Tenacia, innovazione, resilienza, voglia di andare avanti, ma anche disorientamento, disperazione e la difficoltà a ridefinire le strategie di business. La stragrande maggioranza dei piccoli e medi imprenditori italiani sta cercando di resistere e rinnovarsi.

Nel mentre il governo si appresta a definire i contenuti del nuovo decreto ristori, sull’economia italiana incombono i rischi di chiusura per migliaia di piccole e medie imprese e la mannaia dei licenziamenti nelle imprese che devono ristrutturarsi per sopravvivere.

Il tessuto economico

Il quadro che emerge dalla ricerca realizzata dall’osservatorio Legacoop-Ipsos a febbraio 2021 mostra luci e ombre del tessuto economico nostrano. Il 5 per cento degli attuali piccoli e medi imprenditori sta valutando la possibilità di gettare la spugna e chiudere i battenti dell’impresa.

Un ulteriore 48 per cento prevede, lungo tutto il 2021, il prolungarsi della fase di difficoltà. I segnali positivi, purtuttavia, non mancano. Un terzo delle imprese italiane annuncia un 2021 a tinte non fosche. Una impresa su sei è fiduciosa e segnala un dato di crescita, mentre il 18 per cento ipotizza un quadro stabile, dai tratti positivi.

I cenni di ripresa arrivano, innanzitutto, dalle imprese del centro-sud (47 per cento), mentre più cauti appaiono i piccoli e medi imprenditori del Nord (31 per cento). Oltre al rischio chiusure, le imprese italiane si trovano a fare i conti anche con altre difficoltà. Il principale scoglio (per il 22 per cento) riguarda la possibilità di trovare nuovi clienti. Gli ostacoli generati dalla normativa e i costi di produzione coinvolgono il 14 per cento delle imprese, mentre il 13 per cento denuncia la permanenza di difficoltà operative causate dal rispetto delle regole per la prevenzione dal Covid-19.

Permangono, infine, le immancabili difficoltà ad accedere al credito (7 per cento delle imprese). Un ostacolo, quest’ultimo, che coinvolge in modo particolare le micro-imprese e i lavoratori autonomi.

Il mercato del lavoro

Dal punto di vista delle dinamiche occupazionali l’affresco che emerge dall’osservatorio Legacoop-Ipsos non è meno allarmante.

Solo il 6 per cento delle aziende italiane prevede nuove assunzioni. Si tratta, in particolare, di imprese guidate da giovani imprenditori under 30 (11 per cento), di società operanti nelle regioni del Centro Sud (22 per cento), di aziende medie, con più di 50 dipendenti (17 per cento). Un 2021 senza aumenti di personale, ma anche senza licenziamenti, riguarda il grosso delle imprese: il 66 per cento, con segnali di maggiore stabilità e resilienza che arrivano dalle realtà del Nord Ovest (72 per cento) e del Nordest (85 per cento).

Se il 16 per cento delle società non ha ancora un quadro chiaro delle prospettive occupazionali, il 12 per cento degli imprenditori preannuncia la possibilità di ricorrere a dolorosi tagli del personale. Una prospettiva che sembra coinvolgere maggiormente le micro-imprese (23 per cento) e le realtà intermedie con un numero di dipendenti compreso tra 10 e 49 (20 per cento).

Uno sguardo al futuro

Se proviamo a focalizzarci sulle prospettive future degli imprenditori orientati a cessare la propria azienda, scopriamo tre differenti dinamiche. Il 45 per cento sono dei resilienti scottati dal Covid-19: il loro futuro non è più orientato alla dimensione imprenditoriale diretta, ma sono indirizzati a rifarsi una carriera professionale come manager o dipendenti di altre imprese.

Una prospettiva che coinvolge, soprattutto, il 54 per cento delle donne imprenditrici, il 56 per cento delle persone di età compresa tra i 31 e i 59 anni, i residenti a Nord Ovest (54 per cento) e a Nordest (56 per cento), nonché i lavoratori autonomi che non hanno alcun dipendente (51 per cento). Una seconda quota (38 per cento), sono i tenaci decisi a rialzarsi: non intendono affatto abbandonare lo spirito imprenditoriale e progettano di dar vita a una nuova azienda.

Si tratta, innanzitutto, di giovani under 30, di imprenditori alla guida di medie imprese (67 per cento) e di persone residenti in quelle aree del centro-sud in cui le possibilità di trovare un lavoro come manager in altre società sono minori. All’interno di questa fascia rintracciamo due tipologie di soggetti: una metà, sta progettando di aprire una nuova attività nel medesimo settore del passato o in uno similare. L’altra metà, invece, sta ipotizzando l’avvio di una nuova avventura in un segmento produttivo completamente differente. Il 16 per cento di quanti stanno pensando di chiudere la propria attività, appare sfibrato dall’esperienza pandemica e, specie tra gli ultracinquantenni, orientato a ritirarsi completamente da ogni forma di attività.

Le prospettive per il 2021 preannunciano un ridisegno del quadro imprenditoriale italiano. Gran parte delle imprese non sarà più come prima. In questo processo non tutto è negativo. Le energie ci sono e sono presenti al Nord come al Sud, tra i giovani e le donne. Occorrono, però, nuovi strumenti di politica industriale, una strategia chiara di sostegno alla nascita di nuove imprese e scelte a supporto della rinascita, magari sotto forma di cooperativa di lavoratori, di quelle imprese in crisi ma ancora capaci di esprimere un potenziale produttivo.

 

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