Anno dopo anno, da più di un decennio, i dati delle due ricerche di “Critica liberale”, sulla presenza delle confessioni religiose in Tv e sul processo di secolarizzazione nella società italiana, continuano a fotografare un vistoso paradosso.

Più ci secolarizziamo e più la Chiesa cattolica dilaga nel medium dominante. Nessuna meraviglia: la politica, nonostante i retorici pronunciamenti sulla laicità dello Stato, ha superato la fase della resa per farsi protagonista attiva della clericalizzazione pubblica.

Non ne è che una riconferma, anche se estrema, il fatto che sia proprio il ministro Speranza, rappresentante del «non plus ultra» di sinistra che siede in parlamento, ad appaltare direttamente al Vaticano «la riforma dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria della popolazione anziana», mettendone a capo Monsignor Vincenzo Paglia, Gran Cancelliere del Pontificio Istituto Teologico per le Scienze del Matrimonio e della Famiglia e presidente della Pontificia Accademia per la Vita e consigliere spirituale della Comunità di Sant’Egidio.

Oppure che il governo italiano non riesca a rimandare al mittente come «irricevibile» quella Nota ufficiale della Chiesa cattolica contro il ddl Zan, che costituisce una palese ma - come si è poi visto - efficace interferenza negli affari politici del nostro paese. Purtroppo le reazioni a tutto ciò sono state quasi nulle. Perché? Le ragioni sono evidenti: sono l’afonia del mondo laico ormai in coma profondo e il distacco della politica politicante da ogni idea e tradizione culturale, persino da parte dei politici cattolici. Nel Palazzo siamo in presenza di un altro paradosso: ora c’è più togliattismo che degasperismo.

Associated Press

Questo è lo sfondo sottostante ai crudi dati del maramaldesco disconoscimento in tv di ogni regola di correttezza informativa da parte di giornalisti e di programmatori lottizzati o conformisti. Con conseguenze anche molto negative. Per esempio, ignorare quasi del tutto le minoranze religiose (prese in considerazione solo se mettono bombe) significa non porsi affatto il problema dell’integrazione di moltitudini che vivono nel nostro paese o anche avere in spregio il valore del pluralismo.

Ad altri esiti siamo abituati: la disinformazione sugli scandali della Chiesa o su bubboni come la pedofilia ecclesiastica fanno della tv una fonte informativa non autorevole; ma, ancora peggio, si sta vistosamente dimostrando che su certi temi la televisione pubblica non incide affatto. Vediamo infatti che la colonizzazione confessionale non impedisce una progressiva secolarizzazione degli usi e costumi degli italiani, che semmai sono influenzati da differenti «religioni» non confessionalizzate.

Le ricerche (che sono rese possibili dal finanziamento dell’Otto per mille della Tavola Valdese) si fondano sia sui dati rilevati da una qualificata Società di ricerche Geca, frutto dell’analisi del «mandato in onda», 24 ore al giorno su 12 canali, sia sui numeri di più di cento indicatori della secolarizzazione del nostro paese raccolti dalla Fondazione da fonti certe.

Vediamo nel dettaglio.

I dati più interessanti sono quelli della presenza di soggetti religiosi nei programmi di approfondimento: c’è una progressiva diminuzione della discussione e, se si discute, lo si fa quasi solo con preti. Siamo passati in 16 trasmissioni da 285 presenze del 2012-3 alle 149 del 2020, 93,3 per cento di cattolici e 0,7 per cento di musulmani. Uguale percentuale da prefisso telefonico per valdesi e protestanti. “Porta a porta”, in quanto a presenze di soggetti confessionali, è passato da 52 del 2015 a 16; “Uno mattina” da 203 a 37. La contrazione è generalizzata: “Agorà” passa da 169 a 27, “Omnibus” da 44 a 3, “Di martedì” scende da 23 a 8.

Se si è carenti nel pluralismo e nella discussione, non si lesina però nella propaganda: nelle fiction di stampo religioso si è passati da 57 nel 2011 a ben 901 nel 2016, per poi calare a 441.

Un apostolato comunque massiccio e monopolizzato integralmente dalla religione cattolica o cristiana. Da notare che La7 se la batte con Rai 1 (26,1 per cento e 27 per cento). Nei telegiornali continua il monopolio quasi assoluto. Persino ridicolo. Riguardo i tempi di notizia dei soggetti confessionali, si era ironizzato perché il Tg 1 aveva concesso al Vaticano il 99,67 per cento.

Sembrava che il Tg1 non potesse fare meglio, e invece c’è riuscito raggiungendo il 99,98 per cento. Il servilismo non è acqua. Chissà se punterà al 101 per cento. Gli altri telegiornali pubblici sono appena sotto. Due parole su Francesco: sta migliorando. Nel Tg1 dell’annata 2014-15 gli dettero voce per il 7,1 per cento, per poi scendere negli anni successivi, ma adesso sta in prodigiosa crescita fino a battere il suo record con 7,7 per cento e riacciuffare il 7,8 per cento di Benedetto XVI del 2012. Meno male che possiamo consolarci con i dati sulla secolarizzazione.

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