La società post Covid, dell’inflazione galoppante, delle molte crisi che si intrecciano, della guerra, della sindrome di Sisifo (questo spingere sperando di uscire dalla crisi e di rivedersi tornare indietro), della crescita della violenza, dell’incertezza e della precarizzazione del futuro, porta con sé anche la spinta a mutamento nell’ontologia sociale. Cresce, in una quota di italiani, il bisogno di leggerezza e spensieratezza, di piacere, di dionisiaco gusto per l’ebbrezza.

Divertirsi e togliersi dei vizi è l’ambizione del 72 per cento degli italiani, così come il 79 cerca in ogni occasione di spassarsela e di fare cose piacevoli. Tanti amano cenare fuori casa (76) e quasi metà del paese (48) individua nell’andare spesso al ristorante uno dei fattori per dirsi soddisfatto della vita. Grande è la quota di persone alla ricerca di prodotti in grado di offrire leggerezza (76) e raccontare la capacità di godersi la vita (61). Il 42 per cento ritiene che per essere soddisfatti dell’esistenza sia indispensabile avere una bella macchina, mentre per il 35 (48 tra i giovani) la soddisfazione è legata all’avere capi griffati. Il 52 per cento degli italiani è alla ricerca di emozioni forti, il 54 ama organizzare cene e party, mentre il 6 per cento (10 nella generazione Z) vuole condurre una vita mondana e piena di feste. Il 44 per cento degli italiani vuole sentirsi libero senza vincoli, il 33 aspira a una vita avventurosa, mentre il 19 si accontenta di sentirsi leggero e aperto. Il 38 per cento degli italiani adora il lusso (55 tra i giovani) e il 36 (52 tra i giovani) ammira le persone che possiedono case, macchine e vestiti costosi.

Imperativo dionisiaco

Al fondo di queste dinamiche non c’è solo la voglia di lasciarsi alle spalle il senso di privazione e compressione vissuto negli ultimi anni, c’è anche l’emergere o il riemergere di un’ipermodernità edonistica, in cui dionisiaco diviene una sorta di imperativo aspirazionale sociale. Un edonismo che va oltre il semplice piacere, per diventare un imperativo esistenziale, un «ethos del godimento perpetuo». Una «seconda rivoluzione individualista» (per dirla con Gilles Lipovetsky) in cui l’autorealizzazione passa attraverso il piacere che diventa progetto di vita. Un altro tratto che fotografano i dati è l’orientamento al neo-tribalismo consumistico. Cenare fuori, vivere momenti di emozionalità collettiva, sottolinea la dimensione di una socialità fluttuante, in cui le affiliazioni sociali divengono fluide e basate su interessi ed emozioni condivise.

Michel Maffesoli definisce queste affiliazioni «comunità estetiche», perché queste pratiche non sono semplici attività sociali, ma rappresentano rituali che creano un «tessuto sociale edonistico». Il consumo collettivo di esperienze piacevoli diventa il collante di nuove forme di socialità, creando delle «tribù del godimento» per vivere forme di piacere immediato. Un terzo tratto è il passaggio dal consumo come identità, al consumatore come storyteller di sé.

L’associazione della soddisfazione esistenziale al possesso di beni materiali riflette la forte integrazione del consumismo nell’identità personale. Una «ontologia consumistica del sé». La scelta dei prodotti non è più funzionale a una sola identità, ma al mettere in scena molteplici sé, alla spettacolarizzazione della vita quotidiana. Il consumatore diviene scenografo di sé, uno storyteller della propria vita che compra e sceglie in funzione dello spettacolo, del racconto che vuole fare di sé stesso. La vita stessa diventa uno spettacolo da consumare e l’identità personale si costruisce attraverso una serie di performance consumistiche. Il quadro dei dati mostra anche un ulteriore aspetto: il paradosso dell’individualismo di massa, in cui la ricerca dell’unicità autentica di sé conduce a comportamenti omologati di massa. Il desiderio di essere libero non rappresenta solo una spinta all’individualizzazione esistenziale, ma illustra anche l’adesione a un modello standardizzato di libertà. Un «conformismo dell’anticonformismo». Il risultato è una forma di «libertà normativa», in cui l’imperativo di essere liberi diventa esso stesso una norma sociale.

Hedonomia

L’esito è un paradosso: più le persone cercano di affermare la propria individualità attraverso ideali di libertà consumistici, più finiscono per conformarsi a un modello comune di individualità. Il quadro delle dinamiche mostra elementi di mutamento nell’ontologia sociale. Cresce la spinta verso l’Hedonomia. Il neologismo, che combina edonismo e nomos (legge, costume) fotografa il paradigma emergente in cui la persona, o meglio l’essenza personale, si definisce attraverso l’esperienza del piacere e il consumo di momenti gratificanti.

Non siamo di fronte a un fenomeno di fatuità esistenziale, bensì a una metamorfosi (o forse a un ritorno): muta il modo attraverso il quale gli individui concepiscono se stessi e il loro posto nel mondo. Una spinta verso una «ontologia del piacere» in cui il godimento non è più solo un aspetto della vita, ma diventa il suo scopo fondamentale. La ricerca della felicità, un tempo considerata un ideale complessivo, si declassa così in una serie di pratiche consumistiche e esperienze sensoriali immediate.

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