Molti a Roma, nei palazzi della politica, hanno descritto il ministro Raffaele Fitto come il grande sconfitto della partita Ilva, finita al capolinea dell’insolvenza e dell’amministrazione straordinaria dopo mesi e mesi di infruttuosi tentativi di salvataggio.

Fitto, dalla sua postazione di Palazzo Chigi ha cercato fin quasi all’ultimo di trovare un punto d’incontro con Arcelor Mittal, a costo di finire in rotta di collisione dentro il governo con Adolfo Urso, a capo del ministero delle Imprese, e con Giancarlo Giorgetti, responsabile del Mef. E alla fine, la linea del negoziato ha avuto l’unico effetto di prolungare l’agonia dell’azienda, bruciando preziose risorse finanziarie. La vicenda si è chiusa con la nomina di una terna di commissari a cui è stata affidata la gestione di Acciaierie d’Italia, una nomina che formalmente spettava a Urso.

Fitto, però, non sembra del tutto uscito di scena, anzi. Già, perché Davide Tabarelli, uno dei professionisti chiamati dal governo a gestire l’amministrazione straordinaria può vantare un consolidato rapporto proprio con Fitto, il fedelissimo di Giorgia Meloni che gestisce gli Affari Europei, il Pnnr e le politiche di coesione con delega al Sud.

Non è un caso, allora, che Tabarelli, esperto di politiche energetiche, professore universitario a Bologna, la scorsa estate sia stato chiamato a Palazzo Chigi nel gruppo di consulenti del governo per l’attuazione del Pnrr. L’incarico, si legge nelle carte, riguarda la Missione 2 “Rivoluzione Verde e transizione ecologica” e la Missione 3 “Infrastrutture per la mobilità sostenibile”, con il compito, tra l’altro, di studiare “l’attuazione gli interventi per l’attuazione delle riforme”.

In pratica, per un compenso annuo di 50 mila euro, il professore emiliano, 63 anni, dovrà elargire consigli al ministero di Fitto su tempi e modi degli interventi previsti dal Pnrr in campo energetico. Non è certo la prima volta che Tabarelli, presidente, fondatore e azionista della società di consulenza Nomisma energia, mette a disposizione del governo in carica la sua competenza sulle questioni energetiche.

Esperto di lungo corso

I primi incarichi risalgono addirittura alla metà degli anni Novanta. Il rapporto con Fitto nasce sul Pnrr, che ruota in buona parte attorno alla transizione ambientale. Lo stesso vale per l’Ilva, chiamata ad attuare nei prossimi anni un piano a dir poco ambizioso di decarbonizzazione per rispettare le norme green dell’Unione europea. Oltre a Tabarelli, il governo ha affidato l’amministrazione straordinaria del gruppo a Giancarlo Quaranta, già dirigente di lungo corso di Ilva, e Giovanni Fiori, professionista romano, docente alla Luiss, che in passato è già stato commissario di diverse grandi imprese in crisi, tra queste anche Alitalia.

Il grande impianto di Taranto dovrà cambiare pelle, abbandonare le tecnologie più inquinanti, quelle che utilizzano il carbone, e produrre acciaio riducendo al minimo indispensabile l’impatto sull’ambiente. Il destino degli altiforni interessa a Fitto anche per motivi strettamente politici: la Puglia è il suo bacino elettorale e il crack di una fabbrica con oltre 10 mila dipendenti, a cui va aggiunto un indotto con migliaia di lavoratori, potrebbe costargli caro in termini di voti.

Contro Bruxelles

Tabarelli adesso si trova in prima linea. Da una parte avrà l’ingrato compito di gestire Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria, ma, allo stesso tempo, resterà consulente di Fitto per il Pnrr. Sul fronte delle politiche ambientali, il presidente di Nomisma energia non ha mai nascosto le sue perplessità a proposito delle direttive di Bruxelles. Lo ha fatto in interviste televisive, sui giornali e in innumerevoli convegni.

Per Tabarelli non è un dato accertato neppure l’effetto determinante delle attività umane sul cambiamento climatico, questione che è invece fuori discussione per la quasi totalità della comunità scientifica. «La complessità è enorme e di certezze assolute non ne vedo», ha dichiarato il consulente di Fitto in un’intervista di un paio di mesi fa.

Mentre a proposito della transizione ambientale il professore di Nomisma ritiene che «cercheremo di ridurre la dipendenza da fossili, ma con risultati marginali, perché le rinnovabili, dopo 50 anni di sforzi contano per il 2 per cento del totale». In passato Tabarelli si è fatto apprezzare anche dall’Eni che nel 2018 lo ha chiamato nel suo advisory board, in qualità di “esperto energetico e ambientale”. Un incarico abbandonato nell’aprile di due anni dopo.

Adesso, in veste di commissario di Acciaierie d’Italia, il consulente di governo dovrà misurarsi con la trasformazione green della vecchia Ilva. Un tema su cui si è espresso di recente demolendo le tesi di chi spera di produrre acciaio usando l’idrogeno come combustibile e anche ha dichiarato tutti i suoi dubbi per la tecnologia che prevede la cosiddetta “riduzione diretta del ferro”. Una tecnologia, quest’ultima, a cui era da principio destinato un miliardo di finanziamenti del Pnrr, che però sono stati tagliati dal governo di cui proprio Tabarelli è consulente.

Se queste sono le premesse, ora che il professore di Nomisma, è sul ponte di comando dell’azienda, il futuro green dell’Ilva sembra sempre più pallido. E più lontano.

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