Sono liberi dagli arresti domiciliari ma con l’obbligo di firma per tre volte a settimana fino a fine settembre. È arrivata oggi l’attesa sentenza del tribunale del riesame di Bologna sulle misure cautelari che avevano portato il 19 luglio scorso all’arresto di sei sindacalisti dei Si Cobas e di USB in seguito alle richieste della Procura di Piacenza che ha indagato le attività dei sindacati di base nel mondo della logistica dal 2016 al 2021. Ali Mohamed Arafat, Aldo Milani, Carlo Pallavicini, Bruno Scagnelli (Si Cobas), Issa Mohamed Abed e Roberto Montanari (Usb) secondo la procuratrice capo di Piacenza, Grazia Pradella erano a capo di due differenti associazioni a delinquere che portavano ad un’azione sindacale radicale con fini estorsivi nei confronti delle aziende contro cui erano rivolti nonché per trarne benefici personali.

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I giudici di Bologna hanno detto che l’associazione a delinquere non sussiste e per questo gli arresti vanno revocati. «Questo non vuol dire che il pubblico ministero non possa andare avanti sul reato associativo», spiega l’avvocato dei Si Cobas Eugenio Losco, «ma c’è una prima decisione di un giudice che dice che il reato non sussiste. Noi su quello avevamo puntato perché riteniamo inconcepibile l’assimilazione tra un’associazione sindacale e un’associazione a delinquere. Quello che veniva contestato in sostanza era l’esercizio di attività sindacale».

«Sì certo ci hanno tolto l’associazione a delinquere ma io sono comunque inc.. nero». Così Carlo Pallavicini, dirigente piacentino di Si Cobas a poche ore dal ritorno in libertà dopo la revoca degli arresti domiciliari. «È decaduta l’associazione a delinquere, ma sono rimaste in piedi  misure cautelari l’obbligo di firma in relazione al reato di violenza privata che sarebbe poi il solito sciopero o picchetto». In un territorio dove le piattaforme di logistica sono una delle principali attività economiche e in cui la maestranza è principalmente straniera e assunta tramite cooperative, fare scioperi non è mai stato facile. 

La sentenza contro la «misura antidemocratica»

«Dal 2011», racconta Pallavicini, «ad ogni sciopero siamo denunciati per violenza privata e manifestazione non autorizzata, questa pratica era stata fermata da una sentenza del Consiglio di Stato arrivata pochi giorni prima del nostro arresto». Il 14 luglio il Consiglio di Stato si era pronunciato contro l’applicazione del foglio di via nei confronti di un altro sindacalista presente a un picchetto contro Amazon. Secondo il Consiglio di Stato questo potrebbe rappresentare un «indebito, strumento di repressione della libertà sindacale e del diritto di sciopero e, in ultima analisi, in una misura antidemocratica».

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«Quindi», conclude Pallavicini, «ci tolgono gli arresti ma mantengono misure cautelari che secondo una suprema magistratura come il Consiglio di Stato sono una minaccia alle libertà sindacali?». Per quanto riguarda l’impianto accusatorio della sentenza secondo Pallavicini è «il più grande spreco di risorse pubbliche della giustizia recente» mentre con le loro cause contro le multinazionali della logistica i sindacati di base non solo recuperano gli stipendi e gli straordinari dovuti ai lavoratori ma anche «di milioni di euro allo Stato italiano di evasione contributiva e fiscale».

Nell’ordinanza della procura veniva attribuita ai dirigenti indagati una modalità di controllo dei lavoratori che avrebbe avuto tra le altre finalità quello di arricchirli. «Questa è la parte che mi fa più arrabbiare, continua Pallavicini, «tutti sanno che noi abbiamo sempre dato tutto e mai ottenuto niente per noi. Come prova io ho portato il mio estratto conto al momento dell’arresto che consiste di 63 euro. Ad Arafat invece hanno contestato la proprietà di un Suv che è stato comprato usato per 5 mila euro e che aveva 300 mila chilometri».

Anche l’Usb è da una parte sollevata dall’altra preoccupata. «Era scontato che il teorema associazione per delinquere cadesse», spiega Pierpaolo Leonardi dell’esecutivo confederale Usb, «ma rimangono in piedi accuse che riguardano i reati legati strettamente alle lotte e quindi, all’iniziativa sindacale. Si perpetua perciò l’idea che fare sindacato è un reato, fare un picchetto uno sciopero possa avere valore estorsivo nei confronti delle controparti».

Usb, dice il dirigente, si batterà fino all’ultimo perché queste accuse cadano in tribunale, ma vuole anche aprire una stagione di riflessione su questo tipo di attacchi ai sindacati di base. «Dubitiamo che sia finita qui»,  conclude Leonardi, «abbiamo visto troppa acrimonia nelle 350 pagine dell’ordinanza che ha portato agli arresti, è rimasta in piedi l’idea perversa che si debba cancellare dal nostro Paese la parola conflitto e la parola lotta come strumento dei lavoratori. Noi a questo scenario non ci stiamo».  

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