una transazione commerciale intercorsa tra le due società», ma ha anche voluto aggiungere che non c’è stato «il coinvolgimento dell’Azionista di Italia trasporto aereo Spa», cioè lo stesso ministero dell’Economia che è appunto azionista al 100 per cento di Ita. Ne consegue che la richiesta del sindacato «non può trovare accoglimento essendo rivolta a un soggetto che non ha formato né detiene i documenti richiesti».

Proprietario assenteista

In pratica il ministero dello Sviluppo economico informa che seguire l’operato di Alitalia in amministrazione straordinaria non rientra tra i suoi compiti nonostante lo stesso ministero abbia al suo interno una direzione generale che si occupa esclusivamente di amministrazioni straordinarie e che tra i vari casi aperti in questo momento quello della vecchia compagnia fallita è uno dei più rilevanti e quindi meritevole di un’attenzione speciale.

Il ministero dell’Economia, invece, introduce un concetto economico che non si era mai visto, cioè che il proprietario di una società, e il ministero è il proprietario di Ita, si disinteressa bellamente di che cosa fanno gli amministratori lasciandoli liberi di spendere a piacimento, a prescindere dalle scelte e dalle indicazioni del proprietario stesso.

Di più: il proprietario non vuole nemmeno vedere gli atti relativi alle scelte degli amministratori della società, come se solo toccarli fosse compromettente.

Questa fuga dalle informazioni (e dalle responsabilità?) succede mentre il proprietario ministero dell’Economia concede a Ita una dotazione super, la bellezza di 3 miliardi di euro per poter operare. Quei 3 miliardi sono soldi pubblici, cioè dei contribuenti, i quali da una parte vengono chiamati a finanziare forzosamente e di fatto a loro insaputa una nuova società pubblica. E dall’altra vengono tenuti deliberatamente all’oscuro di come i loro soldi vengono utilizzati.

Tutto ciò rientra in un modo di procedere opaco che è stato seguito dal governo in tutti i vari passaggi della nascita di Ita.

Dopo aver acquistato gli aerei Alitalia, Ita ha poi deciso di acquistare anche la bellezza di 28 Airbus di vari modelli nuovi di zecca con un importo che a prezzi di listino supera i 4 miliardi di euro. Contemporaneamente, la nuova compagnia è stata messa in vendita a un prezzo intorno al miliardo e 300 milioni di euro.

In un volantino diretto ai dipendenti Alitalia e Ita, il sindacato Cub trasporti e l’associazione Air Crew Committee scrivono con un fatalismo sfiduciato: «Ci sarebbe da sbellicarsi se non si palesasse un quadro indegno della politica italiana».

Un euro per la flotta

L’unica informazione circolata a proposito della vendita della flotta di Alitalia a Ita è quella fornita ai parlamentari durante un’audizione dal presidente della nuova compagnia, Alfredo Altavilla. Chissà se per scherzo o sul serio, Altavilla ha detto che la transazione è avvenuta con l’esborso di un euro da parte di Ita. Poi, forse per placare le obiezioni e lo stupore che una rivelazione del genere aveva provocato, questa informazione è stata corretta con l’aggiunta che Ita si era accollata molti oneri pregressi della vecchia compagnia. Quali? Per quali importi? Non è dato saperlo.

Da un punto di vista legale le omissioni ministeriali e in particolare quelle del ministero dello Sviluppo economico sono state rese possibili grazie all’approvazione del decreto della fine dell’estate con cui in sostanza si esentava lo stesso ministero dall’obbligo di approvare il programma di vendita del ramo aviation di Alitalia.

Quel decreto scaricava di fatto la responsabilità della transazione sui commissari straordinari di Alitalia e se fosse vero che la vendita è avvenuta a un euro colpiva pure gli interessi grandi e piccoli delle centinaia di creditori della vecchia società di Fiumicino.

La vendita a prezzi di mercato della flotta Alitalia avrebbe permesso ai commissari di incassare un bel po’ di soldi utili per la soddisfazione almeno parziale dei creditori.

A rendere tutta la vicenda di Alitalia-Ita ancora più confusa c’è la circostanza comunicata dal sindacato dei piloti Navaid che i lavoratori ex Alitalia sono ancora in attesa da novembre dei pagamenti della cassa integrazione e dell’integrazione salariale.

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