Il 14 settembre, il Census Bureau americano ha reso disponibili i dati sulla povertà negli Stati Uniti nel 2020, oltre ad una serie di dati sui redditi, sulla disuguaglianza e sulle retribuzioni. Il mercato del lavoro americano ha subito un crollo dell’occupazione ben superiore rispetto alla media dei paesi avanzati, con oltre 22 milioni di persone che hanno perso il lavoro tra febbraio e aprile 2020. Nonostante una ripresa più rapida rispetto ad altre economie, la mancanza di una rete di protezione sociale comparabile a quella dei paesi europei rischiava di provocare un’ecatombe anche nel caso di una breve crisi occupazionale.

Nel corso del 2020, però, le istituzioni americane – in particolare il Congresso e gli stati – hanno introdotto una serie di stimoli aggiuntivi pensati per sostenere i consumi e il benessere delle famiglie durante un periodo di crisi così singolare. In particolare, è stato allargato l’accesso ai sussidi di disoccupazione (nelle fasi peggiori della crisi si è arrivati ad avere oltre sei milioni di nuove richieste di sussidio in una singola settimana) e quello ai food stamps, ossia i buoni alimentari per chi si trova in uno stato di privazione particolarmente grave. Inoltre, sono stati mandati a milioni di americani i cosiddetti «stimulus checks», veri e propri trasferimenti monetari incondizionati sotto forma di assegni da 1200 e 600 dollari. Il Census Bureau ha stimato che i soli assegni hanno evitato a oltre 11 milioni di persone di rimanere al di sotto della soglia di povertà nel 2020.

L’efficacia dell’estensione della rete di protezione sociale è dimostrata dal fatto che la povertà assoluta negli Stati Uniti è addirittura calata nel 2020. Il tasso di povertà ufficiale è cresciuto di 0,9 punti percentuali rispetto al 2019 (da 10,5 a 11,4 per cento), ma questa misura non tiene conto della maggioranza degli aiuti e dei trasferimenti governativi. La misura supplementare di povertà (SPM) indica in realtà un calo di ben 2,6 punti percentuali del tasso di povertà tra il 2019 e il 2020 (da 11,7 a 9,1 per cento). La SPM include tutte le misure monetarie (come gli assegni o i sussidi) e non monetarie (come i buoni alimentari) introdotte dal governo federale e da quelli locali. Il tasso di povertà misurato con la SPM nel 2020 è il più basso da quando è stato possibile calcolare questa misura, ossia dal 1967.

La riduzione del tasso di povertà effettivo durante una delle crisi peggiori della storia americana potrebbe animare ulteriormente il dibattito sull’introduzione permanente di un sistema di protezione sociale più corposo. Il Presidente Biden sta tentando di far approvare lo stanziamento di 3500 miliardi per un piano di investimenti, che comprenderebbe anche un allargamento della social security e comporterebbe il più grande stimolo fiscale nella storia degli Stati Uniti. Gli ottimi risultati sulla lotta alla povertà rendono sicuramente più allettante un rafforzamento del sistema di welfare, ma l’enorme aumento del debito pubblico che una mossa in quella direzione comporterebbe, oltre alla diffidenza diffusa tra molti americani nei confronti di un intervento eccessivo da parte del governo, rendono la prospettiva meno probabile. In ogni caso, basterebbe rendere permanente l’estensione del Child Tax Credit, una sorta di detrazione per i figli a carico già presente nella maggior parte delle economie avanzate, per mantenere a un livello così basso il tasso di povertà, come sottolineato da Zachary Parolin, del Center on Poverty and Social Policy, su lavoce.info.

E l’Italia?

In Italia, la quantità straordinaria di misure di protezione introdotte o rafforzate per far fronte alla crisi pandemica non ha evitato un aumento del tasso di povertà assoluta. La ragione può essere innanzitutto metodologica. La condizione di povero negli Stati Uniti è definita dal reddito: se il reddito è al di sotto della soglia di povertà, si viene considerati poveri. In Italia, invece, la condizione di povero è definita dalla spesa in consumi: se si è consumato meno rispetto a una certa quantità di beni considerati essenziali, si viene considerati poveri. Il problema è che le restrizioni per contrastare la pandemia potrebbero aver ridotto la capacità di consumo degli individui, senza che questi avessero necessariamente una quantità di denaro non sufficiente per acquistare i beni e i servizi essenziali. Va poi sottolineato il fatto che il tasso di povertà in Italia, nonostante l’aumento nel 2020, è ben al di sotto di quello statunitense (7,7 per cento contro il 9,1 degli Stati Uniti).

Nonostante l’aumento della povertà in Italia, è stato stimato che le misure di protezione sociale abbiano giocato un ruolo determinante nel ridurre l’impatto della crisi. Per esempio, la perdita di reddito per i lavoratori durante la pandemia è stata ridotta del 60 per cento grazie all’intervento degli ammortizzatori ordinari e di quelli straordinari introdotti con la crisi. L’effetto è stato particolarmente rilevante per i lavoratori a termine, che hanno visto il proprio reddito ridursi in media dell’8 per cento, mentre la perdita sarebbe stata del 35 per cento senza l’intervento di alcun tipo di ammortizzatore.

Al di là del dibattito sulla convenienza e sull’opportunità di rafforzare ulteriormente o in maniera permanente la rete di protezione sociale, sia l’esempio americano che quello italiano dimostrano che le misure emergenziali di sostegno al reddito hanno avuto e potranno avere in crisi future un ruolo fondamentale nel ridurre sensibilmente il rischio di cadere in povertà.

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