Che farà la Bce nella sua riunione di giovedì 12 dicembre? Abbasserà i tassi? E, se sì, di quanto: di un prudente 0,25 per cento o di un più deciso 0,5 per cento? Continuerà a seguire l’approccio basato sull’osservazione e valutazione dei dati, incontro dopo incontro, cui è stata spinta dall’elevata volatilità dell’inflazione negli anni 2022-23, oppure tornerà alla più tradizionale impostazione che guarda al futuro e cerca di guidare i comportamenti degli operatori e le loro aspettative?

L’alta inflazione degli anni 2022-23, nell’area Euro, si è esaurita, e la sua varianza mese dopo mese si è molto ridotta. L’indice armonizzato dei prezzi al consumo è tornato al 2 per cento, e vari indicatori ci dicono che le aspettative per i prossimi anni sono ancorate a quel valore. E questo perché la crescita è divenuta sempre più fragile e anemica a causa di una domanda interna stagnante.

La spesa per consumi è indebolita da tassi di interesse reali elevati, mentre la spesa privata per investimenti resta debole per le aspettative pessimistiche circa la crescita futura e, di nuovo, per i tassi reali alti. Inoltre, politiche di bilancio restrittive, necessarie a soddisfare i requisiti del nuovo (e sbagliato) Patto di stabilità, finiranno per esercitare un ulteriore effetto restrittivo sulla domanda interna, almeno per tutto il 2025.

La ripresa dei salari nominali non ha innescato una spirale salari-prezzi e, anzi, la riduzione dell’inflazione ha consentito una risalita dei salari reali, dopo le significative perdite dei due anni precedenti. Ma il recupero di potere d’acquisto non sembra ancora in grado di sospingere la domanda interna.

È da metà del 2023 che la modesta crescita dell’area Euro è dovuta solo alla domanda netta proveniente dall’estero. Ma sarebbe sbagliato contare ancora troppo sulle esportazioni, ora che la Cina rallenta e imponiamo dazi sulle loro esportazioni di auto elettriche e batterie, perché prima o poi ci saranno ritorsioni, e ora che gli Stati Uniti, con l’elezione di Trump, è molto probabile si muovano verso un rialzo dei dazi sull’export europeo.

È quindi necessario vincere le pulsioni mercantiliste che da sempre albergano in Germania e negli altri paesi cosiddetti frugali, e rilanciare la domanda interna con politiche che favoriscano gli investimenti e, quindi, la crescita della capacità produttiva, del tasso di partecipazione dei lavoratori e dell’immigrazione regolare, per non incorrere in nuove strozzature dal lato dell’offerta, con conseguente ripresa dell’inflazione.

Falchi e colombe

Chiaro che la politica monetaria non può fare da sola tutto quel che si dovrebbe. Però anche su quello che può e dovrebbe fare sembrano esserci diverse opinioni. Il governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, ha affermato che la politica monetaria deve passare da un atteggiamento restrittivo a uno neutrale o anche espansivo.

Il che implica una progressiva riduzione dei tassi fino a raggiungere il tasso “neutrale” o addirittura andare al di sotto. Isabel Schnabel – tedesca e componente del comitato esecutivo della Bce – ritiene che la Eurotower potrebbe spostarsi gradualmente verso la neutralità, ma che essa è in realtà molto vicina. Con il che sembra voler sbarrare la strada a movimenti in territorio accomodante, mentre continua a raccomandare di “seguire i dati”, laddove Panetta raccomanda di tornare alla forward guidance. Sulla stessa linea della Schnabel è Olli Rehn, governatore della Banca centrale finlandese.

Il problema è che non si sa bene quale sia il tasso “neutrale”, una variabile non osservabile e la cui stima dipende dal modello utilizzato. Comune è definire, un po’ tautologicamente, il tasso neutrale come quel tasso (reale) che rende la politica monetaria né restrittiva né espansiva. Ma è quando si arriva alla stima di quel tasso che cominciano le incertezze.

Con riferimento all’area Euro, la Bce (Bollettino economico n. 1, 2024) ha condotto stime del tasso neutrale di lungo periodo con diverse metodologie. Dalla seconda metà del 2023 tali stime si collocano in un range compreso tra -0,75 per cento e +0,5 per cento. Con un tasso sui depositi overnight presso la Bce oggi al 3,25 per cento e un’inflazione attesa al 2 per cento, il tasso reale sarebbe pari all’1,25 per cento, più alto del limite superiore del range stimato.

Lo spazio per una riduzione significativa nel corso dei prossimi mesi, dunque, ci sarebbe. Non resta che aspettare le decisioni sui tassi e le comunicazioni che seguiranno per capire se vi sarà un ritorno alla forward guidance o si resterà all’approccio “basato sui dati”.

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