«Le ingiustizie continuano e il mondo inventa costantemente nuovi modi di discriminare le donne», scriveva quasi vent’anni fa, nel 2002, la scrittrice Dacia Maraini. Da allora molta acqua è passata sotto i ponti, ma la situazione per le donne in Italia è mutata in modo limitato. Per alcuni aspetti, complice la crisi economica prima e la pandemia oggi, sembra essere sotto l’influsso di un pernicioso effetto gambero.

Il dato maggiormente allarmante arriva dal confronto con gli altri paesi. L’Inequalities around the globe di Ipsos (pubblicato a Londra il 19 marzo) mostra un quadro desolante per l’Italia. Il 40 per cento degli italiani sostiene che la differenza tra uomini e donne è una delle principali forme di disuguaglianza presenti nel paese. Una quota che pone l’Italia al sesto posto nella classifica della disparità di genere tra i 28 paesi monitorati. Peggio dell’Italia, per livello di preoccupazione sul tema, troviamo Messico (45 per cento), Turchia e Spagna (42 per cento), Sud Africa e India (41 per cento). Le donne, si legge nel report realizzato da Ipsos in collaborazione con The Policy Institute di Londra, sono più preoccupate degli uomini per la disuguaglianza di genere e leggermente più angosciate per le disuguaglianze in termini di salute e aspettativa di vita. A riprova del basso posizionamento dell’Italia sul tema, c’è anche un altro indice, il Global ranking for gender equality del World Economic Forum, nel quale il nostro paese si colloca al 76esimo posto. Va chiarito che i paesi in cui, nella rilevazione di Ipsos, la preoccupazione per la disuguaglianza di genere è relativamente bassa, come Malesia, Russia, Arabia Saudita e Ungheria, sono anche quelli che si collocano nelle posizioni maggiormente basse nell'indice di uguaglianza di genere. L’Arabia Saudita si piazza al 146esimo posto (su 153 paesi), la Malesia al 104esimo, la Russia all’81esimo posto, mentre l’Ungheria al 105esimo posto. In vetta alla classifica del ranking di gender equality ci sono Islanda, Norvegia, Finlandia, Svezia e Nicaragua.

Gli effetti della pandemia

La pandemia ha ulteriormente accentuato il divario di genere in Italia, mostrando non solo l’insufficienza del sistema di welfare, ma anche una tradizione culturale che fa ricadere sulle donne la gran parte del carico di cura della famiglia e dei soggetti più deboli. Il 61 per cento delle donne (contro il 21 degli uomini) è stata il principale caregiver nel corso del 2020. Il 54 per cento delle lavoratrici (contro il 17 per cento dei lavoratori) ha dovuto caricare su di sé gran parte della cura della famiglia.

Il quadro delle asimmetrie di genere non migliora se osserviamo i dati sulla paura di perdere il proprio posto di lavoro nei prossimi mesi: 27 per cento tra le donne, contro il 20 per cento tra gli uomini. Di fronte alla necessità di trovarsi una nuova occupazione il 74 per cento delle donne (rispetto al 41 degli uomini) ritiene che dovrà cercare per almeno un anno. Non solo. Il 20 per cento delle donne (contro il tre per cento degli uomini) sottolinea che tra i principali ostacoli nel trovare un posto ci sia quello della discriminazione di genere. L’affresco discriminatorio si completa con ulteriori due dati. Il 41 per cento dell’universo femminile sa già che dovrà accontentarsi di uno stipendio basso e il 49 per cento (contro il 40 per cento degli uomini) prevede che dovrà accontentarsi di un contratto precario. Non stupisce quindi che il 40 per cento delle italiane si senta discriminato dalla società.

Il ruolo guida del femminile

In società articolate e differenziate come quella in cui viviamo, sarebbe illusorio pensare che la qualità della società si esaurisca nel riconoscimento formale dei diritti o nella semplice definizione di quote di ruolo. È evidente che tutto ciò non basta. Occorre mettere in campo una visione e un’azione sistemica, capace di incidere sia sulla dimensione culturale della relazione tra uomo e donna, sia sulla realizzazione concreta di politiche in grado di garantire un supporto alle donne e una reale parità di genere nella quotidianità esistenziale, nonché di affermare un effettivo spazio di protagonismo e opportunità per le donne. Le pari opportunità sono uno dei veri indici di qualità, civiltà e benessere di una società. Le realtà post industriali e globalizzate, come sottolinea il filosofo francese Alain Touraine, hanno la necessità di generare un nuovo dinamismo sociale e democratico, per cercare di ricomporre le polarizzazioni e le distonie presenti. «Sono in primo luogo le donne – afferma il filosofo francese – quelle chiamate a essere le principali attrici di questa azione di ricomposizione della società, poiché, essendo state per tanto tempo la categoria inferiore a causa della dominazione maschile, oltre alla propria liberazione, possono svolgere un’azione di ricomposizione di tutte le esperienze individuali e collettive».

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