Per il numero uno di Monte dei Paschi, Del Vecchio e Caltagirone non avrebbero mai messo bocca sulle attività della banca senese. Piazzetta Cuccia: «L’abbassamento della soglia mostra la volontà di chiudere a tutti i costi, il 35 per cento non basta per il controllo»
«Cercheremo un nuovo top manager» per Mediobanca. Lo ha detto a Bloomberg Tv l’amministratore delegato di Mps Luigi Lovaglio. Il numero uno dell’istituto senese ha già negli occhi la conclusione positiva della scalata lanciata da Mps nei confronti della banca d’affari e inizia ad anticipare qualche dettaglio della banca che ha in mente per il futuro. Il manager si è detto certo del successo dell’operazione, convinto che sarà superata la soglia del 66 per cento di capitale. Il 35 per cento, spiega Lovaglio, è la soglia fissata, ma per «mera tecnicalità».
Una definizione tutt’altro che apprezzata a piazzetta Cuccia, dove invece segnalano che quella quota «non sarebbe infatti sufficiente a garantire un controllo», una «divergenza» rispetto a quanto promesso e la dimostrazione della volontà di chiudere l’opposizione a ogni costo.
Il marchio, ha spiegato Lovaglio, rimarrà, ma, se dovesse andare in porto l’operazione, il management sarà sostituito. Brutte notizie per Alberto Nagel, che sta continuando a lottare contro la scalata nei confronti del suo istituto. L’ad si è profuso in raccomandazioni pubbliche via pubblicità e nelle call con gli analisti agli azionisti a non accettare l’offerta di Mps.
Ma Nagel ha tirato in ballo pubblicamente sia la posizione ambigua dei due soci presenti sia nell’azionariato della banca target che in quella di piazzetta Cuccia sia il ruolo controverso del governo, contemporaneamente azionista di maggioranza ed elemento terzo che dovrebbe essere neutrale tanto da avere a propria disposizione il golden power.
Uno sforzo che sembra destinato a poco a poco al fallimento, considerata l’uscita (che si aggiunge a quella del gruppo Mediolanum) del gruppo Lucchini, che ha venduto 124mila azioni. Uno sviluppo che indebolisce ulteriormente l’Accordo di consultazione, che ormai arriva soltanto a quota 8 per cento del capitale della banca d’affari.
Cooperazione e ostilità
Quel che è certo, almeno stando a quanto emerge dalle parole di Lovaglio, è che Nagel non tiene a un futuro in una Mediobanca eventualmente controllata da Mps. «Non è interessato all’accordo: l’ho chiamato e non mi ha risposto», ha detto ancora il numero uno dell’istituto senese, quindi «credo che dovremo cercare un nuovo amministratore delegato. Dovremo cercare una figura brillante e internazionale che farà del suo meglio per mantenere e motivare tutto il personale attuale».
Anche perché, ha spiegato il manager, la sfida sarà quella di assicurarsi il coinvolgimento del team della banca di investimento, conquistandone la fiducia. Rispedendo al mittente le critiche dei detrattori – primo fra tutti Nagel – che sostengono che la scalata possa provocare una perdita di valore per Mediobanca. Anche questo passaggio non è piaciuto ai piani alti della banca d’investimento, da dove segnalano che le stime prevedono, nell’ipotesi di integrale adesione all’offerta, una diluizione del 10 per cento dell’utile ante imposte e del dividend per share. Tradotto: ai soci aderire non conviene.
Lovaglio è tornato anche sul ruolo dei due investitori chiave dell’operazione, che, secondo l’ad della banca d’investimento, sono entrati nell’operazione dopo aver ricevuto precise indicazioni dal governo, quando ha ceduto le ultime quote di Mps.
Per Lovaglio, il gruppo Caltagirone e Delfin «sono a sostegno dall’inizio» dell’operazione, «ma non c’è mai stata nessuna interferenza nelle mie attività». E, per quanto riguarda i punti di contatto tra i due istituti, l’ad di Mps ha ammesso che non sono molti i punti che collimano, soprattutto sul piano operativo: «Ed è questo l’aspetto interessante del progetto».
A continuare a sottolineare le differenze tra il caso Mps-Mediobanca e Unicredit-Banco Bpm, messi sullo stesso piano anche dalla Commissione Ue che nella sua lettera al governo italiano sul golden power, c’è invece ancora Giancarlo Giorgetti. Il ministro dell’Economia ha insistito sul fatto che la decisione fosse giustificata da ragioni di sicurezza nazionale: «La Dg Competition tutela la concorrenza che è una bellissima cosa, ma forse non si sono accorti che c’è una guerra in questo momento in Europa e quindi gli stati difendono altre cose che non sono soltanto la concorrenza».
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