L’obiettivo resta sempre radicarsi nel Nord Italia, cuore del credito nazionale, ma Crédit Agricole Italia, l’ex Cariparma divenuta il ramo nostrano dell’omonimo istituto francese, seconda banca Oltralpe e terza di tutta l’Unione europea, ha deciso di raggiungerlo con una offerta pubblica di acquisto totalitaria sul Credito valtellinese. Lanciata ieri mattina prima dell’apertura delle Borse, l’offerta è generosa, quanto gli incentivi pubblici messi in campo dal governo per oliare le fusioni tra gli istituti di credito.

Crédit Agricole Italia mette sul piatto 734 milioni di euro: 10,50 euro per azione del Credito valtellinese. «Un premio», si legge nel comunicato della banca pari al «53,9 per cento rispetto al prezzo medio ponderato degli ultimi sei mesi e un premio del 21,4 per cento rispetto al più recente prezzo ufficiale al 20 novembre».

Premio già incamerato ieri quando l’annuncio dell’offerta ha fatto impennare i titoli che hanno viaggiato per tutta la seduta attorno ai 10,60 euro.

L’operazione deve ora ottenere le autorizzazioni delle autorità competenti a partire dalla Banca centrale europea. Considerando i tempi tecnici, l’apertura delle possibilità di adesione non dovrebbe arrivare prima del primo trimestre dell’anno prossimo. Ma intanto il finanziere Davide Serra, fondatore del fondo Algebris che del Creval detiene oltre il cinque per cento e che è considerato vicino al suo amministratore delegato Luigi Lovaglio, ha già annunciato Ia vendita della sua quota. A questa va aggiunto il 9,8 per cento che già Crédit Agricole Italia detiene nell’istituto valtellinese attraverso la sua controllata Crédit Assurances, holding delle attività assicurative che ha da anni una partnership con Sondrio. Insomma, nel giorno del lancio dell’operazione il possibile acquirente ha già virtualmente in mano il 15 per cento della banca che vorrebbe acquisire. 

L’operazione permette all’istituto guidato da Giampiero Moioli di entrare in nuove regioni e di raddoppiare la quota di mercato in Lombardia, passando dal tre al sei per cento. La banca lo definisce un «netto miglioramento nella più grande e ricca regione italiana e in particolare a Milano». Anche perché la possibile fusione con Banco Bpm, l’altra ipotesi per conquistare il mercato dell’Italia settentrionale, sembra al momento accantonata. Fino a poche settimane fa le intese per una unione tra il Crédit e il Banco, la terza banca d’Italia e tra le più appetibili come partner per una fusione, erano a uno stadio così avanzato che erano già state riempite le caselle dell’organigramma della banca nascitura. L’operazione è saltata nonostante tutto.

Le fusioni sono considerate dalle autorità di vigilanza uno strumento per recuperare redditività e rafforzare un settore in crisi. Negli anni passati Crédit Agricole aveva già acquisito la Cassa di risparmio di Rimini, quella di Cesena e quella di San Miniato e  al contrario di Credem (Credito emiliano) ha sempre partecipato alle operazioni di salvataggio del fondo interbancario, accreditandosi come istituto “nazionale”, ma forse non sufficientemente nel mezzo della stagione delle acquisizioni aperta da Intesa San Paolo e Ubi.

Impegnata per mesi nell’acquisizione del Creval, Crédit Agricole lascia spazio a un matrimonio tutto italiano tra Banco Bpm e Bper, Banca popolare per l’Emilia Romagna, cioè la banca che ha fatto da sponda proprio all’acquisizione di Ubi Banca da parte di Intesa. In compenso diventa la prima candidata a sfruttare gli incentivi per le fusioni presenti in finanziaria che trasformano perdite e svalutazioni in crediti di imposta. Un meccanismo che potrebbe portarle un tesoretto da centinaia di milioni di euro. In tempi di sovranismo bancario, un ottimo investimento. 

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