Nell’elenco delle cose non fatte e che si dovevano fare ci sono molte cose. E di quelle fatte, alcune era meglio non farle. La legge sulla concorrenza che è entrata da poco in vigore, è stata rimandata più volte, tanto che ha ancora la denominazione 2021, e dovrebbe essere annuale, ma il tema interessa talmente la politica italiana che di fatto si fa quando capita. I taxi comunque sono stati stralciati (un pessimo segnale di cedimento alle corporazioni).

Per i servizi locali, tra cui i trasporti, ieri c’è stata apparentemente una accelerazione che forse potrà attenuare le istanze anticoncorrenziali care al centrodestra.  Ma occorrerà valutarne gli impatti: in realtà nelle pieghe della nuova legge vi sono ancora molte scorciatoie per evitare agli enti locali di fare gare vere, cioè in cui possa vincere davvero un concorrente diverso dall’incumbent, cioè da quello che c’era prima.

Foto AGF

Ora, il problema maggiore sarebbe capire perché esista questa sorda, ma a volte esplicita, opposizione a un sistema di gare. Sarebbe comprensibile l’opposizione a una vera liberalizzazione, ma l’opposizione riguarda solo verificare se è possibile ottenere i servizi di trasporto locale alle stesse tariffe con meno sussidi, o ottenerne di più, o abbassarne le tariffe. Cioè non si vuole verificare se con una forma di concorrenza assai limitata, come è avvenuto con successo nel resto d’Europa, si può migliorare la socialità del servizio offerto.

Il decreto approvato ieri sembra in effetti separare più nettamente i meccanismi di assegnazione dei servizi nel caso l’ente locale sia anche concorrente, gareggiando con la sua impresa, ma per esempio sembra mantenere facoltativa la suddivisione in un numero adeguato di lotti separati dei servizi anche nelle città maggiori. In caso di un lotto unico per città come Roma o Milano, chi mai concorrerebbe contro le imprese comunali, sapendo poi che in caso di vittoria avrà come controparte l’ente la cui impresa ha perso la gara?

La decisione su Ita

La compagnia aerea pubblica Ita, che è succeduta alla gloriosa Alitalia e perde altrettanti soldi, è stata venduta, ma per il 49 per cento rimane pubblica. È ovvio che si vuole mantenere a quella impresa una solida protezione dalla concorrenza, visto che di nuovo non potrà fallire qualsiasi cosa faccia. Tutto sembra ripetersi.

La vicenda della buonuscita plurimiliardaria ad Autostrade per l’Italia è non solo imbarazzante in sé (si vedano i servizi su Domani di Giorgio Meletti: sembra un premio per il crollo del ponte di Genova), ma sarà fatta pagare ancora agli utenti, che pure quelle infrastrutture le hanno già ammortizzate. La vicenda della “revoca revocata” delle autostrade abruzzesi è un altro episodio molto poco edificante.

Niente di fatto sulle ferrovie

Soprattutto non c’è traccia di innovazioni regolatorie per il settore ferroviario, che assorbe una grande quantità di risorse pubbliche, dell’ordine dei 10 miliardi annui. Questo rimane un tema intoccabile. Una volta dimostrato nei fatti che sulla rete possono operare con successo aziende in competizione tra loro, nell’Alta Velocità con Italo, e nelle merci con molti operatori, sembra difficile trovare giustificazioni per mantenere in mano pubblica parte di questi servizi, alterando il mercato due volte (cioè operatori privati in competizione con soggetti pubblici che non possono fallire, e questi ultimi anche “integrati verticalmente” con l’infrastruttura, entro la stessa società Fsi). E perché non aprire alla competizione i servizi ferroviari locali (grande successo tedesco), e quelli di lunga percorrenza non-alta velocità, puntando a esiti come quelli conseguiti aprendo la concorrenza nell’alta velocità, dove si sono avute sia riduzioni tariffarie che servizi più frequenti? Difficile pensare a una pura fatalità, se invece qui non si presentano concorrenti.

In compenso si è fatto un grandioso piano di investimenti ferroviari per il Pnrr. Un fiume di risorse finanziarie per una serie di opere, soprattutto nel mezzogiorno, a totale carico delle casse pubbliche. Apparentemente la razionalità di tali opere è risultata un pò dubbia ai proponenti stessi, per cui per non rischiare sorprese si è deciso di affidarne gli studi di fattibilità allo stesso destinatario dei fondi (Fsi), che si è visto costretto, per giustificare scelte difficilmente giustificabili, a sviluppare una metodologia di valutazione per lo meno discutibile, che sembra in grado di trovare fattibile tutto e il contrario di tutto.

Anche dal punto di vista ambientale queste opere suscitano perplessità: essendovi un gran numero di manufatti, soprattutto gallerie, che generano molte emissioni in fase di costruzione, ed essendo assai incerte le previsioni del traffico sottraibile alla strada, vi è il concreto rischio di un risultato del tipo conseguito in Spagna, dove più di un terzo delle linee AV ha determinato un danno netto all’ambiente.

E in caso di vittoria del centrodestra avremo anche la ciliegina sulla torta: il ponte di Messina, che forse non si può fare ma nulla vieta prometterlo.

© Riproduzione riservata