Benzina, grano, zucchero. In questa estate stretta tra condoni fiscali e tagliole alla povertà cosa accomuna quei tre prodotti al di là di una impennata dei loro costi? Domanda legittima se posta ai vacanzieri che scoprono alla pompa come il prezzo di un litro di carburante abbia di nuovo cominciato a oscillare intorno ai due euro.

Interrogativo ancora più legittimo quando si leggono previsioni cupissime sull’incremento della mortalità per fame a causa del blocco russo del grano ucraino in partenza. Finora le risposte hanno imboccato il sentiero meno compromettente per gli interessi speculativi effettivamente in gioco.

La benzina

Sulla benzina ha prevalso la tesi dell’aumento di domanda estiva. In soldoni l’incremento sarebbe colpa della troppa gente in coda per spiagge e montagne. A corredo vi sarebbe la diminuita produzione di petrolio da parte dell’Opec+. Ora, entrambe le repliche zoppicano parecchio. La seconda in particolare dal momento che il taglio della produzione al momento pare avere un’incidenza assai limitata essendo applicato in misura minima. A conferma il prezzo del barile risulta stabile attorno agli 80 dollari. Allora conviene alzare lo sguardo e collocare quelle dinamiche di prezzo nella cornice giusta.

Lo fa benissimo Alessandro Volpi nell’ottica che gli è propria, quella dello storico vigile su fatti e misfatti dell’economia. In sintesi, a fissare la quotazione dei carburanti non sarebbero le borse petrolifere, ma il listino londinese Platts, regno delle scommesse speculative capaci di “arbitrare” i prezzi.

Con un dettaglio di non poco conto. Parliamo di un listino privato riconducibile a McGraw-Hill, società posseduta da alcuni tra i più grandi fondi d’investimento. Tra questi Vanguard, BlackRock, State Street e Capital World Investors. A completezza, alcuni di questi colossi sono tra i principali azionisti di giganti alimentari delle dimensioni di Kraft e Coca Cola passando per Danone e Nestlé.

Lo zucchero

Il che ci porterebbe a qualche considerazione sull’impazzimento del prezzo – attenzione, il prezzo, non il valore – dello zucchero letteralmente raddoppiato in un solo anno e oggi quotato a mille euro a tonnellata. Vale più o meno lo stesso discorso. Colpa di una produzione crollata o dell’impennarsi della domanda? Né l’una né l’altra, la produzione si è ridotta di un decimo e la domanda è rimasta la stessa.

Il punto è che nei negoziati avviati sui contratti dell’anno in corso e del prossimo si sono attivate, ovvero scatenate, le speculazioni al rialzo. Tornando ai nostri vacanzieri in coda al distributore, è accaduto che archiviata la gelata sui prezzi (la combinazione crisi-pandemia-guerra) le aspettative del mercato si sono riattivate con gli effetti accennati.

Nel caso nostro sommandosi alle accise che Giorgia Meloni combatteva con veemenza dai banchi dell’opposizione salvo sposarle appena sbarcata su quelli del governo. Bene, la politica è l’arte del realismo, questo si sa, ma quanto pesa quel carico fiscale sul pieno della vettura? Per poco più della metà del prezzo con tanti saluti alla “pace fiscale” buona solo per evasori muniti di ben altra patente. Ci resta l’incognita del grano dove, come detto, l’immagine tragica sono le morti per fame causate dal blocco delle esportazioni dall’Ucraina. Anche in questo caso conviene sfogliare un paio di dati.

Il grano

La produzione mondiale di cereali sfiora le duemilaottocento milioni di tonnellate. Di queste circa mille provengono da Cina e Stati Uniti, quelle bloccate a lungo nei porti ucraini ammontano più o meno a 25 milioni, quantità nel complesso surrogabile da parte degli altri principali produttori. Per capirci, qui nulla c’entra la partita politica di quel conflitto dove, repetita juvant, c’è uno stato sovrano che ha ogni diritto-dovere a esercitare la propria difesa.

C’entra però, al pari di zucchero e benzina, il nesso tra una denuncia emotivamente intensa della gravissima penuria e l’impatto di chi, con dinamiche e scommesse speculative, mira a costruire sul prezzo del grano i profitti di qualche fondo finanziario.

Ultima notazione, anch’essa utile a sollevare il velo su più di una falsa coscienza: delle 32 milioni di tonnellate di grano, mais, orzo e olio di semi sbloccate nell’ultimo anno dai porti del Mar Nero due terzi sono andate a rimpolpare i mercati dei paesi ricchi e solo la quota restante hanno preso la via di quelli più poveri. Conferma, se mai ve ne fosse bisogno, che pure la fame nel mondo, vera tragedia anche del nostro secolo, trova nell’ingordigia di un profitto dedito a speculare su ogni bene, compresa la vita di milioni di esseri umani, la sua religione tossica e incivile. Anni fa toccò a Tony Judt definire il nostro un «mondo guasto». Guasto come un frutto bacato. Non ha avuto il tempo per vederne il lato marcito. Ma combattere quel marciume oggi è compito della politica e della sinistra. E va fatto presto, prima che sia troppo tardi.

© Riproduzione riservata