Per i sostenitori porterà a un calo delle emissioni e alla creazione di posti di lavoro, per i critici non cambierà nulla e metterà in difficoltà le famiglie. La direttiva Case green, approvata martedì dal Parlamento europeo, mira a ridurre le emissioni di gas serra e i consumi energetici degli edifici entro il 2030, per arrivare alla neutralità climatica per il 2050. Gli edifici nuovi, sia pubblici che privati, dovranno essere a emissioni zero, mentre per quelli esistenti si prevedono nuovi requisiti di efficienza.

Un traguardo ambizioso, frutto di lunghe trattative, a cui si sono opposti i partiti al governo: Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia hanno votato contro, nonostante la versione approvata sia più soft rispetto alla proposta della Commissione. Per la sua adozione definitiva, il documento dovrà essere approvato dal Consiglio Ue; una volta entrato in vigore, l’Italia e gli altri paesi avranno due anni di tempo per preparare piani nazionali con le misure da seguire per centrare gli obiettivi.

Riscaldamento alternativo

Secondo l’intesa, almeno il 16 per cento degli edifici pubblici con le peggiori prestazioni andrà ristrutturato entro il 2030 e la percentuale salirà al 26 per cento entro il 2033. Per le case private si applicherà un obiettivo di riduzione dei consumi del 16 per cento dal 2030 e del 22 per cento entro il 2035. Per garantire flessibilità, gli stati potranno applicare esenzioni per gli edifici storici, agricoli, militari e per quelli utilizzati temporaneamente.

Un punto centrale riguarda l’addio alle vecchie caldaie. Lo stop definitivo alla vendita dei motori alimentati a gas e metano, inizialmente previsto per il 2035, è stato posticipato al 2040. Ma già dal prossimo anno le caldaie a combustibile fossile non potranno più essere incentivate. Al contrario, saranno possibili incentivi per i sistemi che combinano una caldaia con un impianto solare termico o una pompa di calore.

L’obbligo di installare i pannelli solari, invece, riguarderà i nuovi edifici pubblici e sarà progressivo, dal 2026 al 2030, mentre saranno attuate strategie e misure nazionali per dotare di impianti solari gli edifici residenziali. È proprio l’abbinamento tra pannelli solari e caldaie a pompa di calore, infatti, una delle tipologie di interventi che consentono di fare il salto di classe energetica.

Una direttiva svuotata?

La proposta avanzata dalla Commissione aveva scatenato forti polemiche in Italia, ma la versione uscita dal negoziato è molto meno vincolante e non impone alcun obbligo ai proprietari delle abitazioni. Tanto che alcuni gruppi ambientalisti hanno parlato di un provvedimento «svuotato di senso». Eppure, tra le delegazioni italiane all’Europarlamento hanno votato a favore solo Partito democratico, Movimento 5 stelle, Alleanza verdi e sinistra e Italia viva.

«Nella sua ultima versione è una discreta direttiva, certo un po’ annacquata rispetto alle intenzioni iniziali. L’impianto regge, ma purtroppo hanno pesato le pressioni di quei gruppi parlamentari che vedono negativamente il Green deal – dice a Domani Stefano Ciafani, presidente di Legambiente – In generale, comunque, l’obiettivo di decarbonizzare anche tramite interventi sull’edilizia è rimasto in piedi».

L’associazione è però critica con una delle modifiche della versione approvata: il bando completo agli apparecchi alimentati a combustibili fossili, posticipato al 2040. «È sbagliato continuare a favorire il mercato delle caldaie a gas, dato che oggi si possono riscaldare gli ambienti ricorrendo alle pompe di calore, che non sono tanto costose. Si rimanda l’addio alle vecchie caldaie per fare un piacere alle lobby», dice ancora Ciafani.

La peculiarità italiana

All’approvazione del testo si è opposto Matteo Salvini, che ha parlato di «un’ennesima follia europea: grazie all’impegno della Lega erano state fermate alcune eco-follie, ma non è bastato», ha detto il capo del Carroccio. E il provvedimento preoccupa gli stakeholder del settore immobiliare. Per Confedilizia, la confederazione dei proprietari di casa, è un testo «migliorato ma difficilmente realizzabile», considerato che il nostro patrimonio edilizio è molto vecchio (il 74 per cento delle case è sotto la classe D, cioè di un’efficienza media).

«Secondo alcune stime, ogni famiglia dovrebbe sborsare dai 20 ai 55mila euro», ha avvisato il presidente Giorgio Spaziani Testa. Altre criticità riguardano il timore che la “corsa al green” possa deprezzare le abitazioni poco ecologiche: l’Aspesi, la prima associazione italiana di imprese immobiliari, ha lamentato una svalutazione che potrebbe essere tra il 30 e il 40 per cento.

Più equilibrato è il giudizio di Federica Brancaccio, presidente dell’Ance, la principale associazione dei costruttori: «C’è stata una battaglia, che noi abbiamo compreso, per mitigare misure che rischiavano di essere irrealistiche. C’era un approccio troppo ideologico che è stato superato. Ora è il momento di chiudere ogni scontro e metterci tutti insieme per raggiungere gli obiettivi previsti».

«Nella sua prima versione il testo non teneva presenti le particolarità del nostro patrimonio immobiliare: l’Italia ha immobili vetusti e soprattutto nelle mani di privati, e in più dobbiamo convivere con il rischio sismico – dice Brancaccio a Domani – Il paese subirà un impatto maggiore rispetto a stati con un tessuto urbano differente: per questo servono incentivi adatti al contesto italiano».

Da dove vengono i soldi

Fin dalla sua presentazione, la proposta ha alimentato polemiche per l’assenza di finanziamenti da parte dell’Unione europea. E le risorse costituiscono il punto debole della direttiva anche nella sua ultima versione. Pure i deputati che l’hanno appoggiata sono delusi dal fatto che non sia previsto uno stanziamento specifico, che difficilmente arriverà nella prossima legislatura, con un Parlamento che potrebbe spostarsi a destra.

La Commissione stima che entro il 2030 serviranno 275 miliardi di investimenti annui per la svolta energetica del parco immobiliare, cioè 152 miliardi all’anno in più rispetto alle risorse attuali. Per il momento gli stati dovranno accontentarsi dei fondi disponibili, a cominciare da quelli del Recovery fund. A questi si sommano i tradizionali fondi di coesione, che prevedono la ristrutturazione energetica tra gli usi prioritari. A partire dal 2026 entrerà poi in campo il Social climate fund.

Oltre al nodo degli stanziamenti, c’è un’incognita che riguarda le misure specifiche per raggiungere gli obiettivi. Ed è una pagina ancora tutta da scrivere. «Servono strumenti di pianificazione di lungo periodo, non interventi emergenziali. L’Europa deve strutturare un fondo per la transizione – dice la presidente dell’Ance – Si dovranno prevedere strumenti ad hoc, dai mutui green al ripristino della cessione del credito».

«Il centrodestra teme tanto la patrimoniale, ma c’è una patrimoniale che chi possiede una casa e chi è in affitto conosce già: è la bolletta del gas – rilancia Ciafani – L’Italia consenta a proprietari e affittuari di superare il problema al più presto. Per farlo bisogna efficientare gli edifici ricorrendo a nuovi sgravi fiscali e tornare alla cessione del credito d’imposta sulle opere di ristrutturazione».

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