Il dibattito sui colossi del digitale in Italia si fa sulla bacheca Instagram e Facebook del segretario della Lega, Matteo Salvini. Fiutando, seppure in ritardo, lo spirito del tempo, il leader della Lega ha approfittato di chi in politica è più in ritardo di lui e in pochi giorni si è appropriato della battaglia anti Amazon cavalcandola nel momento in cui, a causa delle restrizioni della pandemia, i commercianti sentono concretamente e come mai prima la forza dei giganti del digitale.

Dopo giorni di martellamento sull’idea di un Natale senza acquisti online, giovedì proprio alla vigilia del Black Friday, la giornata di super sconti della società di Jeff Bezos, Salvini ha ottenuto l’incontro su Zoom con la country manager per l’Italia Mariangela Marseglia. Annunciando l’appuntamento sui suoi social network il leader leghista aveva invitato gli utenti a dire la loro: «Raccolgo le vostre proposte e esperienze sia da imprenditori che da utilizzatori».

Gli hanno risposto in centinaia: «I piccoli commercianti devono avere lo stesso livello di pressione fiscale di Amazon ed altre piattaforme. A questo punto, ad armi pari, si possono fare i confronti», è la risposta più gettonata su Facebook. C’è chi fa notare che con la crisi per le imprese i normali i fatturati sono crollati mentre le spese di gestione sono le stesse.

Tanti vorrebbero solo misure a favore delle aziende italiane tramite accordi con Amazon, in vigore da quando – ormai cinque anni fa – il portale inaugurò la sua sezione made in Italy con la benedizione del renziano sindaco di Firenze, Dario Nardella. Molti insistono sul fatto che la piattaforma non paga eque imposte, alcuni concludono che il problema allora non è Amazon ma il governo – «rosso sangue» lo definisce un follower di Salvini. Altri ancora dicono che le dimensioni della concorrenza sleale sono tali che è l’Europa, tanto criticata da Salvini, che dovrebbe occuparsene. Il leader leghista sa che va a riempire un vuoto politico, conquistando un terreno determinante oggi a livello globale.

(Foto Roberto Monaldo / LaPresse)

La difficile intesa

L’Antitrust europeo ha aperto inchieste sul big tech, anche se spesso poco efficaci, come nessuna autorità a livello globale: su Amazon ha in corso una doppia indagine. Sulle tasse però fare passi avanti è ancora più difficile. In parte per la necessità di coordinarsi tra stati senza creare nuovi rifugi fiscali, in parte per la discrezione con cui si trattano le questioni di interesse strategico degli Stati Uniti.

Secondo un rapporto di Mediobanca le prime venticinque società digitali pagano in tasse appena 70 milioni di euro, mentre a Wall Street Amazon, Facebook, Google e Microsoft valgono per capitalizzazione circa cinquemila miliardi di dollari. Ma quando Italia e Francia hanno annunciato la volontà di proseguire con la web tax, il presidente uscente degli Stati Uniti, Donald Trump, aveva replicato con la minaccia di dazi fino al cento per cento sui nostri prodotti. Qualche settimana fa ha ritirato gli Usa dal tavolo di discussione dell’Ocse.

Con Joe Biden e soprattutto con Janet Yallen come suo ministro del Tesoro si attende un clima sul commercio più disteso, ma a rapporti con la Silicon Valley l’amministrazione democratica supera di gran lunga i repubblicani. Ai tempi di Obama, è la sintesi efficace di Bloomberg «i democratici lodavano la Silicon Valley come motore chiave dell'innovazione e cercavano di rimodellare il governo e altri aspetti dell'economia a sua immagine». Una tendenza sposata anche da parte della sinistra europea e che negli Stati Uniti di Trump ha prodotto come reazione anche una destra sociale.

Il pilastro di Gualtieri

Scott Marcus, ricercatore del think tank Bruegel, dice: «L’azione dell’Ue sembra essere sospesa e probabilmente rimarrà in sospeso per un po’ per dare tempo alle discussioni con gli Stati Uniti». La proposta della Commissione Ue – una imposta al 3 per cento sul fatturato e non sugli utili – viene usata per fare pressioni politiche e ottenere un’intesa su come far pagare gli utili dove si producono, ma in pochi la rivendicano politicamente.

Ieri il ministro delle finanze italiano Roberto Gualtieri in conferenza stampa a fianco del collega Bruno Le Maire l’ha definita una dei due pilastri comuni: «Abbiamo discusso della tassazione della digital tax su cui siamo impegnati in una battaglia comune per raggiungere un accordo a livello globale che rilanceremo. Siamo convinti che la Ue debba essere protagonista per raggiungere un accordo a inizio 2021». L’Italia potrebbe giocare un ruolo alla presidenza del G20, ma nel caso in cui l’intesa non fosse raggiunta, l’Unione europea potrebbe andare avanti per la sua strada. La Francia, il paese da cui Salvini ha copiato la sua campagna anti Amazon e con cui Gualtieri ha detto di condividere quasi tutto, ha già deciso di farlo anche solo come mossa politica. E sta iniziando a riscuotere milioni.

La digital tax era inclusa anche tra le imposte destinate a finanziare il Recovery plan, ma quella parte del piano di ripresa europeo, l’unica che necessitava dell’unanimità, è stata bloccata dal veto della Polonia e di quell’Ungheria verso cui il leader della Lega ha sempre espresso solidarietà e ammirazione. L’Italia intanto colleziona proposte mai messe in atto – dalla legge di bilancio 2018 – e si limita a introdurre sugar e plastic tax.

Ma i conflitti che accompagnano l’ascesa dei giganti del digitale sono sempre più evidenti. Nei primi sei mesi del 2020 Amazon ha fatturato il 33,5 per cento in più rispetto all’anno passato superando 146 miliardi di euro. La questione digitale è esplosa al punto che il 24 novembre la giunta della regione Piemonte presieduta dal forzista Alberto Cirio ha approvato una proposta di legge che prevede un’aliquota del 15 per cento sui ricavi delle piattaforme, alzata al 30 per cento per il Covid, oltre che rimborsi all’80 per cento per i negozi colpiti.

«Non è una questione punitiva, ma di giustizia, di equità», dice Cirio che ha scritto alla conferenza delle regioni perché la proposta sia condivisa per diventare nazionale. «L’opinione pubblica si è rivoltata contro queste aziende», diceva il 10 novembre a Bloomberg Gigi Sohn, membro della commissione per le comunicazioni di Obama. In Italia sembra che se ne sia accorto primo il centrodestra.

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