Il rapporto sulla stabilità finanziaria della Banca centrale europea pubblicato oggi mette in guardia sull’impatto dei debiti delle imprese sui bilanci delle banche, con un messaggio particolare per l’Italia. «I primi segnali di un aumento delle svalutazioni sui prestiti stanno diventando sempre più visibili», si legge nel rapporto. Gli interventi di sostegno all’economia dispiegati finora, compreso l’enorme ammontare delle garanzie pubbliche, hanno svolto una sorta di cordone sanitario sul settore bancario, molto più che nelle crisi precedenti. Tanto che il rapporto aggregato dei crediti deteriorati (Npl) per l’area euro ha raggiunto il livello più basso registrato, al 2,7 per cento nel 2020. Le banche, nonostante tutto, hanno continuato a fare pulizia nei loro bilanci. E nella seconda metà del 2020 sono riuscite anche a far tornare gli accantonamenti, cioè il denaro che viene messo da parte per coprire eventuali perdite sui prestiti, ai livelli pre-pandemia. Ma ci sono altri segnali da non sottovalutare.

Normalità temporanea

«La normalizzazione», scrivono gli esperti della Bce, «potrebbe rivelarsi temporanea, poiché i primi indicatori di deterioramento della qualità delle attività stanno diventando sempre più visibili, compreso un aumento della tolleranza sui debiti. Ciò è particolarmente vero nei paesi in cui procedure di insolvenza lunghe e costose inibiscono l’esecuzione delle richieste di risarcimento».

Quindi questo è particolarmente vero per l’Italia, che, come illustra il rapporto, è il secondo paese in tutta l’Unione europea per lentezza delle procedure di esecuzione dei pignoramenti nei confronti dei debitori, cioè di sequestro dei beni messi a garanzia dei prestiti. Solo la Slovacchia fa peggio di noi, terza viene la Lituania.

I rischi per le pmi

I rischi di non ripagare i prestiti sono elevati soprattutto per le piccole medie imprese, cioè il tessuto dell’economia italiana, mentre le grandi imprese possono ovviamente contare su maggiori riserve di liquidità. E ad aumentarli ci sono anche i segnali in arrivo dal mercato immobiliare, visto che gli immobili sono la garanzia per eccellenza. «Un ulteriore calo dei prezzi degli immobili commerciali potrebbe influenzare il sistema finanziario attraverso un aumento del rischio di credito, una diminuzione dei valori delle garanzie e delle perdite sulle partecipazioni dirette, nonché una riduzione degli investimenti e dell’attività economica delle società non finanziarie».

La riduzione dei tempi delle procedure di insolvenza ci viene chiesta da molto tempo. Sia le raccomandazioni dell’Unione europea del 2019 che quelle del 2010 chiedevano di accelerare i procedimenti coercitivi di esecuzione per rafforzare il settore bancario. Ma nel mezzo di una crisi economica come questa rischia di essere materia assai delicata.

In autunno deve entrare in vigore anche il nuovo codice della crisi di impresa e di insolvenza, che semplifica le procedure per la bancarotta e regola la classificazione dei ritardi dei pagamenti delle imprese a tutti i livelli, dando un ruolo centrale alle Camere di commercio. Il testo, messo a punto nel 2019, è stato rinviato a quest’anno proprio a causa della pandemia. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza prevede ufficialmente che la riforma venga approvata a breve, anche se necessita di essere modificata: secondo il calendario che abbiamo inviato a Bruxelles, la gran parte delle nuove regole entrano in vigore entro il 2021, e che tutto il pacchetto, compresi i provvedimenti attuativi siano completati entro la fine del 2022.

Accelerare i pignoramenti

«Il codice è la chiave per accelerare le lente procedure di pignoramento e di esecuzione delle garanzie», dice il Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Per evitare di legare i destini dei bilanci delle banche nel tunnel senza fine della giustizia civile italiana, l’Italia aveva già tentato di trovare soluzioni extra giudiziali come il patto marciano, un pre accordo tra creditore e debitore sulla vendita dei beni ipotecati, ma nello stesso piano di ripresa è spiegato che il ricorso a questo tipo di soluzioni non ha funzionato come ci si aspettava. Il risultato è che «nonostante i progressi compiuti per quanto riguarda la riduzione del rischio di bilancio delle banche, lo stock di crediti deteriorati a livello di sistema rimane relativamente elevato rispetto ai pari dell’area dell’euro», dice il Recovery, che indica soprattutto «alcune delle banche di secondo livello soffrono ancora di livelli di crediti deteriorati nettamente superiori alla media». E ora che i livelli rischiano di salire ancora, nel mezzo di una delle crisi maggiori per le imprese, gli interessi di debitori e creditori si trovano ancora a scontrarsi, con in mezzo lo stato.

 

© Riproduzione riservata