Mediobanca, finale di partita: la scia dei sospetti sull’ops di Caltagirone & co

Si gioca giovedì 21 la partita decisiva nello scontro che segnerà il destino di Mediobanca. Se Alberto Nagel riuscirà a far passare in assemblea l’offerta pubblica di scambio (Ops) su Banca Generali, l’amministratore delegato della banca d’affari riuscirà quantomeno a guadagnarsi i tempi supplementari. In caso contrario, Francesco Gaetano Caltagirone e la famiglia Del Vecchio avranno la strada spianata per conquistare Piazzetta Cuccia e il suo gioiello più prezioso, il controllo delle Generali. Un ribaltone storico, costruito con l’appoggio del governo di Giorgia Meloni e usando il Monte dei Paschi come cavallo di Troia per andare all’assalto della banca d’affari con un’ops lanciata a fine luglio e prossima concludersi con successo l’8 settembre. L’offerta all’esame dell’assemblea prevede che Mediobanca scambi il suo 13,1 per cento della compagnia di Trieste con l’intero capitale di Banca Generali, che per il 50,1 per cento fa capo al gruppo assicurativo. Questo significa che, se l’operazione andasse in porto, Caltagirone & co, una volta sbarcati a Piazzetta Cuccia, dovrebbero fare a meno di Generali. Insomma, una vittoria dimezzata. E forse anche peggio. Misiani (Pd): «Sulle banche intervengono logiche di potere. Il governo ha distorto le ops» Fronte del no Il problema, per Nagel, è che tra analisti e osservatori si fatica a trovare qualcuno disposto scommettere su di lui. I numeri, quelli delle forze in campo, al momento giocano contro il manager. Sommando i soci contrari al progetto e quelli di cui viene data per probabile l’astensione, si arriva molto vicino al 40 per cento del capitale della banca d’affari. Uno schieramento che comprende le quote di Delfin (famiglia del Vecchio) con il 19,9 per cento e Caltagirone al 9,9 per cento, a cui va aggiunto il 5 per cento delle casse previdenziali (Enasarco, Enpam e Inarcassa), il 2 per cento dei Benetton e anche l’1,9 per cento forse ancora in portafoglio a Unicredit. Secondo quanto annunciato, la partecipazione dei soci all’assemblea non sarà superiore al 78 per cento del capitale. Quindi, salvo sorprese, il fronte del “no”, forte di un 40 per cento, cioè oltre la metà del capitale votante, avrà la strada spianata verso la vittoria e l’ops su Banca Generali resterà sulla carta. Il passo successivo, per Caltagirone, Del Vecchio e compagni di strada assortiti, sarà l’adesione all’offerta di Mps su Mediobanca. Qui il ribaltone pare inevitabile, visto che per consegnare al Monte il controllo della banca d’affari basterà raggiungere quota 35 per cento, anche se a Siena sperano di superare di slancio il 50 per cento del capitale di Piazzetta Cuccia. A questo proposito è emerso nei giorni scorsi che qualcuno dei soci di Piazzetta Cuccia si è portato avanti con il lavoro e l’ops ha già raccolto il 19,4 per cento di Mediobanca. Mediobanca, ultima chiamata. Scudo di Generali contro Mps Milleri cambia rotta Da dove arrivano queste azioni? Indiscrezioni non smentite hanno tirato in ballo Delfin, la holding dei Del Vecchio guidata da Francesco Milleri. Se questa ricostruzione fosse corretta, la scelta di Milleri apparirebbe insolita e sorprendente. Insolita perché in operazioni di questo tipo, le adesioni, a maggior ragione quelle degli azionisti più rilevanti, nella quasi totalità dei casi si concentrano negli ultimi giorni del periodo d’offerta, per poter valutare eventuali proposte alternative oppure rilanci nel prezzo d’opa o ops. La sorpresa, invece, deriva dal fatto che il 29 luglio, in un’intervista rilasciata al Corriere delle Sera, lo stesso Milleri aveva dichiarato che «un eventuale adeguamento (del prezzo, ndr) che rifletta l’andamento dei corsi di Borsa renderebbe l’offerta più appetibile per gli investitori». A quanto sembra, però, sono bastate un paio di settimane per convincere Milleri a correggere il tiro. Le azioni sono state consegnate senza attendere il rilancio auspicato dallo stesso numero uno di Delfin. Va ricordato, infatti, che l’offerta del Monte (2,53 zioni di Siena ogni titolo Mediobanca) al momento viaggia a sconto del 2,4 per cento circa rispetto alla quotazione borsistica di Piazzetta Cuccia. Può essere, quindi, che Milleri abbia dato per scontato che l’adeguamento da lui evocato nell’intervista arriverà entro l’8 settembre e quindi ha deciso di tagliar corto visto che alla scadenza dell8 settembre Delfin incasserà comunque il prezzo corretto al rialzo. Sul mercato è però molto diffusa anche una lettura più articolata di questa mossa sorprendente. Da una parte, argomentano numerosi analisti e osservatori, Delfin ha voluto dare un segnale chiaro di sostegno agli sforzi di Mps alla vigilia di un appuntamento decisivo come l’assemblea di Mediobanca del 21 agosto. Come dire: «Nagel ha già perso, inutile insistere sull’ops Banca Generali». D’altra parte, Milleri, giocando d’anticipo, si è smarcato dall’alleato Caltagirone, che, a quanto si sa, non ha fin qui consegnato il suo pacchetto azionario. La scelta dell’imprenditore romano può far comodo ai Del Vecchio per smorzare i sospetti di un’azione di concerto che da tempo gravano sui due alleati che, grazie ad acquisti ripetuti e continui nel corso degli ultimi anni, hanno preso posizione In Generali, Mediobanca e Mps, le società al centro dei grandi giochi di questi mesi. Il re di Roma e la sua grande scacchiera: la mutazione di Caltagirone finanziere Indagini sull’asta Mps Le segnalazioni a Consob e Ivass da parte di Piazzetta Cuccia e della compagnia di Trieste non sono fin qui approdate a nulla di concreto. Se venisse provata l’esistenza di accordi non dichiarati al mercato, gli azionisti coinvolti potrebbero essere obbligati a lanciare un’opa sulle società di cui sono grandi soci. Caltagirone e Delfin si sono già mossi all’unisono nell’asta competitiva (accelerated book building) con cui nel novembre scorso il governo ha messo in vendita il 15 per cento di Mps. Un’operazione che ha alimentato dubbi sul mercato per le modalità da più parti definite anomale con cui si è svolta. Di certo nessuno, all’epoca, avrebbe immaginato che di lì a due mesi il Monte avrebbe addirittura annunciato un’offerta su Mediobanca. Intanto però l’asta di novembre si è lasciata alle spalle una scia di sospetti, sempre respinti dalle parti coinvolte, che arriva fino a questi giorni. Gli stessi sospetti che hanno innescato un’indagine dei pm di Milano che in autunno entrerà nella sua fase decisiva. Banche, Caltagirone fa il suo mestiere. È il governo che fa scandalo