La missione di Renato Brunetta tornato al governo è scritta a pié di pagina di una delle 28 slide del programma distribuito ieri a deputati e senatori: «Creare una nuova classe dirigente del paese». Sembra una frase fatta, ma le cifre dell’emorragia della pubblica amministrazione spiegano che non lo è affatto. Bisogna recuperare, in pochissimo tempo, dieci anni e più di tagli lineari, blocco del turn over e dei contratti, sommati a quota 100.

Solo tra il 2019 e il 2020, secondo il documento che ieri il ministro ha presentato al parlamento si sono persi 190mila dipendenti, che si sommano ai 200mila scomparsi dal 2018 e ai 300mila che usciranno nei prossimi tre o quattro anni.

Il richiamo alla concertazione

A dieci anni dai tornelli e dai fannulloni, Brunetta ha inaugurato il suo nuovo incarico di governo, centrale per il piano di ripresa e resilienza, con un omaggio alla pubblica amministrazione raramente sentito negli ultimi anni, né a destra ma poco anche a sinistra. Un sistema senza il quale il paese «si sarebbe disgregato», il «volto della repubblica», uno strumento di «giustizia sociale» e di incentivo fiscale quando i servizi al cittadino corrispondono alle tasse pagate, «il nucleo fondante dello stato», l’ha definita, passando da quello che molti ricordano come un atteggiamento di sistematico scherno alla celebrazione.

La fase è diversa, ricorda Brunetta, o più prosaicamente: il ministro ha bisogno dei sindacati questa volta, i lavoratori dopo dieci anni di impoverimento hanno bisogno del ministro. Brunetta invoca una nuova nuova fase di dialogo sociale, cita come precedente il 1992 e il governo Ciampi e i negoziati che portarono l’anno successivo a firmare il «patto per la politica dei redditi e lo sviluppo»: «Questo momento», dice, «assomiglia molto a quello».

Nuovi concorsi

Concretamente la priorità è fare selezioni più efficaci, più rapide e diversificate. «Se non riusciamo a cambiare le procedure di assunzione entro due o tre mesi», ammette poi il ministro, «semplicemente i soldi europei non arrivano».

Si tratta di abbattere i tempi dei normali concorsi – oggi secondo il forum Pa i tempi medi sono di diciotto mesi che potrebbero ridursi a sei o addirittura quattro mesi – e soprattutto attirare giovani qualificati che preferiscano lo stato italiano a una carriera nel privato. Le linee programmatiche distribuite ieri annunciano la creazione di un portale unico per concorsi digitali e una banca dati integrata che metta insieme i fabbisogni delle pubbliche amministrazioni, in primis gli enti locali, i più sofferenti. Questo significa anche che lo scorrimento delle graduatorie non sarà più una pratica normale: «Sono il male minore», dice Brunetta, ma rompono il patto del concorso. «Il sistema di accesso alla Pa deve cambiare radicalmente altrimenti il sistema non è bloccato ma è morto».

Per le selezioni si stanno già individuando spazi attrezzati, dalle università alle fiere. Ma il modello non sarà più il concorso centralizzato, e alcune selezioni saranno fatte in collaborazione con università, settore privato, ordini professionali. In particolare questi ultimi dovrebbero essere coinvolti nella selezione di professionalità specifiche che servono per il piano di ripresa e resilienza, da assumere per il periodo di realizzazione del piano (2021 – 2026) e eventualmente prorogare.

I rinnovi contrattuali

Brunetta non ha cambiato le sue idee: la sua ricetta prevede valutazione delle performance, carriera, remunerazione. Questa volta lo schema sembra essere maggiormente win win, perché ci sono soldi e posti di lavoro sul piatto. Il primo annuncio concreto è che i sindacati saranno convocati per i rinnovi contrattuali 2019 – 2021 perché ha riconosciuto lo stesso ministro, poco contano gli annunci se poi non c’è la concretezza dei contratti.

È un tentativo non facile di riconciliazione. Parlando di capitale umano, uno dei quattro snodi del suo programma assieme a «accesso» ai servizi equamente distribuito, «buona amministrazione, digitalizzazione», Brunetta pronuncia le parole «mea culpa». Dice «mea culpa, dovevamo investire e non lo abbiamo fatto», ma è un mea culpa a metà perché sostiene che la scelta sia stata giustificata dalla crisi finanziaria.

Rende omaggio anche al governo Conte, di cui salva molto ma non tutto. E annuncia che rivedrà le norme sulla valutazione di impatto ambientale e quelle accusate di frenare il bonus edilizia al 110 per cento. Ad aprile arriverà già un deceto per accompagnare i progetti sulla pubblica amministrazione del piano di ripresa. Ma perché vada in porto un incontro rilevante sarà oggi, quando Draghi e Brunetta vedranno i sindacati.

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