Leggiamo spesso raffronti fra la dimensione degli Stati, individuata in genere nel loro Pil, e il valore di mercato dei grandi gruppi economici, ora soprattutto i Big Tech come Microsoft, Apple, Amazon etc. Sono in realtà raffronti impropri: il valore di mercato è uno stock, non paragonabile al flusso di un periodo, come il Pil. Resta però questo un confronto di impatto forte, spesso citato per contrasti fra grandissime imprese e Stati, che ricordano a volte quelli fra potenze comparabili.

Amazon ha un valore di mercato di circa 1.800 miliardi di dollari, poco sotto il Pil di un grande Paese come l'Italia. Nei giorni scorsi è passata inosservata una sua mossa che solleva grandi interrogativi. Il presidente Usa Joe Biden ha appena nominato a guidare la Federal Trade Commission, autorità federale antitrust, Lina Khan, autrice del saggio Amazon's antitrust paradox, uscito nel 2017 sul Yale Law Journal; Khan descrive lì come Amazon ed altri Big Tech sfruttano le falle nella regolazione della concorrenza, negli Stati Uniti da decenni concentrata sugli effetti delle operazioni esaminate sui prezzi.

Se questi non crescono, spesso non viene nemmeno aperta l'istruttoria. Dato che giganti come Facebook o Google non ci fanno pagare esplicitamente nulla, le loro operazioni van via lisce. E come recita il motto, «Se il prodotto è gratis, la merce sei tu».

Nel saggio, Khan afferma che Amazon, grazie alla sua struttura, attua politiche di prezzo predatorie; propone perciò di scinderla in entità staccate, così da impedire gli abusi connessi al suo modello di lavoro. La piattaforma conosce “da dentro” l'attività di quanti la usano come canale di vendita; di questi dati può avvalersi, e di fatto si avvale, per far loro concorrenza.

È ovvio che tali studi non piacciano ad Amazon, ma arrivare a chiedere formalmente che Khan si astenga dal trattare materie che la toccano emana un'acuta puzza di sovversione. Biden, forte di un netto e recente mandato popolare, l'ha nominata proprio per le sue ricerche.

Trascuriamo pure l'invidia per il leonino coraggio di una repubblica che, con tutti i suoi difetti, nomina in posizioni simili una docente associata di 32 anni, che ha fatto un dottorato di ricerca a Yale quattro anni fa, nata a Londra da genitori pakistani, estranea all'establishment e in specie al boss di Amazon, Jeff Bezos, proprietario anche del grande Washington Post, pur ferocemente anti Trump.

Come scrive Khan, Amazon è oggi venditore al dettaglio, piattaforma di marketing, rete logistica, servizio di pagamento, grande creditore commerciale, casa d'aste, editore, produttore di contenuti video e di beni, infine grande fornitore di servizi Cloud. Se dovesse astenersi su quei temi, farebbe meglio a dimettersi. È questo, in fondo, il vero obiettivo della richiesta di Amazon. Chiedere un giudizio imparziale è suo diritto, assicurarlo è dovere di una democrazia liberale.

Il diritto a difendersi da accuse di condotta anti-concorrenziale non può impedire ad un governo democratico di perseguire i propri piani, rispettando le procedure di garanzia. Chi la pensa altrimenti nega la prevalenza dell'interesse generale sugli interessi privati. Che spesso avvenga il contrario sarà vero, ma non va formalizzato!

Chi può prendere decisioni

Lina Khan, nominee for Commissioner of the Federal Trade Commission (FTC), speaks during a Senate Committee on Commerce, Science, and Transportation confirmation hearing, Wednesday, April 21, 2021 on Capitol Hill in Washington. (Graeme Jennings/Pool via AP)

Khan è solo uno dei bersagli, i Big Tech hanno altre, e forse più insidiose, frecce all'arco, ben conoscendo i lati oscuri delle democrazie, come la dipendenza dei politici dai contributi. Renderli pubblici soddisfa la trasparenza ma non elimina il problema, solo lo rende più visibile.

Negli Usa sono quei pagamenti a spiegare l'ostilità di molti deputati, anche democratici, ad alcuni provvedimenti ora in esame alla Camera dei Rappresentanti, per limare le unghie ai Big Tech. Per essi i provvedimenti indebolirebbero la privacy dei cittadini che, privi del mantello protettivo dei Big Tech di casa, sarebbero vittima dei maligni omologhi cinesi.

C'è poi il tema dei requisiti per far parte di organi tecnici, ma con ovvie ricadute politiche, come la Federal Trade Commission, o le entità che noi chiamiamo Autorità Indipendenti (AI).

Queste sono nate, prima negli Usa, poi in Europa e altrove, con leggi e sistemi di garanzia diversi, ma un fine comune: scrivere, nel quadro di leggi generali emanate dai parlamenti, norme tecniche per regolamentare le attività economiche e sorvegliarne l'applicazione, comminando anche sanzioni a chi le vìola, anche in raccordo con l'autorità giudiziaria.

I componenti delle AI devono perciò possedere rilevanti cognizioni tecniche, acquisite nello studio o nell'attività pratica. Escludere chi abbia studiato un settore, o lo conosca per avervi operato, sarebbe insensato.

Trasformerebbe l'incompetenza in requisito di nomina! E ciò a non ipotizzare astuzie volte a coinvolgere, in ricerche nel proprio settore operativo, studiosi sgraditi, tagliandoli così fuori per il futuro.

Certo, gli studiosi da soli possono essere troppo avulsi dalla realtà operativa, e chi sia stato impegnato in questa può ignorare importanti acquisizioni degli studi. Per questo le due competenze devono coesistere e bilanciarsi nelle AI.

Sullo sfondo c'è il tema del perenne rischio di conflitti fra il dovere di operare nell'interesse del Paese nominante, e gli altri legami della persona designata.

Qui la lente è sempre, giustamente, puntata su chi ha operato nel mercato, ma non va dimenticato che altrettanto grandi, forse ancor maggiori, possono essere i conflitti di chi venga dall'accademia o da altri ambiti, politica inclusa. Il principale conflitto si nasconde però non già nel passato, ma nel futuro, con la promessa di incarichi a chi farà da bravo!

Per questo in Italia le cariche nelle AI sono in genere per sette anni non rinnovabili, con il divieto di assumere incarichi nel settore che si è in precedenza regolato. Divieto questo giusto in teoria, ma da maneggiare con gran cura. Un periodo troppo breve sarebbe ridicolo, ma uno troppo lungo condannerebbe l'AI ad essere retta solo da persone molto ricche, o molto disinvolte, magari anche incompetenti.

Nessun sistema può in sé garantire la correttezza e la competenza di chi lavori nelle AI, resta essenziale la valutazione della persona da designare. È cosa difficilissima, non risolvibile con le procedure, ma ineludibile.

Per tornare infine al punto di partenza, la triste verità è che i poteri forti - negli Stati Uniti esistono davvero - colpiscono una Khan per educarne cento, e ciò mentre la minaccia alla democrazia di Trump, che pretende d'aver vinto un'elezione persa, offusca l'orizzonte.

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