Il reddito di cittadinanza (RdC) ha un ruolo centrale nei programmi della sinistra post lavorista. E incontra forte opposizione da parte di economisti tradizionali. Le polemiche pro e contro non aiutano. Si tratta di capire come il RdC si situa nella prospettiva di giustizia – ovvero come viene concepito e praticato.

In relazione alle idee di giustizia, possiamo distinguere tra visioni di lungo termine e visioni di breve termine, quelle che partono da un ideale di società giusta e quelle che partono dalla soluzione di problemi qui e ora. Si tratta di vedere se sono buone guide per aiutarci a far fronte a condizioni concrete di sofferenza che coinvolgono ormai un numero non piccolo di cittadini. Condizioni non risolvibili interamente dai singoli e che richiedono il coordinamento con gli altri e con le istituzioni, economiche e politiche (e tra queste ultime, centrali e locali).

Lungo termine e breve termine

L’approccio di lungo termine ci insegna a non partire dalle ingiustizie qui e ora ma a mettere in cantiere riforme coerenti ai principi ideali che porteranno verso un ordine migliore non a soluzioni tampone. In sostanza, il RdC è forse una misura necessaria, ma i suoi contraccolpi ostacolerebbero riforme adatte a una società giusta.

In una visione di breve termine, all’opposto, il RdC può figurare come giusto perché, benché non si inserisca in un quadro predisegnato di politiche economiche progressive, mette un freno ad altri problemi non meno importanti: stabilità sociale, contenimento del livello di conflittualità e, anche, incentivo al consumo.

Nessuna delle due prospettive è però soddisfacente per una concezione di giustizia sociale democratica. L’una perché troppo pretenziosa: una soluzione al problema che sia coerente con una visione ideale presume un costruttivismo olistico ovvero la capacità di preordinare l’intero sistema giuridico, economico, sociale e politico, in modo che le decisione specifiche si inanellino coerentemente, un piano al limite dell’utopia.

In un ordine di giustizia ideale, il RdC è una panacea, il segno di fallimento del sistema; per cui, vi è il rischio di compromettere politiche che vadano nella direzione della giustizia. All’opposto, una prospettiva di breve termine può assumere che quella del RdC sia una politica giusta e inoltre democratica, infatti essa soddisfa immediatamente i bisogni di chi non ha lavoro e incontra il consenso dei cittadini ai quali si rivolge e, sperabilmente, di molti altri mossi dal senso di cura e soccorso.

Utopisti e liberisti

Perché queste prospettive non sono soddisfacenti? Perché sono viziate da un assunto dogmatico in entrambi i casi – quello dei principi ideali e quello del consenso populista. Entrambe bloccano un’attitudine sperimentale o di medio termine, quella che il pragmatista John Dewey aveva proposto sia contro gli utopisti che contro i liberisti.

La scelta del RdC dovrebbe essere giustificata in primo luogo in ragione dell’apertura alla sperimentazione che consente e che dovrebbe, anzi, essere progettata e normata in questa prospettiva. Nelle democrazie, la sperimentazione controllata (basata cioè su conoscenze e dati) è un bene perché mette in moto una progettualità progressiva a cascata, che fa cioè muovere i cittadini a cercare il meglio facendo tentativi per il meglio – stimola alla partecipazione sociale.

La lotta contro il RdC di economisti dogmatici è non solo ingiusta negli esiti ma per nulla attenta alla condizione di sperimentazione democratica. Allo stesso modo, prendere il RdC come una scelta risolutiva della povertà è sconsiderata e anche un poco manipolatrice del consenso.

Una via migliore sarebbe quella di inserisce il RdC in un percorso progressivo che comprenda altre misure riguardanti settori collegati alla ricerca individuale di benessere: la scuola, la sanità, l’ambiente; misure che spingano verso l’innovazione in questi settori fanno del RdC una politica di sperimentazione temporanea che può generare esiti positivi stabili per le persone che lo usano.

Quel che una politica di giustizia sociale di medio termine richiede è che si faccia uno sforzo immaginativo e sperimentale per incasellare le riforme a breve termine in un percorso a medio termine che può dare vita ad altri sforzi immaginativi e così via. Il RdC come parte di una politica democratica di giustizia sociale, dunque, non come carità pubblica né come assistenza. Ma perché questo sia possibile occorrerebbe un partito-pensatoio, che per ora non c’è.

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